mercoledì 24 maggio 2023

RECENSIONE - I leoni di Sicilia. La saga dei Florio vol. 1 di Stefania Auci (di Maria Lombardi)

 


È una saga familiare che narra, attraverso le vicende che vedono coinvolte tre generazioni, settanta anni di storia locale e nazionale.

Il racconto è incentrato sulla famiglia Florio, senza dimenticare i fatti storici che ruotano attorno ai protagonisti; anzi, talvolta proprio gli eventi storici influenzano le vicende della narrazione e le vite dei personaggi.
Tutto ha inizio nel 1799, quando gli ambiziosi fratelli Paolo e Ignazio, decisi a migliorare le loro condizioni di vita, lasciano Bagnara Calabra, i loro affetti e la società con il cognato e sbarcano a Palermo.
In poco tempo, grazie alla loro ostinazione e al lavoro duro, rendono la loro aromateria la migliore della città e gettano le basi di un impero che comprenderà il commercio dello zolfo, l’acquisto di case e terreni degli ormai squattrinati nobili palermitani, le compravendite di merci, le tonnare, le produzioni vinicole e le flotte di navi per gestire i trasporti.
I Florio, tuttavia, faticano a essere accettati dalla società palermitana, nella quale una nobiltà decaduta e squattrinata si oppone ostinatamente alla nascita di una borghesia commerciale e imprenditoriale: i due fratelli sono visti come facchini, “putecari”.
Il romanzo rende omaggio al coraggio delle donne, in un'epoca in cui la loro sorte era “mischina”: il loro compito, infatti, si limitava a procreare possibilmente figli maschi, gli unici a ereditare, mentre il maschio comandava e incuteva timore e rispetto.
Più che romanzo storico, “I leoni di Sicilia” può essere considerato un documentario romanzato: numerosi, infatti, sono i rimandi alle vicende politiche dell’epoca che influirono sullo sviluppo economico e sociale della Sicilia. I capitoli sono introdotti da una breve premessa storica che inquadrano gli eventi più salienti del periodo narrato e che giustificano realisticamente il vissuto dei protagonisti.
Non mancano detti popolari ed espressioni dialettali che rendono più reali e umani i protagonisti.
La struttura della trama è semplice e la lettura è piacevole. I personaggi sono ben caratterizzati e le scene descrittive sono piene di profumi, colori e oggetti che trasportano il lettore nei luoghi e nei tempi narrati.

lunedì 1 maggio 2023

RECENSIONE - Delitti d'élite. Un crimine letterario di Philip Wylie e Bernard A. Bergman

Prima pubblicazione per la nuova giovanissima casa editrice viterbese Settechiavi.
Il debutto tra gli editori è con l’uscita di un romanzo pubblicato solo negli Stati Uniti nel 1935 a opera del duo Philip Wylie e Bernard A. Bergman. Nella sua prima uscita negli Stati Uniti, il libro uscì in pochissime copie e in forma anonima. Ricevette diverse recensioni molto positive su rubriche di giornali e riviste dedicate alla narrativa poliziesca, ma in tutto vendette 2.984 copie tra l’11 marzo 1935 e il 30 giugno 1937.
Altre recensioni vennero scritte anni dopo fino ad arrivare al 1969, dove a Jerry Ward fu commissionata la stesura di una sceneggiatura per farne un film, che non verrà mai alla luce. Però questo diede modo a Ward di scoprire l’identità dell’autore. Acquistando una copia del libro, quasi introvabile, il suo libraio ne scovò uno usato con un autografo sul frontespizio.

Il libro è piccino, poco più che un racconto. Infatti è di poco sotto le duecento pagine. È un giallo molto ben fatto e ha decisamente una trama molto originale.
Quando il critico di gialli Wendell Hyat viene trovato morto, riverso in una doccia, con un ghigno gelido, in occasione di un tè letterario che serviva da presentazione del suo ultimo libro, Da Poe alla pletora (sottotitolo: Quando G.K. Chesterton, S.S. Van Dine, Sax Rohmer e Dashiell Hammett si ritrovarono alle prese con un omicidio), il sergente della polizia Michael “Mike” O’Casey, si ritrova con una lista infinita di sospettati.
Ma non solo. Fra gli invitati del tè letterario vi figurano quattro grandi famosi giallisti che si intestardiranno a voler a tutti i costi indagare sull’omicidio.

I personaggi in questione sono niente meno che G. K. Chesterton autore dei libri di Padre Brown, S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright) autore dei libri di Philo Vance, Sax Rohmer (pseudonimo di Arthur Henry Sarsflield Ward) autore dei libri sul criminale Fu Manchu, e Dashiell Hammett autore dei libri sui personaggi di Continental Op e Sam Spade nominati proprio dal critico letterario nel sottotitolo del suo libro.
Come è prevedibile, ogni scrittore vuole svolgere la propria indagine personale, utilizzando il “modus operandi” del personaggio in cui si identifica. Quindi per Chesterton sarà padre Brown, per Van Dine sarà Philo Vance, per Sax Rohmer Fu Manchu e per Hammett, oltre che scrittore anche investigatore, sarà quello di tirare fuori la sua pistola in ogni momento.

La trama si evolve grazie all’interazione dei quattro detective con il detective O’Casey e con l’attore John Ballantine, che è anche il narratore della storia.
Nella casa, tra gli invitati, figurano anche altri personaggi di spicco del mondo reale riconoscibili. Alcuni Vanderbilt, qualche Astor, George Gershwin e altri inventati di sana pianta come lo stesso John Ballantine e il detective O’Casey.
Ci troveremo così a rincorrere eventuali assassini che ogni scrittore penserà di riconoscere, utilizzando i metodi investigativi delle loro creazioni, arrivando al colpo di scena finale, che farà crollare il muro di carta creato dagli stessi scrittori.
Per essere un romanzo del 1935 devo dire che ancora funziona, e molto, molto bene. L’intreccio costruito dai due autori è piacevole. Si passa da una storia all’altra, da un indizio all’altro, che poi si rivelano insufficienti, oppure vengono soppiantanti da altro. Ognuno degli scrittori rincorre la sua verità, pensando che la “sua” sia quella vera e giusta. Ognuno avrà modo di accusare qualcuno e gli altri penseranno a smontare le accuse dicendo la propria. Fino all’epilogo finale, con il colpo di scena, che nei gialli seri non manca mai.

È una vera parodia, escogitata benissimo dai due autori che ci fa pensare che conoscessero bene le opere dei quattro grandi autori di gialli.
Le loro caratterizzazioni sono esasperate, ma accurate. Il libro è una lettura piacevole, e la sua attrattiva sta nelle situazioni intriganti e divertenti che si vengono a creare durante le investigazioni, piuttosto che in qualche elemento di suspense.
Consigliato!

Silvia Marcaurelio