lunedì 21 maggio 2018

RECENSIONE – Potete perdonarla? di Anthony Trollope



Anthony Trollope è stato uno di quegli scrittori ad avere la sfiga atavica di nascere in un periodo dove di scrittori, anche molto buoni, ve n’erano a bizzeffe. Lui si è trovato di fronte a scrittori come Dickens e Thackeray, e non dico altro. Ma Trollope è stato uno scrittore validissimo, di razza pura. Ha senso dell’umorismo, descrive molto bene le scene del romanzo, i suoi dialoghi risultano vivi e i suoi romanzi hanno anche tensione e suspense. Potete perdonarla? (primo volume del ciclo Pellisser), é la domanda che viene posta spesso al lettore dal narratore. Voce gentile che ci accompagna con i suoi commenti a volte neutri, a volte di parte, a volte ironici, ma sempre garbati, lungo tutto l’arco della narrazione. La domanda che è nel titolo “Potete perdonarla?” si riferisce alla protagonista della storia, Alice Vavassor, una signorina non ricca, ma imparentata con le migliori famiglie britanniche. Ha un’età al limite dello zitellaggio, è molto bella, ma ha un desiderio di indipendenza per l’epoca veniva visto come una discesa all’inferno, quello di poter decidere per conto proprio della sua vita. Lo può fare, perché è in possesso di una propria rendita che però attira corteggiatori come insetti. La troviamo, all’inizio del romanzo, fidanzata con John Grey, che non è altro che un gioco di parole per farci capire il carattere dell’uomo: pacato, saggio, prevedibile, senza grandi entusiasmi. John Grey vive in un posto considerato bruttissimo nel Cambridgeshire, Nethercoats, dove lui si trova benissimo. Ma Alice? Alice veniva già da un fidanzamento, con suo cugino George Vavasor, rotto per l’opposta situazione caratteriale del Sig. Grey; suo cugino è un farabutto, un imbroglione, un mangiasoldi, e tutto quello che ci può essere di male in un “gentiluomo” inglese. Tra la disapprovazione di tutti e complice un viaggio insieme al cugino e alla cugina in Svizzera, Alice romperà il fidanzamento con John Grey, pentendosene quasi immediatamente, per poi fidanzarsi di nuovo col cugino scellerato che mira solo al suo denaro, soprattutto ci mira nell’immediatezza, visto che gli serve per comprarsi un seggio in parlamento.
É un tomo di 1000 pagine che segue non solo le vicende di Alice, di George e di John, ma di una numerosa quantità di personaggi propri del romanzo vittoriano. Non mancano quindi la giovane Lady Glencora che molta parte avrà in questa storia, come la cugina Kate, sorella di George, come la vedova Greenhow. Tutte donne dal carattere forte e indipendente per quell’epoca. Donne che non sono contente, e ammettono anche di fronte ai propri mariti, di essersi sposate perché costrette. Sembrerebbe essere il matrimonio il tema principale del libro, ma non è così, tutto dipende dal reddito, il vero protagonista di questa storia è il denaro, che uno ha e che uno non ha. Per un gentiluomo e una gentildonna non era previsto lavorare, anche se il loro reddito era bassissimo, per questo molte di queste persone si sposavano solo per denaro. Per questo George corteggia Alice e per questo il ricco possidente Cheesacre tenterà di sposare la vedova Greenow. Trollope tesse una bella storia d’amore, ma comincia ad introdurci anche nei giochi politici dell’epoca. La sua caratterizzazione dei personaggi è straordinaria. Crescono mano a mano che la storia avanza. Li riempie di delicatezza e simpatia, di bruttezza e violenza, di dissoluzione e disillusione. Le donne soprattutto anticipano i cambiamenti che avverranno in seguito, nel tempo, reclamando quella sorta di indipendenza dal mondo maschile e dal matrimonio. Voto: 8

lunedì 7 maggio 2018

RECENSIONE - I Beati Paoli di Luigi Natoli


Questo romanzo viene pubblicato a cavallo tra il 1909 e il 1910. Sfondo del racconto è la bellissima Sicilia del diciottesimo secolo tra regni spagnoli e sabaudi, dove la nobiltà la faceva da padrone e il popolino era ignorante e schiavo. Ma come in tutte le storie che si rispettino, c’è sempre qualche persona “illuminata”, che nonostante il suo ceto elevato, considera ingiustizie tutte le cattiverie e i soprusi che il popolo vessato deve subire in silenzio, pena il carcere o la morte. C’è qualcuno che lavora nell’ombra e rende giustizia. Persone che non si conoscono tra di loro, perché agiscono sempre a volto coperto. Istituiscono processi, condannano ed eseguono sentenze, secondo la loro giustizia, quella dei Beati Paoli. La storia si apre nel gennaio del 1698, durante i festeggiamenti per la fine della guerra tra Spagna e Francia. Don Raimondo Albamonte, secondogenito di nobile stirpe, destinato all’avvocatura di Stato, non ha mai amato il Duca Emanuele, suo fratello, nonostante questi non gli abbia mai precluso nulla. Viene a sapere che suo fratello è morto in un’ultima battaglia, ma il suo disappunto è grande. Non è lui  che erediterà il titolo e i possedimenti degli Albamonte. Sua cognata Aloisia è incinta e a meno che non sia una femmina, il titolo andrà ad un lattante a cui dovrà baciare la mano. Appena sua cognata partorisce, un maschio che verrà chiamato come il padre Emanuele, Don Raimondo, con tutti mezzi illeciti, cercherà di uccidere la donna e il figlio, per arrogare a se il potere e tutto quello che ne deriverà in termine di soldi e possedimenti. Ritroviamo, nella seconda parte del libro, Don Raimondo ormai divenuto da tempo Duca della Motta, impegnato in altri festeggiamenti, quelli per l’incoronazione di Vittorio Amedeo di Savoia come Re di Sicilia. Impegnato a cercare di entrare nelle grazie del nuovo re, ma anche spaventato da oscure minacce che gli vengono recapitate nel suo ufficio o addirittura nel suo palazzo. Qualcuno conosce il suo segreto, le sue malefatte, la sua usurpazione del titolo. Entrano a questo punto in scena i personaggi che definire comprimari è difficile, per quanta parte hanno nella storia, alcuni dei quali sono realmente esistiti. Donna Gabriella, moglie del Duca della Motta è una bellissima donna e nonostante sia sposata ad un nobile importante è contornata da un “codazzo” di uomini che vorrebbero entrare nelle sue grazie, ma che lei, nonostante faccia un po’ la civetta, non ha mai considerato, anche se il suo è sicuramente solo un matrimonio di facciata. Il Duca, suo marito, è molto più vecchio di lei, è già stato sposato e ha una figlia adolescente. Dal nulla o quasi, spunta un ragazzo molto bello, Blasco da Castiglione, che in un modo un po’ somigliante a D’Artagnan entra in contatto con la nobiltà di Palermo e con la stessa contessa. Un frate sa che Blasco nasconde una parentela eccelsa e lo presenterà a quello che dovrebbe essere suo zio, il Duca Raimondo della Motta. Che Donna Gabriella noti la differenza di beltà tra Blasco e suo marito non c’è nemmeno da dirlo, ma che Blasco non approfitti della situazione, in quanto animo candidissimo, nemmeno la duchessa lo avrebbe previsto. Don Raimondo, non è uno stupido, e ha notato la forte somiglianza di Blasco con suo fratello Emanuele, e pensa di tenerlo legato a se in qualche modo. Ma Blasco, preferirà andare via dalla casa per non compromettere Donna Gabriella, e si trasferirà da un nobile che si è rivelato un vero amico, il nobile signore Coriolano della Floresta. Una sorte diversa avrà un altro personaggio, Emanuele, nipote di don Girolamo Ammirata, di cui sapremo subito essere il figlio scomparso e non morto di Donna Aloisia e Don Emanuele, quindi il vero erede del ducato della Motta. Peripezie, avventure, duelli e tribunali segreti, condanne, sentenze e uomini incappucciati. Travestimenti, tradimenti e giuramenti di sangue. Un po’ tra Il conte di Montecristo, I tre moschettieri e Robin Hood, cui sicuramente il Natoli ha dato più di un’occhiata e da cui ha attinto più di qualcosa.
“- Signore, - esclamò, - non avete forse alcun interesse per la vostra gola? Volete giocarla? Sono a vostra disposizione …
-       Voi dovete una spiegazione anche a me …
-       Non ve la negherò. Quando vorrete … - rispose Blasco.
-       Oggi alle quattro …
-       Vi domando perdono; alle quattro sono impegnato con un altro cavaliere della guardia reale sulla spianata dei Cappuccini. Vi prego di favorire là per le quattro e mezzo.
Se ne andò, lasciando i due nuovi avversari che si guardavano sorpresi, e pensando:
-       Adesso ne ho tre sulle braccia: andiamo a cercare questo testimonio benedetto.”
Molto belle le descrizioni della Palermo seicentesca di cui tutt’ora si possono ammirare tutti i palazzi che vengono nominati nella storia. Bello l’intreccio storico ai personaggi fittizi, ma di qui a dire che questo romanzo sia il vademecum della mafia odierna ce ne passa. Voto: 7