La figlia del boia è il primo
volume della saga su Jacob Kuisl, boia della cittadina di Schongau e antenato
dello scrittore. Siamo in Germania nel 1659, esattamente a Schongau cittadina
sulle rive del fiume Lech. In una normale giornata viene ritrovato il corpo
quasi esanime del figlio di uno dei cittadini, che morirà poco dopo. Il
ragazzino ha uno strano segno, che sembra un segno diabolico, su una spalla e
comincia a circolare la voce che ad ucciderlo sia stata una stregoneria. A
farne le spese, come succedeva all’epoca, è la levatrice del paese, che era
malvista già solo per il lavoro che faceva. Mettere le mani in posti come le
parti intime femminili era considerata quasi una stregoneria, e pensiamo che
molte di loro facevano uso infusi di erbe e medicamenti. Intorno alla figura
della povera donna, Potzsch ci rammenta l’ignoranza e la superstizione che in
quell’epoca rendevano le persone folli, tanto da uccidere degli innocenti.
Proprio Jacob dovrebbe occuparsi di estorcerle la confessione di essere una
strega, ma è proprio lui, che non crede affatto nella stregoneria, a volerci
vedere chiaro sulle morti sospette e su altri incidenti accaduti in città,
prima di mandare sul rogo una persona innocente. Lo aiutano la figlia maggiore
e il suo innamorato, Simon, giovane medico della città, contro la volontà di
alcuni dei potenti del villaggio. Nell’arco della storia scopriamo che il boia
e la sua famiglia erano considerati come appartenenti ad una casta. Il mestiere
era tramandato da padre in figlio, e le figlie e i figli del boia sposavano
altri figli e figlie di boia. Il boia era ritenuto dalla comunità un “male”
necessario al funzionamento della giustizia cittadina, temuto per il suo ruolo
ma non rispettato come persona, e con esso la sua famiglia. Seppure trattasi di
un romanzo, la storia che Potzsch ci racconta non è del tutto falsa. Certo ha
trasformato il suo antenato Jacob Kuisl in un uomo senza macchia e senza paura,
in un eroe. Quindi, il nostro eroe,
cercherà insieme ai due ragazzi, attraverso un’accurata indagine, a trovare il
colpevole di tutto, evitando così che degli innocenti muoiano per quello che ha
sempre fatto muovere il mondo, il vile denaro. Tra diavoli e streghe veri e
presunti, incendi, sparizioni e rapimenti il nostro boia avrà il suo bel
daffare, anche quello di prestare più di un’attenzione alla sua
intelligentissima figliola. Voto: 6,5
lunedì 27 novembre 2017
RECENSIONE – Flavia de Luce e il delitto nel campo di cetrioli di Alan Bradley
Flavia de Luce e il delitto nel
campo di cetrioli è il primo volume della serie dedicata da Alan Bradley all’undicenne
Flavia de Luce, ragazzina molto al di fuori dal comune, con le sue passioni per
la chimica, la morte e le investigazioni. Siamo in un paesino inglese, Bishop
Lacey’s. Sono gli anni ’50, in un Inghilterra appena uscita dalla seconda
guerra mondiale, ma con ancora forti rigurgiti di epoca vittoriana. Flavia è la
terza figlia di Haviland e Henrietta de Luce. Le altre due sono Ophelia detta
Feely, la maggiore di diciassette anni e Daphne detta Daffy, la seconda di
tredici anni. La sua mamma è morta quando lei era molto piccola e non è che suo
padre la ricopra di affetto, quindi Flavia è cresciuta davvero un po’
selvaggia. Abitano tutti nella vecchia e un po’ decrepita magione di famiglia,
Buckshaw. A completare la famiglia ci sono il tuttofare Dogger e la governante –
cameriera – cuoca, Sig.ra Mullet. Flavia passa la maggior parte del tempo
chiusa nel laboratorio di chimica che era appartenuto al suo prozio Tar de
Luce, soprattutto perché le sue sorelle non è che la sopportino molto, anzi è
spesso sottoposta alle loro vessazioni, tant’è che la prima immagine che ne
abbiamo e di lei legata e chiusa in un armadio della soffitta, scherzetto delle
due simpatiche signorine. Ma Flavia è intelligente, molto. Anzi, è un piccolo
genio e le sue sorelle non possono competere con lei, anche se ha solo undici
anni. La storia parte dal ritrovamento proprio da parte di Flavia del cadavere
di un uomo nel campo di cetrioli di Buckshaw. Un uomo che la stessa sera Flavia
aveva sentito discutere con suo padre. L’uomo spira proprio davanti a lei con
un’ultima parola: “Vale!”. Per qualche astruso motivo il commissario Hewit
accusa suo padre e lo arresta e a Flavia non resta che indagare per salvarlo.
Lei pensa che stia proteggendo il loro tuttofare Dogger, un uomo rimasto
shoccato dalla guerra e che delle volte poteva essere preda di attacchi d’ira. Quindi Flavia con la sua arguzia ci porterà a
conoscenza di svariati indizi che confluiranno tutti in un’unica direzione,
quella del ritrovamento del vero assassino. Tutto ruoterà intorno a dei
francobolli di grande valore, scomparsi molti anni prima, quando Haviland de
Luce era uno studente ed era soprannominato “Jacko”. In un susseguirsi di
eventi incalzanti, il lettore prende parte alle indagini con Flavia,
maledicendo l’incompetenza della polizia ed esultando per ogni nuova scoperta,
di quella che, sono sicura, diventerà con facilità l’eroina dei suoi lettori.
Ma attenzione. Il romanzo oltre a raccontarci storie divertenti ci pone davanti
ad un personaggio complesso come non dovrebbe essere una ragazzina di undici
anni. Ma Flavia ha subito la grave perdita della mamma e l’isolamento dell’unico
genitore rimasto non l’aiuta, e non l’aiutano nemmeno le continue e malevoli
parole delle suo sorelle maggiori, a cui lei dice di non credere, ma che
effettivamente le fanno molto male, tanto che escogita numerose “vendette
chimiche” soprattutto contro la sorella maggiore Ophelia, che lei considera la
responsabile anche del comportamento di Daphne. Flavia adora Dogger, forse più
di suo padre, perché in determinati frangenti è lui che ne prende il posto,
soprattutto nel ruolo di “insegnante”. Quindi abbiamo il giallo, la chimica,
una storia divertente e ammiccante, un personaggio ben espresso e Bradley è
riuscito a creare quella che si chiama alchimia. Tutto funziona a perfezione
tanto da rendere credibile anche la genialità dell’undicenne Flavia. Voto: 7,5
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