venerdì 29 settembre 2017

RECENSIONE – Florence Grace di Tracy Rees



Dopo il successo ottenuto con il suo precedente romanzo “Amy Snow”, Tracy Rees ci riprova con un nuovo personaggio femminile, Florence Grace. Florence, detta Florrie abita in un piccolo villaggio rurale della Cornovaglia, insieme a suo padre e a sua nonna Nan. Nonostante non abbia mai conosciuto sua madre Elizabeth, stranamente ne conserva il ricordo.  Si capisce subito che è una bambina speciale. Da sola nella brughiera non si perde mai, riesce sempre, anche in condizioni disagevoli, a ritrovare la strada. Ha la facoltà di scrutare nell’anima delle persone, quasi a vederne il futuro. Florrie viene quindi cresciuta da sua nonna Nan, libera di vagare nella brughiera. Se la perdita di sua madre l’aveva accettata, quella di suo padre la prostra in maniera inverosimile, solo la vecchia Rilla, una sorta di druido del villaggio, riesce a salvarla da sé stessa e da una morte per consunzione. A tredici anni Florence vede una buona possibilità di guadagno in un lavoro da cameriera in città, a Truro. É solo per una sera, ma qualche soldo in più in casa non fa mai male. Incuriosita da questa nuova esperienza, Florence rimane incantata da tutto quello che vede. Il ballo, i vestiti, tutto le sembra più splendente. Tra i tanti, nota due giovanotti. Uno che si nasconde dietro le tende in un anfratto dove passa solo la servitù. L’altro che fissa tutti con uno sguardo torvo ed irriverente che mostra sicuramente la poca voglia di essere lì in quel momento. I due sono i  rampolli della nobile famiglia Grace. Sanderson, biondo e solare e Turlington, scuro e ombroso. Tornata a casa la mattina seguente dopo aver incontrato Turlington nelle stalle, Florrie nei giorni seguenti non riesce a dimenticare i due e ne parla con Rilla. Poco tempo dopo Nan si ammala e prima di morire le rivela che anche lei è una Grace da parte di sua madre. Nan ha chiesto quindi al vecchio patriarca Grace di prenderla con loro dopo la sua morte, nella sua famiglia. E che famiglia! Un nonno dispotico, una zia cattiva e due cugine che fanno di tutto per metterla in cattiva luce. Sembra piacere al solo Sanderson, e un poco forse, anche a suo nonno. Florence non ha mai dimenticato Turlington e quello che si erano detti quella mattina nella stalla, e nemmeno lui sembra averla dimenticata. Ma la loro è una storia di discesa all’inferno e per qualcuno sarà senza ritorno. Florence è abituata a badare a se stessa. Non ha bisogno di crinoline e gioielli. Nonostante la società non fosse così liberale con le donne e ne minasse le libertà personali, Florence riesce ad essere indipendente, moderna e positiva. Non accetta costrizioni e soprattutto mai metterà se stessa nelle mani di un uomo inaffidabile. Non è una Cenerentola e non desidera un principe. Per Florrie ognuno si sceglie il destino da sé, se lo crea rinunciando, anche se fa male, all’amore indissolubile, tormentato e passionale, che potrebbe annullarla, perché può essere felice e contenta anche senza. Bella la protagonista nella sua determinazione e nella sua voglia di indipendenza. Bella la sua dimostrazione dei sentimenti nonostante la bigotteria dell’epoca vittoriana. Bello il suo non aver paura del futuro, perché la sua storia se la scrive da sé. Belli anche i paesaggi maestosi della Cornovaglia ed essendoci stata, capisco la voglia di Florence di tornarvi a tutti i costi. Per gli amanti del genere. Voto: 7+

RECENSIONE – Uno sparo nel buio di Vincenzo Cerracchio



Siamo nel 1922. Presso il Tribunale della Corte di Assise di Roma, si sta svolgendo il processo ad Ignacio Mesones, unico imputato per l’omicidio di sua moglie, Bice Simonetti, il cui corpo fu rinvenuto sul Lungotevere Marzio in una gelida mattina del febbraio del 1918. É morta con un colpo di pistola sparatole alla tempia. Il Mesones è accusato di aver simulato un suicidio. Tutto sembra piuttosto semplice: l’arma è stata ritrovata e il colpevole anche, non fosse che il Mesones, all’epoca dei fatti, era già completamente cieco. La storia si divide tra tribunale e redazioni dei giornali. Avvocati della difesa contro Pubblici Ministeri, cronisti di vecchia data e giovani cronisti d’assalto. Verrà ricostruita tutta la vicenda tramite le varie e contraddittorie testimonianze, le svariate perizie dei medici, le audizioni dei complici o presunti tali, in un Italia del primo dopoguerra con i primi accenni di quello che sarà il fascismo. L’Italia dei governi deboli, degli scontri di piazza, dei primi vagiti del femminismo. L’autore racconta il crimine come un fatto di cronaca, probabilmente avvezzo a ciò, visto il suo esser stato per tanti anni cronista de “Il Messaggero”. La scrittura risulta secca e lineare e ha il merito di tenere il lettore attento sul fatto di cronaca, tra l’altro realmente avvenuto. Il caso è difficile e una soluzione lontana, non fosse che all’orizzonte di chi ne parla si profilano strani personaggi e lettere di minacce nemmeno tanto velate. Qualcuno vuole per forza che il Mesones paghi per un omicidio che forse non ha commesso, o forse non ha commesso da solo. Il protagonista principale è Diego, giovane cronista de “Il Giornale d’Italia” che prova a scoprire la verità, forse scomoda, aiutato da Caterina, futura psicologa, femminista di prima mano, impegnata a dimostrare che il Mesones era incapace di intendere e di volere, dovuto alla sua condizione psico-fisica. Diego è sfacciato e sfrontato al punto giusto, proprio come dovrebbe essere un cronista. Vuole la verità assoluta e nonostante le minacce tende ad andare avanti per la sua strada. La storia sembra essere confusa, soprattutto per la moltitudine dei personaggi, ma l’autore riesce a sciogliere bene i fili che legano la matassa e a costruire una trama basata su ogni piccolo dettaglio, ogni loro parola. La sua scrittura risulta scorrevole e i personaggi ben caratterizzati, e riesce a mantenere, tramite loro, dubbi, incertezze e una giusta suspense. Voto: 7,5

giovedì 28 settembre 2017

RECENSIONE – Corruzione di Don Winslow



Don Winslow torna in libreria ed io sono contenta. Sono sempre di parte con lui, visto che è uno dei miei scrittori preferiti, che non sono nemmeno tanti. Quando compro un suo libro non mi pento mai, alla fine, bene o male, o sono dei libri belli o dei capolavori. Questo è un capolavoro allo stesso livello de “Il potere del cane” e de “Il cartello”. Dopo aver parlato ampiamente dello spaccio di droga e del cartello messicano, stavolta Winslow torna a casa sua, a New York. Ci porta all’interno della “Da Force”, una squadra d’elite della NYPD. Con Don Winslow non ci dobbiamo comunque aspettare una storiella semplice. No, lui ci va giù duro, in tutto quello che fa. Di solito le sue storie hanno sempre un fondamento di verità e quindi ti lasciano quel senso di impotenza e ti mostra la fallibilità dell’uomo, anche del più integerrimo. Il protagonista della storia è Danny Malone. Sembra un uomo tutto d’un pezzo, un poliziotto di quartiere, duro e spietato con la criminalità. Lui è il re di Manhattan North e tutti devono sapere come ci si comporta. É un uomo pericoloso e spietato, armato fino ai denti, che ama la sua città, forse anche troppo. A governare con lui ci sono i suoi fratelli sbirri: Russo, Billy O e Bigh Monthy. Le strade di Manhattan North sono le sue. Lui sa tutto e vede tutto. Niente eroina, prostituzione, niente gang e niente armi. La gente normale non deve morire per gli affari altrui. Lui è l’eroe della Da Force. Le altre forze di polizia fanno come credono. La narcotici ha lo spaccio, la omicidi gli ammazzamenti e loro? Loro fanno quello che vogliono e nessuno ci deve mettere bocca. Ma qualcuno vuole giocare duro. I nuovi spacciatori di droga e quelli che vendono armi stanno mirando ad espandersi. Le nuove gang portoricane non vogliono prendere ordini, soprattutto dalla polizia e le armi servono per controllare lo spaccio di droga che sta passando di mano. Malone e i suoi tendono un agguato al nuovo boss della droga Peña. Loro non sono dei stinchi di santo, non lo sono mai stati e quando hanno l’opportunità di prendere lo fanno, senza guardare in faccia nessuno. Sono uomini violenti e lo stipendio di un poliziotto non è nulla, non serve a far mangiare la famiglia, soprattutto quando hai dei figli che devono andare all’università. L’agguato va bene e male. Billy O rimane ucciso, ma Malone e gli altri si spartiscono soldi e droga. La storia della Da Force, si lega alle storie personali dei protagonisti e soprattutto di quella di Danny Malone. Storie private, di bustarelle che vanno di mano in mano, di alleanze e tradimenti, di famiglie, di corruzione. Mano a mano che la storia incalza alla fine è Malone che scenderà all’inferno, perché come tutti i personaggi di Winslow il confine che li divide tra il bene e il male è molto sfumato e labile. Winslow crea all’inizio un eroe, te lo fa piacere, te lo fa amare, per poi schiantarlo in basso molto in basso. E si sa che da più in alto si cade, più rumore si fa. Danny Malone è un antieroe, è uno sbirro, ma anche un delinquente. Pulisce le strade dalla criminalità, ma è anche un assassino. E un infame! Il tutto in una New York sporca, frenetica, esagerata, dove scoperto un orrore, se ne palesa un altro più orrendo ancora, dove c’è un potente corrotto, sicuramente ce n’è un altro ancora più potente e più corrotto. Bella l’introspezione del protagonista quando parla di sé e della corruzione che da il titolo al libro. Quando si comincia a sorpassare la linea dell’onestà? Quando si inizia a prendere i primi soldi senza sentirne il peso? Quando si trasforma un trafficante in un informatore? Quando si mandano a puttane regole e regolamenti e leggi? Perché per la legge americana ogni reato è trattabile, ogni pena si può sistemare con un accordo, e ogni accordo può essere superato da uno più sporco. Perché ogni giudice si può comprare e tutti gli avvocati possono essere ricattati. L’affresco creato da Winslow è perfetto, mirabile, impareggiabile, in ogni suo particolare, in ogni dettaglio. Tutte le parole, i dialoghi, le descrizioni e le azioni dei personaggi sono perfette. Non c’è una parola fuori posto. Si legge a ritmo cadenzato e si riesce ad immaginare ogni più piccolo dettaglio, ogni schifezza e alla fine, come in ogni romanzo di Winslow, nessuno avrà gloria, nessuno avrà giustizia, nessuno avrà pietà di un ex eroe diventato cattivo di fronte ad un mondo cattivo. Voto: 9

mercoledì 27 settembre 2017

RECENSIONE – La lista di Lisette di Susan Vreeland



Parigi, 1937. Lisette ed André si sposano giovanissimi. Entrambi lavorano con piacere in una galleria d’arte, ma quasi alla soglia del conflitto mondiale sono costretti, a malincuore, soprattutto per Lisette, a trasferirsi nel paese natale di André, Rousillon, in Provenza, per prendersi cura di Pascal, il nonno di quest’ultimo. Non si poteva fare altrimenti, André era stato cresciuto dallo stesso Pascal e gli doveva almeno la sua vicinanza in un momento di bisogno. Ma Lisette prende proprio male il trasferimento, soprattutto perché stava per ottenere il lavoro dei suoi sogni. Nemmeno Maurice, il conducente della corriera del paese, vero Provenzale, riesce a strapparle un sorriso e scoprire che Pascal non sta poi così male la fa infuriare ancora di più. Lisette deve comunque sopportare per amore di André. Ma Pascal, all’interno della sua casa,  mostra loro il motivo della loro venuta a Rousillon. Sette quadri appesi alle pareti che raffigurano montagne, casolari, campi, fanciulle e nature morte. Sette quadri che Lisette, grazie agli insegnamenti dell’amico Maxime, riesce a capire che sono dei veri capolavori di artisti molto importanti. Mentre incomincia a muovere i primi passi a Rousillon, Pascal le racconta della sua vita parigina, di quando conosceva i grandi pittori, come Pizarro e Cezanne, e che qualcuno di loro, per pagare le sue bellissime cornici, lo saldava in quadri. Quadri molto preziosi che sono quelli ancora in suo possesso e sono la sua stessa vita. Dopo avergli raccontato tutta la sua vita e la storia di ogni quadro Pascal muore come se avesse assolto tutti i suoi doveri. Ma non sarà il solo ad andarsene, la guerra incombe ed André, insieme al suo vecchio amico parigino Maxime, partono per il fronte. Prima di partire André nasconde i quadri di Pascal senza rivelare dove sono a Lisette perché quei quadri potrebbero costituire per lei un pericolo. La ricerca dei quadri diventerà per Lisette una sorta di caccia al tesoro che l’aiuterà a sopportare l’assenza di André e il doversi adattare alle mancanze che una guerra può portare. Vivrà con la paura di ricevere sempre notizie dal fronte, finché un giorno le riceverà per davvero. André è morto in battaglia e Maxime risulta disperso e lei è sola in un posto dove non vuole essere. Sogna Parigi che ora è occupata dai tedeschi, la brama. Ma è costretta a reinventarsi di fronte alle esigenze e alla mancanza di denaro. Grazie all’aiuto di Maurice e della moglie riesce in qualche modo a sopravvivere al lutto e alla fame. Sempre grazie a Maurice riuscirà a conoscere Chagall e sua moglie Bella, che le regaleranno un quadro con una capra, che le ricorderà la sua. Riuscirà ad emancipare le donne del paese e a farle entrare in un bar, perché anche loro hanno bisogno di sentire il giornale radio come gli uomini. Capirà che non tutti quelli che sembrano essere cattivi lo sono per davvero. E grazie a Maxime ritornato dalla guerra, dopo una durissima prigionia, riuscirà di nuovo ad imparare ad amare. Bellissima storia dove l’arte la fa da padrona. Romanzo di crescita e speranza di amicizia e voglia di vivere. É un romanzo, che nonostante racconti la guerra, rimane venato di ottimismo e romanticismo. In alcune parti  risulta essere molto commovente e coinvolgente. L’autrice oltre a lasciarci una bellissima storia, ci racconta la maestria dell’arte pittorica, dei cavatori di ocra di Rousillon, di come venivano creati i colori che tutti i maestri pittori utilizzavano per creare le loro tele, ma soprattutto ci racconta la bellissima storia della vita di Lisette, che riuscirà a diventare finalmente una vera provenzale e una vera rousillonnese. Voto: 8

RECENSIONE – Amy Snow di Tracy Rees



Siamo in piena epoca Vittoriana. É l’anno 1831 e in una fredda mattina invernale Aurelia Vennaway, rampolla di una nobile e facoltosa famiglia, trova un fagottino urlante e nudo in mezzo alla neve. Se non fosse passata di là, la piccola, perché è una bimba, sarebbe sicuramente morta assiderata. Aurelia ha otto anni e la vorrebbe sempre con sé, come se fosse sua sorella, ma non rispecchia il volere dei suoi genitori, che la considerano una figlia del peccato e soprattutto non soddisfa sua madre, che sembra provare un odio profondo verso quell’esserino inerme. Suo padre, invece, preferisce ignorarla. Visto il periodo del ritrovamento viene chiamata Amy Snow. Aurelia è da sempre una bambina cocciuta e molto indipendente, ha idee tutte sue e spesso riesce a spuntarla anche sui suoi genitori. Crescendo riesce a tenere Amy vicino a sé, molto più di quanto sua madre voglia. Aurelia ed Amy, d’altronde, non potrebbero essere più diverse. Una è abbigliata elegantemente e destinata ad un matrimonio di convenienza che porti ulteriore ricchezza e prestigio alla famiglia e l’altra che è destinata nel  migliore dei modi a finire i suoi giorni come sguattera in una cucina. Ma il destino ci mette lo zampino. Aurelia si ammala e i pretendenti scompaiono all’orizzonte e con essi il fastoso matrimonio e il futuro pieno di ricchezze che sua madre sognava. Aurelia ha quindi anche l’opportunità, dapprima negatale, di partire per un viaggio insieme ad alcuni suoi amici. Amy però è costretta a rimanere a casa e non capisce, non riesce a comprendere l’abbandono. Il viaggio diventerà poi, sempre più lungo e il ritorno di Aurelia sempre più lontano ed ad Amy non rimangono che le lettere che Aurelia le spedisce da ogni posto che diventa meta del viaggio. Ma Aurelia alla fine torna dopo più di un anno di assenza e nonostante il rancore che prova, Amy si imbeve dell’amore e della presenza della sua amica, anche se durerà relativamente poco, perché Aurelia morirà  poco dopo. Amy a soli 17 anni e si ritrova così senza casa e senza un soldo, senza sapere cosa fare di se stessa. Ma come sempre a lei ci ha pensato Aurelia. Il suo lascito è una serie di lettere con delle istruzioni da seguire che porteranno Amy a fare lo stesso viaggio e a conoscere le stesse persone incontrate da Aurelia nel suo lungo pellegrinaggio. Un percorso che le permetterà in piena indipendenza economica di debuttare in società, conoscere nuove città, fare amicizia e conoscere anche l’amore. Da Londra, passando per Bath per arrivare fino a York, e conoscere infine la vera eredità di Aurelia. Bellissimi i due personaggi femminili. Quello di Aurelia, che ci viene raccontato da Amy o attraverso le sue lettere. Una donna moderna, ribelle ed idealista, che rifugge in tutto e per tutto i dettami dell’epoca. Ed Amy, che dopo aver subito una vita infelice, viene quasi costretta, dal lascito dell’amica, a cambiare profondamente se stessa, a rendersi indipendente. Molto azzeccati alcuni dei personaggi secondari tra cui spicca quello dell’anziana Mrs. Riverthorpe, donna quanto mai fuori dall’ordinario. Per essere un romanzo d’esordio è comunque molto ben scritto.  La storia è ben congegnata anche se alcune volte tende a dilungarsi un po’, ma il romanzo si legge comunque con piacere e la storia è in definitiva appagante. Consigliato soprattutto a chi ama il romanzo storico e l’epoca Vittoriana. Voto: 7+

martedì 26 settembre 2017

RECENSIONE – L’inverno del pesco in fiore di Marco Milani

RECENSIONE – L’inverno del pesco in fiore di Marco Milani

Il romanzo racconta la storia della famiglia Bondoli/Bardin dal 1900 ai giorni nostri, ma anche la storia della cittadina di Ladispoli. Effettivamente la storia ha inizio a Pechino nel periodo della ribellione dei Boxer, con un’amicizia che nasce nel pericolo tra Ernesto Bondoli, rampollo un po’ lassista di una grande e nobile famiglia, mandato al fronte dal patriarca perché sospeso dall’ennesima scuola, e Mario Bordin, che è un orfano e non ha mai avuto niente e nessuno. Tra i due nasce una complicità dettata dalla paura di Ernesto e dal coraggio di Mario, ma anche da una sorta di invidia che Mario ha per la famiglia di Ernesto, ammirata solamente attraverso una fotografia. Ernesto morirà in Cina per quello che, strano a dirsi, è un atto di coraggio e carità. Mario tornerà in Italia con un solo scopo, conoscere la famiglia di Ernesto e soprattutto Virginia da cui è rimasto molto colpito. Quindi va a Ladispoli. Dapprima Mario suscita nel vecchio patriarca Filiberto Bondoli, non pochi sospetti. Pensa che aspiri a qualcosa che lui non è propenso a concedergli, ma nell’arco degli anni, Mario che si fermerà a casa Bondoli, si rivelerà come quel figlio che il vecchio Filiberto da sempre sognava di avere, al contrario dei suoi, smidollati. Mario però finirà con lo sposare la Bondoli sbagliata, soffrendone sempre, fino a che il tempo lo ricongiungerà a Virginia, in un modo o in un altro, visto che i legami più forti hanno anche il potere di resistere allo scorrere del tempo e di superare le avversità. La storia della cittadina e della famiglia si arricchirà mano a mano. L’avvento del fascismo, i nuovi rampolli, la guerra, i bombardamenti, lo sbarco degli americani, la liberazione, li vediamo con gli occhi di Mario e degli altri personaggi. Tutto avrà una conseguenza sulla famiglia. Il romanzo è molto ricco di dettagli storici, ma rimane scorrevole e piacevole. Si denota il grande e certosino lavoro di ricerca effettuato dall’autore per rapportare il romanzo alla storia vera. La narrazione risulta comunque molto incalzante e col giusto ritmo che rende, nonostante la mole, il libro di facile lettura e risulta difficile staccarsene. Ogni personaggio ha la sua storia da raccontare, e l’autore le lega tra di loro formandone una completa e magnifica. Bellissimo il personaggio di Mario, nato con niente, diventa mano a mano la figura carismatica della storia: forte, coraggioso, deciso a difendere sempre la “sua” famiglia. Bellissimi e contrastanti i personaggi femminili nelle persone di Virginia, Aurora e Lidia. Tre personaggi diversissimi tra di loro, tre donne forti, tre caratteri particolari. Due ancorate alla famiglia, una che dalla famiglia vuole solo prendere e pretendere e non disdegna l’uso della menzogna e dell’inganno. L’inverno del pesco in fiore è la saga familiare della famiglia Bondoli, una storia efficace e bellissima che si legge con piacere, a tratti con commozione. Non nego di avere anche versato qualche lacrima per la sorte dei personaggi. Un romanzo completo e bellissimo. Consigliato! Voto: 8,5

RECENSIONE – La terra dei lupi di Sarah Hall



Rachel è una ricercatrice. Lavora con i lupi. É da molti anni che ha lasciato la sua casa e soprattutto la sua disastrata famiglia, se così si può chiamare. Un ricco nobile inglese le offre però un’opportunità per tornare a casa, avere un progetto di ricerca tutto suo e anche l’opportunità, forse, di riallacciare qualche tipo di rapporto con sua madre e suo fratello, con il padre no, non si sa chi sia, non l’ha mai saputo. Il progetto che il ricco mecenate le propone è la reintroduzione del lupo grigio in Inghilterra, con parecchi soldi a disposizione. Rachel ha dei dubbi, ma alla fine accetta, la possibilità di avere un progetto tutto suo le fa troppo gola. Ma si sa che quando si parla di lupi la gente si spaventa e torna alle solite paure latenti che sopravvivono dall’oscuro Medioevo e oltre: i lupi sono pericolosi, mangiano le bestie e attaccano gli uomini. Quindi Rachel ha il suo bel daffare all’inizio. A preoccuparla non è solo la riuscita del progetto ma anche altre problematiche. Ci sono gli irruenti contestatori che sostano davanti al cancello della proprietà che manifestano le loro paure, varie e-mail di minacce che appaiono molto concrete e la stranezza del mecenate del progetto, che sicuramente ha qualcosa da nascondere. Rachel ha anche un altro problema, grande, molto grande: sta per diventare madre, ma non ha né marito, né un compagno. Il figlio è frutto di una nottata alcolica di addio. E poi tornare a casa … perché casa non vuole dire per forza sentirsi a casa, perché non sempre il luogo che hai conosciuto si presenterà esattamente come lo si è lasciato anni prima. Anzi! Probabilmente lo si troverà decisamente diverso, trasformato e non soltanto nel territorio ma anche nel rapporto con una madre, che ad un certo punto ha preferito abbandonare, piuttosto che soccomberle, ad un fratello minore, che non ha proprio voglia di perdonare quella fuga di un tempo. L’autrice si districa sui vari livelli della storia perfettamente, raccontandola su piani diversi. La storia dei lupi e dello strano rapporto con il mecenate ed il rapporto con i familiari più prossimi della protagonista, fino al rapporto con il figlio non cercato, non voluto, ma non per questo meno amato. Il tutto amalgamato in una storia dove la psicologia dei personaggi la fa da padrone. Belle anche le atmosfere ambientali create ad hoc. Voto: 7

RECENSIONE – Questa non è una canzone d’amore di Alessandro Robecchi



Primo libro dedicato al personaggio di Carlo Monterossi, milanese, creatore dello spettacolo trash “Crazy Love”, dove l’amore e tutto quello che ne consegue, odio e tradimento, pace e litigi, bassezze, disgrazie, tragedie e lieti fine, vengono messi in piazza, anzi in tv, al grido di: “Anche questo fa fare l’amore!” Nauseato da se stesso e da quello che è diventata la sua idea, il programma Crazy Love, Carlo Monterossi si è deciso a mollare tutto. Non è piacevole sentirsi dire che si sta arricchendo sulla pelle della povera gente e di altri vip, che si vedono messi a nudo in prima serata. Ma proprio quando ha  scelto di mollare tutto, e pensa di godersi una ritrovata serenità, un killer tenta di ucciderlo in casa sua. Fortunatamente il tizio è un po’ maldestro e il Monterossi riesce a salvarsi. La polizia comincia ad indagare, soprattutto perché il tentato omicidio ha delle analogie con due precedenti uccisioni. Carlo Monterossi non è un uomo che si fidi troppo delle persone se non di se stesso, quindi conduce da sé un’indagine parallela a quella della polizia. Da qui ha inizio un susseguirsi di colpi di scena, di indagini con l’apparire di personaggi alquanto improbabili che rendono la lettura piacevole e scorrevole fino all’ultima pagina, a tratti anche divertente, soprattutto grazie alle ciniche battute che l’autore mette sulla bocca del protagonista. Che è proprio così: un cinico, bastardo, ma in fondo in fondo, ha un animo buono. Tra gli altri personaggi risaltano due killer filosofi, la presentatrice famosa ma non proprio intelligente, una coppia di zingari in cerca di vendetta e un gruppo di fanatici nazisti. Nelle indagini Carlo è aiutato dall’amico giornalista Oscar e dalla portiera-cameriera santificata alla Madonna di Medjugorje. Robecchi ci sa fare e crea un personaggio che dovrebbe essere sopra le righe, ma è cinico e geniale e soprattutto divertente. I suoi monologhi personali, anche se parlano di etica, di strada, del sensazionalismo del mondo odierno e dello sbattere in prima pagina il dolore, sono anche divertenti e proprio per questo vanno a segno. A fare da contorno alla storia è la città di Milano, con la sua realtà fatta anche di un hinterland popolato da gente non proprio per bene e non solo dai salotti della Milano da Bere. Bella anche la trama gialla che non viene trascurata, né messa in secondo piano, anzi, fa parte integrante della storia e si lega perfettamente al personaggio di Carlo Monterossi. Voto: 7,5

RECENSIONE – Central Park di Guillaume Musso



Immaginate di svegliarvi, dopo una normale serata insieme alle amiche, dopo qualche bicchiere di troppo, non ricordando nemmeno come avete fatto a tornare a casa. Immaginate che a casa non ci siete proprio tornate, anzi, vi trovate ammanettate ad uno sconosciuto dall’altra parte del mondo, a Central Park; voi che fino a poche ore prima eravate a Parigi. Niente documenti, niente soldi e avete addosso del sangue, che fortunatamente o sfortunatamente non il vostro. Ma soprattutto chi è il tizio ammanettato con voi? É così che si sveglia Alice, poliziotta francese. Per scoprire quello che le è successo non le resta che indagare portandosi dietro Gabriel, pianista Jazz, che la sera prima, giura che era a Dublino per un concerto. Niente è come sembra e ad Alice non resta che riannodare i fili della sua esistenza, cercando a ritroso nel tempo, per far luce ad un presente quanto mai oscuro. Molto abile Musso a creare un thriller nel thriller. Nel romanzo aleggia sempre quella sorta di suspence che lascia col fiato sospeso e invoglia il lettore a proseguire nella lettura. Alice si deve fidare di Gabriel? Musso scrive lasciandoci sempre con quel senso di incertezza, di paura, di fallibilità dell’essere umano. Tesse una trama che sembra adatta ad un film per quanta velocità sembra avere il susseguirsi di eventi e situazioni. Più che il personaggio di Alice a me è piaciuto quello insolito e misterioso di Gabriel e mi fermo qui per non rivelare nulla. Il finale è “quasi” a sorpresa, perché poco prima della fine si riesce ad intuire ciò che è vero e ciò che è falso in questa storia. Voto: 7