lunedì 26 marzo 2018

RECENSIONE – Una vita come tante di Hanya Yanagihara



Questo romanzo è, forse, uno dei libri più belli che ho letto negli ultimi 5 anni e di libri ne ho letti parecchi. Prima di leggerlo avevo sentito e letto pareri molto discordanti. Chi lo aveva trovato bellissimo, un capolavoro della letteratura moderna, molto pochi e chi, tanti, lo avevano tacciato di essere noioso, lungo e addirittura una “furbata” commerciale. Io, da parte mia, l’ho trovato struggente, dolce, malinconico, entusiasmante e crudele, tanto crudele, ma bellissimo. Molti lo considereranno un romanzo sull’amicizia, ma non è solo questo, è molto di più. É anche una storia sull’accettazione di sé, sulla psiche umana, sui maltrattamenti, sull’autolesionismo, i sensi di colpa e la vergogna,  e sul dolore fisico e dell’anima.  Il romanzo ha per protagonista Jude St. Francis e gran parte della sua vita. Lo conosciamo intorno ai vent’anni, età in cui si apre il romanzo, mentre vive e studia all’Università di Boston insieme a tre inseparabili amici: Willem Ragnarsson, aspirante attore, Malcolm Irvine aspirante architetto e JB Marion aspirante pittore. Ancora al di là dall’affermarsi professionalmente, sempre a contare gli spicci per andare avanti a parte Malcolm ricco di famiglia, ma forti della loro amicizia. Ma Jude ha una storia che nasconde a tutti anche ai suoi amici, nonostante gli voglia bene. Una storia di traumi indelebili di un’infanzia violata, un corpo malato di cui deve tener conto e la sua incapacità di instaurare un rapporto di fiducia con gli altri e di accettare e prendere per veri i pochi momenti di felicità che la vita gli riserva. La storia è raccontata a capitoli alternati dai vari protagonisti di cui ascolteremo tutte le voci, le impressioni, le emozioni, ma saranno incentrati tutti sul rapporto che hanno con Jude, che è uno dei personaggi più belli che ho incontrato nei libri di letteratura contemporanea. É un uomo lacerato sia nel fisico che nella psiche, ha un dolore incurabile di cui si prende tutte le colpe,  ma nonostante questo risulta essere un personaggio bellissimo ed è difficile non rimanerne conquistati, anche se delle volte ho sopportato a fatica il suo autolesionismo. Forse il titolo in italiano non rende molto ed è distante dalla trama del libro, il titolo originale tradotto, “Una piccola vita” avrebbe forse reso meglio il senso della storia. Anche se la scrittrice è una donna, la storia è tutta al maschile, le donne restano sullo sfondo, molto sfumate. Uomini che risultano essere vittime e carnefici, capaci delle peggiori bassezze e crudeltà, ma anche della più umana gentilezza. La Yanagihara fa una profonda esplorazione dell’universo maschile: le paure, la vergogna di esporsi soprattutto per rispettare i canoni imposti dalla società. Una vita come tante affronta, insieme ai suoi protagonisti, tutte le sfumature della psiche umana: gli abusi subiti in età infantile, il trauma che accompagna l’età adulta, i sensi di colpa, la vergogna, l’autolesionismo, fino al desiderio di morire. L’autrice riesce a raccontare tutto con estrema delicatezza e sensibilità. É un bel tomo di millecento pagine che mi hanno conquistata. Un libro che ha vita propria e che da vere sensazioni di claustrofobia, gioia, affetto, sofferenza, nausea e libertà. Bellissima la caratterizzazione di quelli che sono i co-protagonisti, Willem, Malcolm e JB. Non dimenticando Harold, Julie, Andy e Richard, più sfumati, ma con una parte fondamentale nella storia. “Essere amico di Jude significava spesso non porsi le domande che ci si sarebbe dovuti porre, per paura delle risposte”. Consigliatissimo. Voto: 10

giovedì 15 marzo 2018

RECENSIONE – Orient di Christopher Bollen



Bollen è un romanziere americano che si è voluto cimentare per la prima volta in un giallo. Ha voluto provare, vista la sua dichiarazione di essere un discepolo di Agatha Christie. Il prologo che Bollen scrive per presentare il romanzo ai lettori è una sorta di esca per convincere a proseguirne la lettura. Come dicevo è un giallo, ma forse è più un thriller psicologico, diciamo che sta nel mezzo. Siamo ad Orient, un piccolo villaggio nei pressi di Long Island. É un paradiso tranquillo, o almeno sembra, e i suoi abitanti ne sono molto orgogliosi. In quel luogo i residenti sentono di appartenere, e tutto ciò che viene da fuori é considerato un intruso e pericoloso: possa essere un turista o un ragazzino di diciannove anni. Infatti Mills, protagonista del romanzo, arrivato lì insieme a Paul, vecchio proprietario di una casa di famiglia, viene considerato un intruso, e soprattutto pericoloso, visti i suoi non proprio chiari trascorsi. Soprattutto i vicini di Paul, i Muldoon sono quelli più attivi nel voler contenere l’arrivo del numero di persone esterne a Orient. Li conosceremo piano, piano gli abitanti di Orient. Pagina dopo pagina, verremmo a sapere i loro oscuri segreti, la loro grettezza, tutto quello che si può nascondere sotto un tappeto, facendo finta di nulla. Finché non accade l’ineluttabile: due omicidi. Omicidi che riguardano due vecchi abitanti di Orient, il tuttofare e l’apicoltrice. E non è da qui che il romanzo ha la vera scossa, perché per ben 333 pagine riusciamo con fatica a seguire la trama, che di giallo non ha nulla, nonostante il doppio omicidio. Dalla pagina 334, dopo un accadimento particolare, si inizia la corsa fino ad arrivare alla fine. Il tranquillo paesino, dove tutti pensavano di conoscere tutti, viene scosso fino alle fondamenta da questi corpi senza vita. E insieme ai dubbi emergono gli scheletri nell’armadio di più di qualche persona, e la falsa facciata di tranquillità viene travolta e lacerata dagli eventi. Gli abitanti però fanno fronte comune e il principale sospettato è “quello che viene da fuori”, quindi il ragazzino strano ospitato da Paul. Mills è costretto ad indagare parallelamente all’indagine di polizia. Anche lui ha i suoi segreti e non vuole certamente rivelarli a nessuno, ma non ha ucciso lui quelle persone. Lo aiuta Beth Fielding, artista fallita, tornata ad Orient con il marito Gavril, anche lui artista, ma molto famoso, che fa parte di quella branchia di persone che i residenti di Orient odiano. Come ho già detto Bollen ha avuto solo il demerito delle prime noiose 333 pagine, che non sono scritte male, anzi … ma fondamentalmente se si parla di thriller e gialli, si pensa che il libro debba correre, e correre sempre. Invece l’inizio è lentissimo, quasi che quello che Bollen ci stia raccontando, faccia parte di un’altra storia a sé stante. Però la seconda parte, la parte del thriller del giallo è ben congegnata, scritta benissimo. Bella la psicologia dei personaggi che viene svelata senza fretta, concedendo ad ogni pagina, piccoli indizi che vanno piano piano a formare un’unicum. Orient è un buon giallo, non superlativo e Bollen deve farne di gavetta per raggiungere le vette della sua adorata Agatha. Voto: 6,5