martedì 28 giugno 2022

RECENSIONE - Dalle nove a mezzanotte. Brisa la Stria vol. 2 di Paola Rambaldi


Secondo episodio della Serie della “Stria” Brisa, che in dialetto emiliano-romagnolo significa “Non farlo” la quale, con il suo particolare potere divinatorio, continua a scoprire dove la gente scompare o come finiranno matrimoni e fidanzamenti, solo passando la sua lunga treccia sulle foto delle persone in questione.

In questo nuovo episodio si ha un salto temporale, passiamo dagli anni ’50 del primo volume, al 1963 di questo secondo volume, ma ripartiamo da dove avevamo lasciato la Brisa; con il suo addio a Gorino e la scomparsa del nipote Lucianino.

Brisa è particolare per il suo tempo. È una rock ‘n’roll woman. È alta un metro e settantacinque, capelli lunghi e nerissimi, ma quello che colpisce di più, è la sua eterocromia, una pupilla nera e una bianca in contrasto tra loro e in più quel potere divinatorio che possiede, che non fa altro che “accertare” il suo essere una strega, malvista, malvoluta, che “porta male”, ma che tutti cercano.
La ritroviamo al Borgo, che abita con la famiglia della zia Lina, i Corpodicristo; la zia è una eccellentissima “cagacazzi” (parole sue), le due cugine “stronze” Sara e Cheti e i due cugini “scimuniti” Azzo e Cino. Brisa è già storta di per sé per aver mollato Primino che le manca, ma non vuole ammetterlo, in più ha questi parenti serpenti che non fanno altro che spennarla, schiavizzarla, vessarla e prenderla per il culo. Ma un tetto sulla testa lo deve pur avere visto che a trent’anni suonati è ancora single.

Il romanzo parte con un “quasi” omicidio che Brisa sventa senza volere. Don Celso ha organizzato una gita per i giovani di Serravalle e del Borgo all’isola d’Elba. L’Antonio Ciacci, chiamato da tutti Little Tony per la somiglianza della sua “banana” a quella del divo, ha una discussione con Jolanda, la figlia del maresciallo Bellugi, che guarda caso, dopo un po’ viene ripescata in acqua, solo perché Brisa se ne accorge.
Ma non è tutto qui… dopo poco tempo, scompare la vicina di casa della famiglia della zia Lina, l’Avemaria. È andata al cimitero tutta ingioiellata come sempre e non ha più fatto ritorno. Fatto sta che Brisa, il giorno della sua scomparsa, ha avvistato un tizio con una vanga al di fuori del cimitero.
Ma la successione di eventi continua in maniera costante, tra Il Borgo, Bologna, Serravalle, Minerbio e Gorino. Colpi di scena, personaggi che lì per lì non sembrano avere verve né senso, all’improvviso assurgono al ruolo di protagonisti con azioni che non consentono al lettore nessuna distrazione.

Diciamo che il libro è anche un po’ un “on the road”, tra canzoni di Elvis e quelle di Gino Paoli, tra ironia tutta emiliano romagnola, un linguaggio a dir poco popolare e non ci si annoia mai. Brisa passa anche in secondo piano, più e più volte, anche se ha sempre un gancio con quelli che svolgono in un modo o nell’altro l’azione anche lontano da lei.
La Rambaldi è brava a trattare argomenti anche delicati con ironia e leggerezza, soprattutto quando parla di bambini. Belli anche i frammenti del passato che ritroviamo nelle tradizioni popolari e nelle atmosfere che ci riportano veramente in quegli anni, che ancora chiamiamo meravigliosi, ma che forse, per chi li ha vissuti, non era proprio così.
Il romanzo della Rambaldi è al di fuori di tutti i canoni, non gli si può dare una collocazione definitiva, è magia, verità, mistero, adrenalina; il tutto condensato in poche pagine.

È l’umanità della gente vera, e non dei soliti protagonisti tutti scienza e muscoli, è la protagonista che è una donna normale, che si strugge per amore, e per l’indipendenza. È la parlata del volgo, i pettegolezzi di paese e le credenze popolari. È una foto spaccata di un mondo che non esiste più e che forse qualcuno rimpiange davvero.

Silvia Marcaurelio


sabato 11 giugno 2022

RECENSIONE - Delitti a Fleat House di Lucinda Riley

Norfolk, giorni nostri.

In un collegio inglese in stile vittoriano, precisamente nel dormitorio di Fleat House, muore uno studente, Charlie Cavendish, per quello che dapprima il Preside e la polizia locale poi, considerano come un incidente casuale.
Ma l’autopsia rivelerà che il ragazzo è morto per uno shock anafilattico causato dall’assunzione di aspirina a cui il ragazzo era allergico.
Charlie, soffriva di epilessia e l’attacco allergico era stato scambiato per un attacco epilettico.
Vista l’importanza della famiglia, appartenente a una nobiltà di vecchio stampo che ancora attecchisce in Inghilterra, per far luce sull’accaduto viene chiamata a indagare la polizia della capitale, sicuramente più preparata della polizia del piccolo paese.
A occuparsi dell’indagine sarà l’ispettrice Jazmine “Jazz” Hunter.

Jazz si è appena trasferita nel Norfolk, in un cottage delizioso in mezzo alla campagna inglese e ancora non sa se vuole tornare a vestire i panni della poliziotta. L’anno sabbatico passato in Italia tra arte e cibo non le hanno fatto ancora dimenticare il perché della sua fuga: la fine disastrosa del suo matrimonio con un collega.
Ma il suo capo pensa che questa possa essere l’indagine giusta per lei, quella che la possa far tornare sul campo. Jazz, solo per fare un favore al capo Norton, accetta di seguire l’indagine, coadiuvata dal suo compagno di sempre, il sergente Alistair Miles e dalla psicologa criminale Isabelle “Issy” Sheriff.

Come già indicato all’inizio, il caso sembra un semplice errore di scambio. Charlie prendeva abitualmente delle pillole per l’epilessia che potevano essere facilmente confuse con quelle dell’aspirina. Ma la domanda che si fa Jazz, dopo aver scoperto anche il suicidio dello stimatissimo professore di latino della scuola, è se lo scambio sia stato effettuato per caso o era tutto già premeditato. Jazz si troverà impelagata in vecchie storie e oscuri segreti che sono stati racchiusi per molto tempo tra le mura di Fleat House, a che ora stanno prepotentemente tornando a galla.

Dietro a tutto questo, si dipanano altre storie, di altri personaggi che sono legati comunque a Fleat House. La storia disgraziata di David Millar che è passato da essere un uomo di successo, con una bellissima famiglia e una bellissima casa, a un beone, quasi un clochard.
Alla sua ex moglie, un’arrampicatrice sociale, che dopo aver spennato il suddetto, pensa bene di fidanzarsi con il suo avvocato divorzista e di rendere la vita all’ex marito un inferno.bA farne le spese di tutto ciò, è il loro figlio tredicenne, Rory. Un’anima candida che ha un segreto più grande di lui e pensa bene di sparire.
É chiaro che la vicenda è molto più complicata di quanto potesse sembrare all’inizio e non sarà facile per Jazz venirne a capo e soprattutto separare la vita personale da quella lavorativa.

Questo romanzo è l’unico giallo tra la grande produzione letteraria di Lucinda Riley. Anche in questo libro l’autrice ha dato prova della grande tecnica che la portava a spaziare in generi diversi con grande capacità narrante e con la creazione di trame e protagonisti carismatici e ambientazioni da sogno come nelle migliori tradizioni dei libri gialli.
Peccato che Lucinda non ci sia più, perché leggendo il libro, soprattutto nel finale, si capisce che questa avrebbe potuto essere una nuova saga letteraria e con nuove storie da raccontare. Chissà che la storia di Jazz non venga proseguita dal figlio di Lucinda, Harry Whittaker, che ha curato la rilettura di questo libro scritto dall’autrice nel 2006.


 

martedì 7 giugno 2022

RECENSIONE - M Sul bordo dell'abisso di Bernard Minier

Il romanzo di Minier si annuncia in questo modo:
“AVVERTENZA
Tutte le tecnologie descritte in questo romanzo esistono o sono in fase di sviluppo. Le applicazioni e i dispositivi che scoprirete qui sono già stati implementati in diversi Paesi, in modo quasi identico a quello narrato in questa storia. Perché non si svolge nel futuro, bensì adesso.”
Hong Kong, anno di grazia 2019.
Moira è una giovane donna che arriva ad Hong Kong dalla Francia, per lavorare presso la compagnia Ming Inc. che si occupa dell’ambizioso progetto di creare e immettere sul mercato un chatbot dal nome quasi troppo pretenzioso di DEUS. Moira dovrà aiutare DEUS a diventare più umano, ad assumere una propria personalità e ad avere delle vere emozioni. DEUS dovrà essere la forma elettronica di Intelligenza Artificiale che permetterà all’uomo di non dover più decidere nulla, sarà lui a pensarci.

Appena arriva viene avvicinata dalla polizia di Hong Kong, la mettono subito in guardia su Ming Jianfeng, il proprietario della Ming Inc., non è un uomo pulito, la voglio convincere a fargli da talpa, ma lei non sa nemmeno di quello che parlano.
Mano a mano che Moira si inserisce nel nuovo ambiente di lavoro scopriamo insieme a lei il mondo delle Intelligenze artificiali, dei dati che elaborano e vengono elaborati dai Big Data e da tutte le possibili cause e complicazioni che queste macchine potrebbero creare una volta preso il sopravvento e tolto il libero arbitrio all’umanità. Si può rinunciare alle proprie libertà per un mondo più “sicuro”?
Come se tutto questo non sia già inquietante di per sé, Moira si accorge che qualcuno all’interno della Ming, sta creando delle “distorsioni” nell’apprendimento di DEUS, facendolo divenire molto cupo e oscuro, con pensieri non proprio cristiani (non nel senso di religiosi), verso il mondo intero.

In più, perché nonostante tutto, questo è un romanzo giallo, un sadico e spietato killer, sottopone le sue vittime ad atroci e raccapriccianti torture. É un uomo sadico e crudele che uccide senza provare nessuna emozione se non attraverso il dolore degli altri e per questo è stato soprannominato L’oscuro principe del dolore. Le donne uccise lavoravano o hanno lavorato per la Ming Inc. e Moira rientra perfettamente nel cliché del killer.
Sullo sfondo di una Hong Kong illuminata all’apparenza, ma che nasconde moltissime ombre, quella di una società piena di contraddizioni, da una parte avanzata tecnologicamente, ma sudicia, esotica e putrida, dai mille lussi ma anche dalle povertà più misere si svolgeranno le azioni dei nostri protagonisti.
Moira avverte la necessità e la consapevolezza di essere sola in quel marasma che pullula di vita e di morte. Al suo fianco due poliziotti che più diversi non potrebbero essere: Chan, il giovane. Ancora illuso che il suo lavoro possa cambiare il mondo e la città. Elijah, il vecchio. Disilluso, disamorato, disperato.

Il finale è tutto adrenalina. Ma è tra le pagine del romanzo che ti viene voglia di gridare: “Oh, mamma mia!”
È angosciante, illuminante, claustrofobico, scritto meravigliosamente. Fino al finale, dove non mancano i colpi di scena. Bellissimi i personaggi creati da Minier. Bella Moira, che sembra la francesina spaesata con il naso all’insù, ma che nelle pagine del libro e soprattutto nel finale si rivelerà, intelligente e forte. Bello il personaggio di Chan, il poliziotto giovane. Sembra un chierichetto. Un ingenuo, un don Chisciotte prestato a Hong Kong, che combatte contro molti mulini a vento.
Bello il personaggio di Elijah, il poliziotto vecchio. Che è deprimente solo a vederlo. Dai vestiti alla faccia. È uno zombie che cammina, ma che alla fine ha un moto di orgoglio per il lavoro che fa e per la città in cui vive.
Bello il personaggio di Ming Jianfeng, Ma non vi dico niente, ve lo dovete scoprire da soli.
Belli i comprimari che girano intorno, e perfettamente incastrati, a questi tre personaggi chiave.

L’angoscia alla fine rimane. La voglia di gettare tutti gli apparecchi elettronici che avevo a portata di mano è rimasta. Ma alla fine questa recensione finirà comunque su internet, su un blog o su un social network. Il mondo è questo!
“M. Sul bordo dell’abisso” è il romanzo migliore finora letto in questo anno, imperdibile.

Silvia Marcaurelio

 

venerdì 3 giugno 2022

RECENSIONE - La moglie di Dante di Marina Marrazza


Mentre di Dante e Beatrice si è scritto tanto, della moglie del sommo poeta si sa poco o quasi nulla. Marina Marrazza, per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante e il centenario della nascita del padre, anche lui di nome Dante, dà vita e parola a questa donna oscurata dalla fama del marito e della donna da lui cantata. Gemma Donati, figlia di Ser Manetto e di Maria, intorno al 1285 sposa Dante, un uomo non ricco e potente, e gli dà quattro figli: Giovanni, Pietro, Jacopo e Antonia, detta Nina. Il matrimonio era stato concordato anni prima, con una dote di 200 fiorini piccoli, ma Gemma subisce il fascino del cugino Corso, condottiero e politico, tra i personaggi storici principali e più ammirati della Firenze medievale. Gemma, chiamata “testa di ruggine” da Corso, è passionale e concreta (è lei a prendere l’iniziativa con Dante), ha sentimenti forti e buon senso, amministra e regge la casa. Diventa la “vedova bianca” di Dante prima dei trent’anni, in una Firenze lacerata dalle lotte tra guelfi e ghibellini e tra le due fazioni guelfe, bianca e nera, che distruggeranno vite e patrimoni. Quando prevalgono i neri, Dante viene accusato di aver abusato del suo ufficio e di aver tradito la città e, di conseguenza, condannato al rogo; da questo momento sarà esule. Passeranno molti anni prima che la coppia possa riunirsi e Gemma deve portare avanti la famiglia da sola, con l’aiuto economico della sua famiglia di origine. Attraverso gli occhi di Gemma, scopriamo aspetti inediti del sommo poeta. Dante è testardo e un po’ presuntuoso: per ben due volte, gli viene offerta la possibilità di rientrare a Firenze ma non accetta di pagare delle ammende e di chiedere scusa pubblicamente, costringendo così alla sua stessa sorte i figli maschi al compimento del quattordicesimo anno di età. Oltre a Dante, abbiamo modo di conoscere meglio personaggi oggetto dei nostri studi come Guido Cavalcanti, Giotto, Brunetto Latini, e altri legati alla vita familiare di Gemma come lo spavaldo cugino Corso Donati, la fedele Gilla e la pia Piccarda. Il romanzo è avvincente e scorrevole, una giusta combinazione di storia, linguistica (l’autrice ringrazia chi l’ha aiutata a sciacquare “i panni nell’Arno del Trecento”), biografia, fiction, poesia, letteratura, tutto in uno stile impeccabile. Consigliatissimo!