lunedì 27 novembre 2017

RECENSIONE – La figlia del boia di Oliver Potzsch



La figlia del boia è il primo volume della saga su Jacob Kuisl, boia della cittadina di Schongau e antenato dello scrittore. Siamo in Germania nel 1659, esattamente a Schongau cittadina sulle rive del fiume Lech. In una normale giornata viene ritrovato il corpo quasi esanime del figlio di uno dei cittadini, che morirà poco dopo. Il ragazzino ha uno strano segno, che sembra un segno diabolico, su una spalla e comincia a circolare la voce che ad ucciderlo sia stata una stregoneria. A farne le spese, come succedeva all’epoca, è la levatrice del paese, che era malvista già solo per il lavoro che faceva. Mettere le mani in posti come le parti intime femminili era considerata quasi una stregoneria, e pensiamo che molte di loro facevano uso infusi di erbe e medicamenti. Intorno alla figura della povera donna, Potzsch ci rammenta l’ignoranza e la superstizione che in quell’epoca rendevano le persone folli, tanto da uccidere degli innocenti. Proprio Jacob dovrebbe occuparsi di estorcerle la confessione di essere una strega, ma è proprio lui, che non crede affatto nella stregoneria, a volerci vedere chiaro sulle morti sospette e su altri incidenti accaduti in città, prima di mandare sul rogo una persona innocente. Lo aiutano la figlia maggiore e il suo innamorato, Simon, giovane medico della città, contro la volontà di alcuni dei potenti del villaggio. Nell’arco della storia scopriamo che il boia e la sua famiglia erano considerati come appartenenti ad una casta. Il mestiere era tramandato da padre in figlio, e le figlie e i figli del boia sposavano altri figli e figlie di boia. Il boia era ritenuto dalla comunità un “male” necessario al funzionamento della giustizia cittadina, temuto per il suo ruolo ma non rispettato come persona, e con esso la sua famiglia. Seppure trattasi di un romanzo, la storia che Potzsch ci racconta non è del tutto falsa. Certo ha trasformato il suo antenato Jacob Kuisl in un uomo senza macchia e senza paura, in un eroe.  Quindi, il nostro eroe, cercherà insieme ai due ragazzi, attraverso un’accurata indagine, a trovare il colpevole di tutto, evitando così che degli innocenti muoiano per quello che ha sempre fatto muovere il mondo, il vile denaro. Tra diavoli e streghe veri e presunti, incendi, sparizioni e rapimenti il nostro boia avrà il suo bel daffare, anche quello di prestare più di un’attenzione alla sua intelligentissima figliola. Voto: 6,5

RECENSIONE – Flavia de Luce e il delitto nel campo di cetrioli di Alan Bradley



Flavia de Luce e il delitto nel campo di cetrioli è il primo volume della serie dedicata da Alan Bradley all’undicenne Flavia de Luce, ragazzina molto al di fuori dal comune, con le sue passioni per la chimica, la morte e le investigazioni. Siamo in un paesino inglese, Bishop Lacey’s. Sono gli anni ’50, in un Inghilterra appena uscita dalla seconda guerra mondiale, ma con ancora forti rigurgiti di epoca vittoriana. Flavia è la terza figlia di Haviland e Henrietta de Luce. Le altre due sono Ophelia detta Feely, la maggiore di diciassette anni e Daphne detta Daffy, la seconda di tredici anni. La sua mamma è morta quando lei era molto piccola e non è che suo padre la ricopra di affetto, quindi Flavia è cresciuta davvero un po’ selvaggia. Abitano tutti nella vecchia e un po’ decrepita magione di famiglia, Buckshaw. A completare la famiglia ci sono il tuttofare Dogger e la governante – cameriera – cuoca, Sig.ra Mullet. Flavia passa la maggior parte del tempo chiusa nel laboratorio di chimica che era appartenuto al suo prozio Tar de Luce, soprattutto perché le sue sorelle non è che la sopportino molto, anzi è spesso sottoposta alle loro vessazioni, tant’è che la prima immagine che ne abbiamo e di lei legata e chiusa in un armadio della soffitta, scherzetto delle due simpatiche signorine. Ma Flavia è intelligente, molto. Anzi, è un piccolo genio e le sue sorelle non possono competere con lei, anche se ha solo undici anni. La storia parte dal ritrovamento proprio da parte di Flavia del cadavere di un uomo nel campo di cetrioli di Buckshaw. Un uomo che la stessa sera Flavia aveva sentito discutere con suo padre. L’uomo spira proprio davanti a lei con un’ultima parola: “Vale!”. Per qualche astruso motivo il commissario Hewit accusa suo padre e lo arresta e a Flavia non resta che indagare per salvarlo. Lei pensa che stia proteggendo il loro tuttofare Dogger, un uomo rimasto shoccato dalla guerra e che delle volte poteva essere preda di attacchi d’ira. Quindi  Flavia con la sua arguzia ci porterà a conoscenza di svariati indizi che confluiranno tutti in un’unica direzione, quella del ritrovamento del vero assassino. Tutto ruoterà intorno a dei francobolli di grande valore, scomparsi molti anni prima, quando Haviland de Luce era uno studente ed era soprannominato “Jacko”. In un susseguirsi di eventi incalzanti, il lettore prende parte alle indagini con Flavia, maledicendo l’incompetenza della polizia ed esultando per ogni nuova scoperta, di quella che, sono sicura, diventerà con facilità l’eroina dei suoi lettori. Ma attenzione. Il romanzo oltre a raccontarci storie divertenti ci pone davanti ad un personaggio complesso come non dovrebbe essere una ragazzina di undici anni. Ma Flavia ha subito la grave perdita della mamma e l’isolamento dell’unico genitore rimasto non l’aiuta, e non l’aiutano nemmeno le continue e malevoli parole delle suo sorelle maggiori, a cui lei dice di non credere, ma che effettivamente le fanno molto male, tanto che escogita numerose “vendette chimiche” soprattutto contro la sorella maggiore Ophelia, che lei considera la responsabile anche del comportamento di Daphne. Flavia adora Dogger, forse più di suo padre, perché in determinati frangenti è lui che ne prende il posto, soprattutto nel ruolo di “insegnante”. Quindi abbiamo il giallo, la chimica, una storia divertente e ammiccante, un personaggio ben espresso e Bradley è riuscito a creare quella che si chiama alchimia. Tutto funziona a perfezione tanto da rendere credibile anche la genialità dell’undicenne Flavia. Voto: 7,5