La figlia del boia è il primo
volume della saga su Jacob Kuisl, boia della cittadina di Schongau e antenato
dello scrittore. Siamo in Germania nel 1659, esattamente a Schongau cittadina
sulle rive del fiume Lech. In una normale giornata viene ritrovato il corpo
quasi esanime del figlio di uno dei cittadini, che morirà poco dopo. Il
ragazzino ha uno strano segno, che sembra un segno diabolico, su una spalla e
comincia a circolare la voce che ad ucciderlo sia stata una stregoneria. A
farne le spese, come succedeva all’epoca, è la levatrice del paese, che era
malvista già solo per il lavoro che faceva. Mettere le mani in posti come le
parti intime femminili era considerata quasi una stregoneria, e pensiamo che
molte di loro facevano uso infusi di erbe e medicamenti. Intorno alla figura
della povera donna, Potzsch ci rammenta l’ignoranza e la superstizione che in
quell’epoca rendevano le persone folli, tanto da uccidere degli innocenti.
Proprio Jacob dovrebbe occuparsi di estorcerle la confessione di essere una
strega, ma è proprio lui, che non crede affatto nella stregoneria, a volerci
vedere chiaro sulle morti sospette e su altri incidenti accaduti in città,
prima di mandare sul rogo una persona innocente. Lo aiutano la figlia maggiore
e il suo innamorato, Simon, giovane medico della città, contro la volontà di
alcuni dei potenti del villaggio. Nell’arco della storia scopriamo che il boia
e la sua famiglia erano considerati come appartenenti ad una casta. Il mestiere
era tramandato da padre in figlio, e le figlie e i figli del boia sposavano
altri figli e figlie di boia. Il boia era ritenuto dalla comunità un “male”
necessario al funzionamento della giustizia cittadina, temuto per il suo ruolo
ma non rispettato come persona, e con esso la sua famiglia. Seppure trattasi di
un romanzo, la storia che Potzsch ci racconta non è del tutto falsa. Certo ha
trasformato il suo antenato Jacob Kuisl in un uomo senza macchia e senza paura,
in un eroe. Quindi, il nostro eroe,
cercherà insieme ai due ragazzi, attraverso un’accurata indagine, a trovare il
colpevole di tutto, evitando così che degli innocenti muoiano per quello che ha
sempre fatto muovere il mondo, il vile denaro. Tra diavoli e streghe veri e
presunti, incendi, sparizioni e rapimenti il nostro boia avrà il suo bel
daffare, anche quello di prestare più di un’attenzione alla sua
intelligentissima figliola. Voto: 6,5
lunedì 27 novembre 2017
RECENSIONE – Flavia de Luce e il delitto nel campo di cetrioli di Alan Bradley
Flavia de Luce e il delitto nel
campo di cetrioli è il primo volume della serie dedicata da Alan Bradley all’undicenne
Flavia de Luce, ragazzina molto al di fuori dal comune, con le sue passioni per
la chimica, la morte e le investigazioni. Siamo in un paesino inglese, Bishop
Lacey’s. Sono gli anni ’50, in un Inghilterra appena uscita dalla seconda
guerra mondiale, ma con ancora forti rigurgiti di epoca vittoriana. Flavia è la
terza figlia di Haviland e Henrietta de Luce. Le altre due sono Ophelia detta
Feely, la maggiore di diciassette anni e Daphne detta Daffy, la seconda di
tredici anni. La sua mamma è morta quando lei era molto piccola e non è che suo
padre la ricopra di affetto, quindi Flavia è cresciuta davvero un po’
selvaggia. Abitano tutti nella vecchia e un po’ decrepita magione di famiglia,
Buckshaw. A completare la famiglia ci sono il tuttofare Dogger e la governante –
cameriera – cuoca, Sig.ra Mullet. Flavia passa la maggior parte del tempo
chiusa nel laboratorio di chimica che era appartenuto al suo prozio Tar de
Luce, soprattutto perché le sue sorelle non è che la sopportino molto, anzi è
spesso sottoposta alle loro vessazioni, tant’è che la prima immagine che ne
abbiamo e di lei legata e chiusa in un armadio della soffitta, scherzetto delle
due simpatiche signorine. Ma Flavia è intelligente, molto. Anzi, è un piccolo
genio e le sue sorelle non possono competere con lei, anche se ha solo undici
anni. La storia parte dal ritrovamento proprio da parte di Flavia del cadavere
di un uomo nel campo di cetrioli di Buckshaw. Un uomo che la stessa sera Flavia
aveva sentito discutere con suo padre. L’uomo spira proprio davanti a lei con
un’ultima parola: “Vale!”. Per qualche astruso motivo il commissario Hewit
accusa suo padre e lo arresta e a Flavia non resta che indagare per salvarlo.
Lei pensa che stia proteggendo il loro tuttofare Dogger, un uomo rimasto
shoccato dalla guerra e che delle volte poteva essere preda di attacchi d’ira. Quindi Flavia con la sua arguzia ci porterà a
conoscenza di svariati indizi che confluiranno tutti in un’unica direzione,
quella del ritrovamento del vero assassino. Tutto ruoterà intorno a dei
francobolli di grande valore, scomparsi molti anni prima, quando Haviland de
Luce era uno studente ed era soprannominato “Jacko”. In un susseguirsi di
eventi incalzanti, il lettore prende parte alle indagini con Flavia,
maledicendo l’incompetenza della polizia ed esultando per ogni nuova scoperta,
di quella che, sono sicura, diventerà con facilità l’eroina dei suoi lettori.
Ma attenzione. Il romanzo oltre a raccontarci storie divertenti ci pone davanti
ad un personaggio complesso come non dovrebbe essere una ragazzina di undici
anni. Ma Flavia ha subito la grave perdita della mamma e l’isolamento dell’unico
genitore rimasto non l’aiuta, e non l’aiutano nemmeno le continue e malevoli
parole delle suo sorelle maggiori, a cui lei dice di non credere, ma che
effettivamente le fanno molto male, tanto che escogita numerose “vendette
chimiche” soprattutto contro la sorella maggiore Ophelia, che lei considera la
responsabile anche del comportamento di Daphne. Flavia adora Dogger, forse più
di suo padre, perché in determinati frangenti è lui che ne prende il posto,
soprattutto nel ruolo di “insegnante”. Quindi abbiamo il giallo, la chimica,
una storia divertente e ammiccante, un personaggio ben espresso e Bradley è
riuscito a creare quella che si chiama alchimia. Tutto funziona a perfezione
tanto da rendere credibile anche la genialità dell’undicenne Flavia. Voto: 7,5
venerdì 29 settembre 2017
RECENSIONE – Florence Grace di Tracy Rees
Dopo il successo ottenuto con il
suo precedente romanzo “Amy Snow”, Tracy Rees ci riprova con un nuovo personaggio
femminile, Florence Grace. Florence, detta Florrie abita in un piccolo
villaggio rurale della Cornovaglia, insieme a suo padre e a sua nonna Nan.
Nonostante non abbia mai conosciuto sua madre Elizabeth, stranamente ne
conserva il ricordo. Si capisce subito
che è una bambina speciale. Da sola nella brughiera non si perde mai, riesce
sempre, anche in condizioni disagevoli, a ritrovare la strada. Ha la facoltà di
scrutare nell’anima delle persone, quasi a vederne il futuro. Florrie viene
quindi cresciuta da sua nonna Nan, libera di vagare nella brughiera. Se la
perdita di sua madre l’aveva accettata, quella di suo padre la prostra in
maniera inverosimile, solo la vecchia Rilla, una sorta di druido del villaggio,
riesce a salvarla da sé stessa e da una morte per consunzione. A tredici anni
Florence vede una buona possibilità di guadagno in un lavoro da cameriera in
città, a Truro. É solo per una sera, ma qualche soldo in più in casa non fa mai
male. Incuriosita da questa nuova esperienza, Florence rimane incantata da
tutto quello che vede. Il ballo, i vestiti, tutto le sembra più splendente. Tra
i tanti, nota due giovanotti. Uno che si nasconde dietro le tende in un
anfratto dove passa solo la servitù. L’altro che fissa tutti con uno sguardo
torvo ed irriverente che mostra sicuramente la poca voglia di essere lì in quel
momento. I due sono i rampolli della
nobile famiglia Grace. Sanderson, biondo e solare e Turlington, scuro e
ombroso. Tornata a casa la mattina seguente dopo aver incontrato Turlington
nelle stalle, Florrie nei giorni seguenti non riesce a dimenticare i due e ne
parla con Rilla. Poco tempo dopo Nan si ammala e prima di morire le rivela che
anche lei è una Grace da parte di sua madre. Nan ha chiesto quindi al vecchio
patriarca Grace di prenderla con loro dopo la sua morte, nella sua famiglia. E
che famiglia! Un nonno dispotico, una zia cattiva e due cugine che fanno di
tutto per metterla in cattiva luce. Sembra piacere al solo Sanderson, e un poco
forse, anche a suo nonno. Florence non ha mai dimenticato Turlington e quello
che si erano detti quella mattina nella stalla, e nemmeno lui sembra averla
dimenticata. Ma la loro è una storia di discesa all’inferno e per qualcuno sarà
senza ritorno. Florence è abituata a badare a se stessa. Non ha bisogno di
crinoline e gioielli. Nonostante la società non fosse così liberale con le
donne e ne minasse le libertà personali, Florence riesce ad essere
indipendente, moderna e positiva. Non accetta costrizioni e soprattutto mai
metterà se stessa nelle mani di un uomo inaffidabile. Non è una Cenerentola e
non desidera un principe. Per Florrie ognuno si sceglie il destino da sé, se lo
crea rinunciando, anche se fa male, all’amore indissolubile, tormentato e
passionale, che potrebbe annullarla, perché può essere felice e contenta anche
senza. Bella la protagonista nella sua determinazione e nella sua voglia di indipendenza.
Bella la sua dimostrazione dei sentimenti nonostante la bigotteria dell’epoca
vittoriana. Bello il suo non aver paura del futuro, perché la sua storia se la
scrive da sé. Belli anche i paesaggi maestosi della Cornovaglia ed essendoci
stata, capisco la voglia di Florence di tornarvi a tutti i costi. Per gli
amanti del genere. Voto: 7+
RECENSIONE – Uno sparo nel buio di Vincenzo Cerracchio
Siamo nel 1922. Presso il
Tribunale della Corte di Assise di Roma, si sta svolgendo il processo ad
Ignacio Mesones, unico imputato per l’omicidio di sua moglie, Bice Simonetti,
il cui corpo fu rinvenuto sul Lungotevere Marzio in una gelida mattina del
febbraio del 1918. É morta con un colpo di pistola sparatole alla tempia. Il
Mesones è accusato di aver simulato un suicidio. Tutto sembra piuttosto
semplice: l’arma è stata ritrovata e il colpevole anche, non fosse che il
Mesones, all’epoca dei fatti, era già completamente cieco. La storia si divide
tra tribunale e redazioni dei giornali. Avvocati della difesa contro Pubblici
Ministeri, cronisti di vecchia data e giovani cronisti d’assalto. Verrà
ricostruita tutta la vicenda tramite le varie e contraddittorie testimonianze,
le svariate perizie dei medici, le audizioni dei complici o presunti tali, in
un Italia del primo dopoguerra con i primi accenni di quello che sarà il
fascismo. L’Italia dei governi deboli, degli scontri di piazza, dei primi
vagiti del femminismo. L’autore racconta il crimine come un fatto di cronaca,
probabilmente avvezzo a ciò, visto il suo esser stato per tanti anni cronista
de “Il Messaggero”. La scrittura risulta secca e lineare e ha il merito di
tenere il lettore attento sul fatto di cronaca, tra l’altro realmente avvenuto.
Il caso è difficile e una soluzione lontana, non fosse che all’orizzonte di chi
ne parla si profilano strani personaggi e lettere di minacce nemmeno tanto
velate. Qualcuno vuole per forza che il Mesones paghi per un omicidio che forse
non ha commesso, o forse non ha commesso da solo. Il protagonista principale è
Diego, giovane cronista de “Il Giornale d’Italia” che prova a scoprire la
verità, forse scomoda, aiutato da Caterina, futura psicologa, femminista di
prima mano, impegnata a dimostrare che il Mesones era incapace di intendere e
di volere, dovuto alla sua condizione psico-fisica. Diego è sfacciato e
sfrontato al punto giusto, proprio come dovrebbe essere un cronista. Vuole la
verità assoluta e nonostante le minacce tende ad andare avanti per la sua
strada. La storia sembra essere confusa, soprattutto per la moltitudine dei
personaggi, ma l’autore riesce a sciogliere bene i fili che legano la matassa e
a costruire una trama basata su ogni piccolo dettaglio, ogni loro parola. La sua
scrittura risulta scorrevole e i personaggi ben caratterizzati, e riesce a
mantenere, tramite loro, dubbi, incertezze e una giusta suspense. Voto: 7,5
giovedì 28 settembre 2017
RECENSIONE – Corruzione di Don Winslow
Don Winslow torna in libreria ed
io sono contenta. Sono sempre di parte con lui, visto che è uno dei miei
scrittori preferiti, che non sono nemmeno tanti. Quando compro un suo libro non
mi pento mai, alla fine, bene o male, o sono dei libri belli o dei capolavori. Questo
è un capolavoro allo stesso livello de “Il potere del cane” e de “Il cartello”.
Dopo aver parlato ampiamente dello spaccio di droga e del cartello messicano,
stavolta Winslow torna a casa sua, a New York. Ci porta all’interno della “Da
Force”, una squadra d’elite della NYPD. Con Don Winslow non ci dobbiamo
comunque aspettare una storiella semplice. No, lui ci va giù duro, in tutto
quello che fa. Di solito le sue storie hanno sempre un fondamento di verità e
quindi ti lasciano quel senso di impotenza e ti mostra la fallibilità
dell’uomo, anche del più integerrimo. Il protagonista della storia è Danny
Malone. Sembra un uomo tutto d’un pezzo, un poliziotto di quartiere, duro e
spietato con la criminalità. Lui è il re di Manhattan North e tutti devono sapere
come ci si comporta. É un uomo pericoloso e spietato, armato fino ai denti, che ama
la sua città, forse anche troppo. A governare con lui ci sono i suoi fratelli
sbirri: Russo, Billy O e Bigh Monthy. Le strade di Manhattan North sono le sue.
Lui sa tutto e vede tutto. Niente eroina, prostituzione, niente gang e niente
armi. La gente normale non deve morire per gli affari altrui. Lui è l’eroe
della Da Force. Le altre forze di polizia fanno come credono. La narcotici ha
lo spaccio, la omicidi gli ammazzamenti e loro? Loro fanno quello che vogliono
e nessuno ci deve mettere bocca. Ma qualcuno vuole giocare duro. I nuovi
spacciatori di droga e quelli che vendono armi stanno mirando ad espandersi. Le
nuove gang portoricane non vogliono prendere ordini, soprattutto dalla polizia
e le armi servono per controllare lo spaccio di droga che sta passando di mano.
Malone e i suoi tendono un agguato al nuovo boss della droga Peña. Loro non
sono dei stinchi di santo, non lo sono mai stati e quando hanno l’opportunità
di prendere lo fanno, senza guardare in faccia nessuno. Sono uomini violenti e
lo stipendio di un poliziotto non è nulla, non serve a far mangiare la
famiglia, soprattutto quando hai dei figli che devono andare all’università.
L’agguato va bene e male. Billy O rimane ucciso, ma Malone e gli altri si
spartiscono soldi e droga. La storia della Da Force, si lega alle storie
personali dei protagonisti e soprattutto di quella di Danny Malone. Storie
private, di bustarelle che vanno di mano in mano, di alleanze e tradimenti, di
famiglie, di corruzione. Mano a mano che la storia incalza alla fine è Malone
che scenderà all’inferno, perché come tutti i personaggi di Winslow il confine
che li divide tra il bene e il male è molto sfumato e labile. Winslow crea
all’inizio un eroe, te lo fa piacere, te lo fa amare, per poi schiantarlo in
basso molto in basso. E si sa che da più in alto si cade, più rumore si fa.
Danny Malone è un antieroe, è uno sbirro, ma anche un delinquente. Pulisce le
strade dalla criminalità, ma è anche un assassino. E un infame! Il tutto in una
New York sporca, frenetica, esagerata, dove scoperto un orrore, se ne palesa un
altro più orrendo ancora, dove c’è un potente corrotto, sicuramente ce n’è un
altro ancora più potente e più corrotto. Bella l’introspezione del protagonista
quando parla di sé e della corruzione che da il titolo al libro. Quando si
comincia a sorpassare la linea dell’onestà? Quando si inizia a prendere i primi
soldi senza sentirne il peso? Quando si trasforma un trafficante in un informatore?
Quando si mandano a puttane regole e regolamenti e leggi? Perché per la legge
americana ogni reato è trattabile, ogni pena si può sistemare con un accordo, e
ogni accordo può essere superato da uno più sporco. Perché ogni giudice si può
comprare e tutti gli avvocati possono essere ricattati. L’affresco creato da
Winslow è perfetto, mirabile, impareggiabile, in ogni suo particolare, in ogni
dettaglio. Tutte le parole, i dialoghi, le descrizioni e le azioni dei
personaggi sono perfette. Non c’è una parola fuori posto. Si legge a ritmo
cadenzato e si riesce ad immaginare ogni più piccolo dettaglio, ogni schifezza
e alla fine, come in ogni romanzo di Winslow, nessuno avrà gloria, nessuno avrà
giustizia, nessuno avrà pietà di un ex eroe diventato cattivo di fronte ad un
mondo cattivo. Voto: 9
mercoledì 27 settembre 2017
RECENSIONE – La lista di Lisette di Susan Vreeland
Parigi, 1937. Lisette ed André si
sposano giovanissimi. Entrambi lavorano con piacere in una galleria d’arte, ma
quasi alla soglia del conflitto mondiale sono costretti, a malincuore,
soprattutto per Lisette, a trasferirsi nel paese natale di André, Rousillon, in
Provenza, per prendersi cura di Pascal, il nonno di quest’ultimo. Non si poteva
fare altrimenti, André era stato cresciuto dallo stesso Pascal e gli doveva
almeno la sua vicinanza in un momento di bisogno. Ma Lisette prende proprio
male il trasferimento, soprattutto perché stava per ottenere il lavoro dei suoi
sogni. Nemmeno Maurice, il conducente della corriera del paese, vero
Provenzale, riesce a strapparle un sorriso e scoprire che Pascal non sta poi
così male la fa infuriare ancora di più. Lisette deve comunque sopportare per
amore di André. Ma Pascal, all’interno
della sua casa, mostra loro il motivo
della loro venuta a Rousillon. Sette quadri appesi alle pareti che raffigurano
montagne, casolari, campi, fanciulle e nature morte. Sette quadri che Lisette,
grazie agli insegnamenti dell’amico Maxime, riesce a capire che sono dei veri
capolavori di artisti molto importanti. Mentre incomincia a muovere i
primi passi a Rousillon, Pascal le racconta della sua vita parigina, di quando
conosceva i grandi pittori, come Pizarro e Cezanne, e che qualcuno di loro, per
pagare le sue bellissime cornici, lo saldava in quadri. Quadri molto preziosi
che sono quelli ancora in suo possesso e sono la sua stessa vita. Dopo avergli
raccontato tutta la sua vita e la storia di ogni quadro Pascal muore come se
avesse assolto tutti i suoi doveri. Ma non sarà il solo ad andarsene, la guerra
incombe ed André, insieme al suo vecchio amico parigino Maxime, partono per il
fronte. Prima di partire André nasconde i quadri di Pascal senza rivelare dove
sono a Lisette perché quei quadri potrebbero costituire per lei un pericolo. La
ricerca dei quadri diventerà per Lisette una sorta di caccia al tesoro che
l’aiuterà a sopportare l’assenza di André e il doversi adattare alle mancanze
che una guerra può portare. Vivrà con la paura di ricevere sempre notizie dal
fronte, finché un giorno le riceverà per davvero. André è morto in battaglia e
Maxime risulta disperso e lei è sola in un posto dove non vuole essere. Sogna
Parigi che ora è occupata dai tedeschi, la brama. Ma è costretta a reinventarsi
di fronte alle esigenze e alla mancanza di denaro. Grazie all’aiuto di Maurice
e della moglie riesce in qualche modo a sopravvivere al lutto e alla fame.
Sempre grazie a Maurice riuscirà a conoscere Chagall e sua moglie Bella, che le
regaleranno un quadro con una capra, che le ricorderà la sua. Riuscirà ad
emancipare le donne del paese e a farle entrare in un bar, perché anche loro
hanno bisogno di sentire il giornale radio come gli uomini. Capirà che non
tutti quelli che sembrano essere cattivi lo sono per davvero. E grazie a Maxime
ritornato dalla guerra, dopo una durissima prigionia, riuscirà di nuovo ad
imparare ad amare. Bellissima storia dove l’arte la fa da padrona. Romanzo di
crescita e speranza di amicizia e voglia di vivere. É un romanzo, che nonostante
racconti la guerra, rimane venato di ottimismo e romanticismo. In alcune
parti risulta essere molto commovente e
coinvolgente. L’autrice oltre a lasciarci una bellissima storia, ci racconta la
maestria dell’arte pittorica, dei cavatori di ocra di Rousillon, di come
venivano creati i colori che tutti i maestri pittori utilizzavano per creare le
loro tele, ma soprattutto ci racconta la bellissima storia della vita di
Lisette, che riuscirà a diventare finalmente una vera provenzale e una vera
rousillonnese. Voto: 8
RECENSIONE – Amy Snow di Tracy Rees
Siamo in piena epoca Vittoriana. É
l’anno 1831 e in una fredda mattina invernale Aurelia Vennaway, rampolla di una
nobile e facoltosa famiglia, trova un fagottino urlante e nudo in mezzo alla
neve. Se non fosse passata di là, la piccola, perché è una bimba, sarebbe
sicuramente morta assiderata. Aurelia ha otto anni e la vorrebbe sempre con sé,
come se fosse sua sorella, ma non rispecchia il volere dei suoi genitori, che
la considerano una figlia del peccato e soprattutto non soddisfa sua madre, che
sembra provare un odio profondo verso quell’esserino inerme. Suo padre, invece,
preferisce ignorarla. Visto il periodo del ritrovamento viene chiamata Amy
Snow. Aurelia è da sempre una bambina cocciuta e molto indipendente, ha idee
tutte sue e spesso riesce a spuntarla anche sui suoi genitori. Crescendo riesce
a tenere Amy vicino a sé, molto più di quanto sua madre voglia. Aurelia ed Amy,
d’altronde, non potrebbero essere più diverse. Una è abbigliata elegantemente e
destinata ad un matrimonio di convenienza che porti ulteriore ricchezza e
prestigio alla famiglia e l’altra che è destinata nel migliore dei modi a finire i suoi giorni come
sguattera in una cucina. Ma il destino ci mette lo zampino. Aurelia si ammala e
i pretendenti scompaiono all’orizzonte e con essi il fastoso matrimonio e il
futuro pieno di ricchezze che sua madre sognava. Aurelia ha quindi anche
l’opportunità, dapprima negatale, di partire per un viaggio insieme ad alcuni
suoi amici. Amy però è costretta a rimanere a casa e non capisce, non riesce a
comprendere l’abbandono. Il viaggio diventerà poi, sempre più lungo e il
ritorno di Aurelia sempre più lontano ed ad Amy non rimangono che le lettere
che Aurelia le spedisce da ogni posto che diventa meta del viaggio. Ma Aurelia
alla fine torna dopo più di un anno di assenza e nonostante il rancore che
prova, Amy si imbeve dell’amore e della presenza della sua amica, anche se
durerà relativamente poco, perché Aurelia morirà poco dopo. Amy a soli 17 anni e si ritrova così
senza casa e senza un soldo, senza sapere cosa fare di se stessa. Ma come
sempre a lei ci ha pensato Aurelia. Il suo lascito è una serie di lettere con
delle istruzioni da seguire che porteranno Amy a fare lo stesso viaggio e a
conoscere le stesse persone incontrate da Aurelia nel suo lungo pellegrinaggio.
Un percorso che le permetterà in piena indipendenza economica di debuttare in
società, conoscere nuove città, fare amicizia e conoscere anche l’amore. Da
Londra, passando per Bath per arrivare fino a York, e conoscere infine la vera
eredità di Aurelia. Bellissimi i due personaggi femminili. Quello di Aurelia,
che ci viene raccontato da Amy o attraverso le sue lettere. Una donna moderna,
ribelle ed idealista, che rifugge in tutto e per tutto i dettami dell’epoca. Ed
Amy, che dopo aver subito una vita infelice, viene quasi costretta, dal lascito
dell’amica, a cambiare profondamente se stessa, a rendersi indipendente. Molto
azzeccati alcuni dei personaggi secondari tra cui spicca quello dell’anziana
Mrs. Riverthorpe, donna quanto mai fuori dall’ordinario. Per essere un romanzo
d’esordio è comunque molto ben scritto.
La storia è ben congegnata anche se alcune volte tende a dilungarsi un
po’, ma il romanzo si legge comunque con piacere e la storia è in definitiva
appagante. Consigliato soprattutto a chi ama il romanzo storico e l’epoca
Vittoriana. Voto: 7+
martedì 26 settembre 2017
RECENSIONE – L’inverno del pesco in fiore di Marco Milani
RECENSIONE – L’inverno del pesco in fiore di Marco Milani
Il romanzo racconta la storia della famiglia Bondoli/Bardin dal 1900 ai
giorni nostri, ma anche la storia della cittadina di Ladispoli. Effettivamente
la storia ha inizio a Pechino nel periodo della ribellione dei Boxer, con
un’amicizia che nasce nel pericolo tra Ernesto Bondoli, rampollo un po’
lassista di una grande e nobile famiglia, mandato al fronte dal patriarca
perché sospeso dall’ennesima scuola, e Mario Bordin, che è un orfano e non ha
mai avuto niente e nessuno. Tra i due nasce una complicità dettata dalla paura
di Ernesto e dal coraggio di Mario, ma anche da una sorta di invidia che Mario
ha per la famiglia di Ernesto, ammirata solamente attraverso una fotografia.
Ernesto morirà in Cina per quello che, strano a dirsi, è un atto di coraggio e
carità. Mario tornerà in Italia con un solo scopo, conoscere la famiglia di
Ernesto e soprattutto Virginia da cui è rimasto molto colpito. Quindi va a
Ladispoli. Dapprima Mario suscita nel vecchio patriarca Filiberto Bondoli, non
pochi sospetti. Pensa che aspiri a qualcosa che lui non è propenso a
concedergli, ma nell’arco degli anni, Mario che si fermerà a casa Bondoli, si
rivelerà come quel figlio che il vecchio Filiberto da sempre sognava di avere,
al contrario dei suoi, smidollati. Mario però finirà con lo sposare la Bondoli
sbagliata, soffrendone sempre, fino a che il tempo lo ricongiungerà a Virginia,
in un modo o in un altro, visto che i legami più forti hanno anche il potere di
resistere allo scorrere del tempo e di superare le avversità. La storia della
cittadina e della famiglia si arricchirà mano a mano. L’avvento del fascismo, i
nuovi rampolli, la guerra, i bombardamenti, lo sbarco degli americani, la
liberazione, li vediamo con gli occhi di Mario e degli altri personaggi. Tutto
avrà una conseguenza sulla famiglia. Il romanzo è molto ricco di dettagli
storici, ma rimane scorrevole e piacevole. Si denota il grande e certosino
lavoro di ricerca effettuato dall’autore per rapportare il romanzo alla storia
vera. La narrazione risulta comunque molto incalzante e col giusto ritmo che
rende, nonostante la mole, il libro di facile lettura e risulta difficile
staccarsene. Ogni personaggio ha la sua storia da raccontare, e l’autore le
lega tra di loro formandone una completa e magnifica. Bellissimo il personaggio
di Mario, nato con niente, diventa mano a mano la figura carismatica della
storia: forte, coraggioso, deciso a difendere sempre la “sua” famiglia.
Bellissimi e contrastanti i personaggi femminili nelle persone di Virginia,
Aurora e Lidia. Tre personaggi diversissimi tra di loro, tre donne forti, tre
caratteri particolari. Due ancorate alla famiglia, una che dalla famiglia vuole
solo prendere e pretendere e non disdegna l’uso della menzogna e dell’inganno.
L’inverno del pesco in fiore è la saga familiare della famiglia Bondoli, una
storia efficace e bellissima che si legge con piacere, a tratti con commozione.
Non nego di avere anche versato qualche lacrima per la sorte dei personaggi. Un
romanzo completo e bellissimo. Consigliato! Voto: 8,5
RECENSIONE – La terra dei lupi di Sarah Hall
Rachel è una ricercatrice. Lavora
con i lupi. É da molti anni che ha lasciato la sua casa e soprattutto la
sua disastrata famiglia, se così si può chiamare. Un ricco nobile inglese le
offre però un’opportunità per tornare a casa, avere un progetto di ricerca
tutto suo e anche l’opportunità, forse, di riallacciare qualche tipo di
rapporto con sua madre e suo fratello, con il padre no, non si sa chi sia, non
l’ha mai saputo. Il progetto che il ricco mecenate le propone è la
reintroduzione del lupo grigio in Inghilterra, con parecchi soldi a
disposizione. Rachel ha dei dubbi, ma alla fine accetta, la possibilità di
avere un progetto tutto suo le fa troppo gola. Ma si sa che quando si parla di
lupi la gente si spaventa e torna alle solite paure latenti che sopravvivono
dall’oscuro Medioevo e oltre: i lupi sono pericolosi, mangiano le bestie e
attaccano gli uomini. Quindi Rachel ha il suo bel daffare all’inizio. A
preoccuparla non è solo la riuscita del progetto ma anche altre problematiche.
Ci sono gli irruenti contestatori che sostano davanti al cancello della
proprietà che manifestano le loro paure, varie e-mail di minacce che appaiono
molto concrete e la stranezza del mecenate del progetto, che sicuramente ha
qualcosa da nascondere. Rachel ha anche un altro problema, grande, molto
grande: sta per diventare madre, ma non ha né marito, né un compagno. Il figlio
è frutto di una nottata alcolica di addio. E poi tornare a casa … perché casa
non vuole dire per forza sentirsi a casa, perché non sempre il luogo che hai
conosciuto si presenterà esattamente come lo si è lasciato anni prima. Anzi!
Probabilmente lo si troverà decisamente diverso, trasformato e non soltanto nel
territorio ma anche nel rapporto con una madre, che ad un certo punto ha
preferito abbandonare, piuttosto che soccomberle, ad un fratello minore, che
non ha proprio voglia di perdonare quella fuga di un tempo. L’autrice si
districa sui vari livelli della storia perfettamente, raccontandola su piani
diversi. La storia dei lupi e dello strano rapporto con il mecenate ed il
rapporto con i familiari più prossimi della protagonista, fino al rapporto con
il figlio non cercato, non voluto, ma non per questo meno amato. Il tutto
amalgamato in una storia dove la psicologia dei personaggi la fa da padrone.
Belle anche le atmosfere ambientali create ad hoc. Voto: 7
RECENSIONE – Questa non è una canzone d’amore di Alessandro Robecchi
Primo libro dedicato al personaggio di Carlo Monterossi, milanese,
creatore dello spettacolo trash “Crazy Love”, dove l’amore e tutto quello che
ne consegue, odio e tradimento, pace e litigi, bassezze, disgrazie, tragedie e
lieti fine, vengono messi in piazza, anzi in tv, al grido di: “Anche questo fa
fare l’amore!” Nauseato da se stesso e da quello che è diventata la sua idea,
il programma Crazy Love, Carlo Monterossi si è deciso a mollare tutto. Non è
piacevole sentirsi dire che si sta arricchendo sulla pelle della povera gente e
di altri vip, che si vedono messi a nudo in prima serata. Ma proprio quando ha scelto di mollare tutto, e pensa di godersi
una ritrovata serenità, un killer tenta di ucciderlo in casa sua.
Fortunatamente il tizio è un po’ maldestro e il Monterossi riesce a salvarsi.
La polizia comincia ad indagare, soprattutto perché il tentato omicidio ha
delle analogie con due precedenti uccisioni. Carlo Monterossi non è un uomo che
si fidi troppo delle persone se non di se stesso, quindi conduce da sé
un’indagine parallela a quella della polizia. Da qui ha inizio un susseguirsi
di colpi di scena, di indagini con l’apparire di personaggi alquanto
improbabili che rendono la lettura piacevole e scorrevole fino all’ultima
pagina, a tratti anche divertente, soprattutto grazie alle ciniche battute che
l’autore mette sulla bocca del protagonista. Che è proprio così: un cinico,
bastardo, ma in fondo in fondo, ha un animo buono. Tra gli altri personaggi
risaltano due killer filosofi, la presentatrice famosa ma non proprio
intelligente, una coppia di zingari in cerca di vendetta e un gruppo di
fanatici nazisti. Nelle indagini Carlo è aiutato dall’amico giornalista Oscar e
dalla portiera-cameriera santificata alla Madonna di Medjugorje. Robecchi ci sa
fare e crea un personaggio che dovrebbe essere sopra le righe, ma è cinico e
geniale e soprattutto divertente. I suoi monologhi personali, anche se parlano
di etica, di strada, del sensazionalismo del mondo odierno e dello sbattere in
prima pagina il dolore, sono anche divertenti e proprio per questo vanno a
segno. A fare da contorno alla storia è la città di Milano, con la sua realtà
fatta anche di un hinterland popolato da gente non proprio per bene e non solo
dai salotti della Milano da Bere. Bella anche la trama gialla che non viene
trascurata, né messa in secondo piano, anzi, fa parte integrante della storia e
si lega perfettamente al personaggio di Carlo Monterossi. Voto: 7,5
RECENSIONE – Central Park di Guillaume Musso
Immaginate di svegliarvi, dopo
una normale serata insieme alle amiche, dopo qualche bicchiere di troppo, non
ricordando nemmeno come avete fatto a tornare a casa. Immaginate che a casa non
ci siete proprio tornate, anzi, vi trovate ammanettate ad uno sconosciuto dall’altra
parte del mondo, a Central Park; voi che fino a poche ore prima eravate a
Parigi. Niente documenti, niente soldi e avete addosso del sangue, che
fortunatamente o sfortunatamente non il vostro. Ma soprattutto chi è il tizio
ammanettato con voi? É così che si sveglia Alice, poliziotta francese. Per scoprire
quello che le è successo non le resta che indagare portandosi dietro Gabriel,
pianista Jazz, che la sera prima, giura che era a Dublino per un concerto.
Niente è come sembra e ad Alice non resta che riannodare i fili della sua
esistenza, cercando a ritroso nel tempo, per far luce ad un presente quanto mai
oscuro. Molto abile Musso a creare un thriller nel thriller. Nel romanzo
aleggia sempre quella sorta di suspence che lascia col fiato sospeso e invoglia
il lettore a proseguire nella lettura. Alice si deve fidare di Gabriel? Musso
scrive lasciandoci sempre con quel senso di incertezza, di paura, di
fallibilità dell’essere umano. Tesse una trama che sembra adatta ad un film per
quanta velocità sembra avere il susseguirsi di eventi e situazioni. Più che il
personaggio di Alice a me è piaciuto quello insolito e misterioso di Gabriel e
mi fermo qui per non rivelare nulla. Il finale è “quasi” a sorpresa, perché
poco prima della fine si riesce ad intuire ciò che è vero e ciò che è falso in
questa storia. Voto: 7
martedì 30 maggio 2017
RECENSIONE – La bambina di neve di Eowyn Ivey
Alaska, 1920. Qui in questa terra
aspra e al tempo stesso ricca, si sono rifugiati Mabel e Jack. Rifugiati è la
parola giusta, perché sono proprio fuggiti dalla loro casa e dai loro cari.
Soprattutto Mabel aveva voluto cambiare vita e ambiente dopo aver perduto
quella che pensasse fosse la sua bambina durante il parto. Sembrava la
guardassero tutti con una certa ostilità, come se non fosse stata capace a far
nulla, e fuggire da loro era stata la sua unica possibilità. Ormai lei e Jack
si avviano verso una vecchiaia dura e senza figli. A Mabel sembra una cosa
innaturale, ma le cose tra di loro sono piatte e la loro vita incompleta. Jack
ritorna a casa stanchissimo e lei non sa mai come comportarsi. La vita è dura e
tirare fuori da quella terra brulla è
difficile, e l’inverno è vicino. In una serata magica, con la neve che cade, si
scoprono a giocare come bambini, come non accadeva da tempo. Dopo essersi
tirati palle di neve, decidono di farne un pupazzo. Mano a mano che viene su,
le danno le sembianze di una bambina piccola e Mabel completa perfettamente il
pupazzo con un paio di guanti, una sciarpa. Il succo di alcune bacche per
colorarne le labbra e alcuni fili di paglia per farne i capelli. Il mattino
dopo Jack scopre che il pupazzo non c’è più, sono rimaste delle strane orme
sulla neve e sono scomparsi anche i guanti e la sciarpa. Nei giorni seguenti
Jack e Mabel si accorgono di sentirsi osservati e vedono fuggevoli ombre tra
gli alberi nei boschi. Mabel rammenta un vecchio libro che suo padre le leggeva
quando era piccola. Un libro illustrato con le figure che lei amava dove si
parlava di una bambina di neve. E proprio una bambina compare al limitare del
bosco. Il suo nome è Pruina. Di primo acchito la bambina non è così socievole
come loro vorrebbero, non vuole vivere con loro. Non sopporta di stare troppo a
lungo nella casa riscaldata, ma per Mabel e Jack sarà un ritorno alla
giovinezza, a quello che non hanno mai avuto, ma voluto con tutta l’anima.
Mabel rifiorisce, e da donna sensibile e chiusa in se stessa, si rivelerà
essere una donna forte, intelligente e creativa. La sua abilità con il disegno
e con l’ago le permetteranno di creare
con Pruina un rapporto particolare. Diventerà ancora più forte, quando Jack avrà un incidente che lo terrà incollato al
letto per un po’ e lei dovrà prendere il suo posto, con l’aiuto dei Benson, i
vicini con cui hanno fatto amicizia. Jack, d’altro canto, è un uomo caparbio e forte, con i suoi principi morali.
Ama tantissimo sua moglie e vorrebbe non farle fare quella vita di quasi stenti
in cui sono costretti. Pruina sostituirà nell’affetto di Jack e Mabel quel
figlio che non hanno mai avuto modo di avere. Il loro amore per questa bimba
che, alla soglia di ogni primavera scompare per poi riapparire con la prima
neve, è grande. Mabel ha un sospetto che
le viene dall’antico libro di favole di suo padre, che si è fatta mandare da
sua sorella. Pruina è veramente una bambina di neve? Anche lei si scioglierà e
li lascerà per sempre? I due fronteggiano con difficoltà la separazione che
avviene ogni primavera, ma assaporano l’arrivo della neve con la sicurezza che
Pruina torni da loro. Fino a che, Pruina ormai diciassettenne conosce il figlio
più piccolo dei Benson, aiutante di Mabel e Jack. Mabel e Jack sono ormai
guariti, sono anziani e sanno che Pruina, nonostante l’amore, non può rimanere
segregata in una casa normale, prima o poi dovrà andare. Bello questo libro,
quasi una favola. Ci incanta con i suoi paesaggi duri, ma magici. Gli animali,
i luoghi, i panorami. Sembra quasi di sentire il vento freddo sulla pelle, che
brucia. La dolcezza di Mabel che si sente incompiuta, la praticità e la
caparbietà di Jack che si sente incapace di salvare chi ama, ma soprattutto
l’amore disincantato della favola che è stata Pruina e che sarà il suo bambino.
Voto: 7
RECENSIONE – Anime e acciughe. L’aldilà come non l’avete mai immaginato di Achille Mauri
Strano libro questo … che
c’entrano le acciughe con l’aldilà. Nel corso della storia capiremo anche
questo. Achille (che scopriremo ben presto è lo stesso scrittore), si ritrova
di punto in bianco nel’aldilà. É morto, ma non ne ha risentito per
niente. Ad accoglierlo trova niente di meno che il Maresciallo Radetzky che
oltre a spiegargli le prime cose da fare
e come comportarsi, uscire dal proprio corpo
è una di quelle, ed è una cosa piuttosto semplice, gli racconta della
sua favolosa impresa di un Europa Unita sotto un’unica bandiera. Achille
comincia così la sua nuova “vita” nell’aldiquà, come viene chiamato dalle
anime. Se ne trovano di tanti tipi di anime e Achille ne incontrerà diverse sul
proprio cammino, ognuna con la sua storia di vita da condividere e raccontare.
La condivisione tra le anime sembra una cosa molto, molto importante. Permette
di acquisire i ricordi degli altri ma anche i propri e viene vista un po’ come
si stesse facendo sesso nella realtà. Achille all’inizio non ha proprio voglia
di condividere se stesso con nessuno, almeno non prima del suo funerale, anche
se molte persone lo spingono a farlo. Tra le altre Lucrezia, una delle prime
anime che conoscerà. Nel frattempo si è rifugiato nella Porche in un garage di
Piazza San Marco a Milano, luogo molto frequentato. La Porche è la macchina di
amici di famiglia e di solito ci vive anche il suo gatto, Ely. Incontrerà Elio
Fiorucci, compianto stilista e amico in vita, e altre persone mai viste. Anime
che propongono viaggi ed incontri con altre anime, si offrono come guide,
nemmeno si fosse ancora nella vita reale. Achille non vuole tornare a casa, non
riuscirebbe a sopportare il dolore dei suoi familiari. Il lettore si troverà
catapultato in un “altrove” surreale, dove ritroveremo personaggi famosi come
Umberto Eco, che è simpaticissimo e racconta barzellette e anime “normali” come
quelle di Lucrezia e Marco, presentatisi come una donna fatale la prima e come
un pastore il secondo, e scopriremo che sanno mentire. Non c’è un filo
religioso nel racconto: “Non importa che tu sia cattolico credente, musulmano,
buddhista o animista. La religione è una delle possibilità di esprimersi che
ogni anima possiede. Una possibilità come può esserlo il sesso, l’età o il
colore della pelle. Quello che è certo che tutti, proprio tutti si chiedono che
diavolo ci sia dopo”. Passo passo, incontro dopo incontro scopriremo la vita di
Achille, attraverso gli occhi delle altre anime che condivideranno la sua vita
precedente, dai viaggi, dalla sua vita in Dahomey (l’attuale Benin), delle sue
ricerche sul paranormale. Ma non ci sono solo gli uomini ad avere un’anima,
conosceremo cani, gatti, uccelli, pesci, l’elefante Mario e un branco di
acciughe. Tutti riescono a viaggiare velocemente. L’età è una cosa indefinita,
anzi più si è stati vecchi nella passata vita, più si ha da raccontare e
proporre e più si è cercati dalle anime che magari han vissuto meno. Non esiste
un Paradiso, né un Purgatorio, né un Inferno, è una sorta di limbo una seconda
opportunità dove le anime pesano esattamente 21 grammi. Tutte le anime del
mondo possono conoscersi e scambiarsi le
proprie esperienze, fino a diventare un tutt’uno. Ciò che è stato interrotto
nella vecchia vita, si può ricominciare nell’aldiquà. Un amore, un sogno, un
viaggio possono essere portati a termine grazie all’unione delle anime, a
questo amplesso senza carne. E le acciughe? Che c’entrano le acciughe? Non si
sa, ma ci sono e Achille le sa disegnare
esattamente come sono. Libro molto particolare, con qualche parte divertente,
molto surreale. Sembra quasi il testamento dell’autore alla sua famiglia … che
a domanda risponde: “Può darsi, tanto non sono mica superstizioso!”. Voto: 7,5
lunedì 29 maggio 2017
RECENSIONE – Volevo solo andare a letto presto di Chiara Moscardelli
Comprato per caso, soprattutto
per lo strano titolo. Molte volte mio faccio attirare da un titolo strano.
Letta la sinossi, mi sembrava anche carino ed alla fine sono stata contenta di
averlo preso. Certo è un libro leggero, niente di trascendentale, ma ha avuto
il merito di strapparmi più di qualche sorriso. Agata Trambusti (e già il nome
dovrebbe darvi una traccia) è una donna di trentacinque anni. Lavora in una
casa d’aste, è ipocondriaca e parecchio paurosa. Il tutto le viene da
un’infanzia particolare, vissuta a Calcata con una madre single e un po’ hippy
esperta di cristalloterapia. Quando le sue amichette giocavano con le Barbie e
vestivano di rosa, lei indossava un sacco di iuta e aveva i poster con il
simbolo della pace e una sfilza di vicini che facevano il bagno nudi nella
piscina condominiale. La cosa che la fa più soffrire è che sua madre non ha mai
rivelato chi sia suo padre e non perché non voglia, ma perché proprio non sa
chi sia. Come sua madre è una donna promiscua, lei se ne vede ben donde. É
diventata una maniaca dell’ordine. La sua casa sembra un obitorio, il suo abbigliamento
la fa sembrare un’impiegata di Equitalia e la sua scrivania deve essere
sistemata tutta in modo simmetrico. Per riuscire a sbloccare la sua vita, segue
i consigli di uno strambo psicologo, in modo da mantenere la sua vita sotto
controllo, senza nessuna emozione. Prima che iniziasse la sua avventura. Mentre sta
lavorando per la sua casa d’aste la sua vita viene stravolta dal mistero di un
quadro scomparso. Ma non è solo il quadro a sparire, lo è anche chi ha
commissionato il lavoro, e lei non è la sola a cercarlo. Si ritroverà infatti a
scappare da qualcuno che sembra voglia ucciderla, ma che somiglia a Christian
Bale! Il sosia di Bale non è altro che Fabrizio Calcaterra, professore di
musica, non proprio uno stinco di santo, almeno in passato. I due si ritrovano
ad indagare, legati a doppio filo: c’è il mistero dei quadri, per i quali
entrambi finiscono di mettersi in pericolo, e c’è anche altro che lega i due in
modo indissolubile. Ma non sono i soli a cercare il tesoro perduto. Bande di
quartiere un po’ strambe, mafiosetti e strani uomini con gli occhiali da sole.
Riuscirà Agata a lasciarsi andare e insieme a Fabrizio ed entrambi a risolvere
il mistero dei quadri scomparsi? Come ho detto lettura leggera, per farsi
quattro risate leggendo le avventure di Agata, dei suoi amici, dei suoi amori e
delle sue ipocondrie. Lettura scorrevole e semplice, umorismo al punto giusto.
La protagonista è buffa ed imperfetta e questo ce la fa piacere ancora di più.
Per chi cerca un po’ di leggerezza e qualche sorriso. Voto: 6,5
giovedì 4 maggio 2017
RECENSIONE – Il palazzo d’inverno di Eva Stachniack
Russia, 1741. Elisabetta Pretovna, figlia
minore di Pietro il Grande, prende il potere al posto del legittimo erede Ivan
IV, facendo rinchiudere la madre e il figlio in un’eterna prigionia. D’altronde
ha giurato che nel suo regno nessuno verrà giustiziato. Alla sua corte arriva
Varvara Nikolaevna, figlia di un polacco, rilegatore di libri. Diventerà una
protetta imperiale solo perché suo padre ha avuto il merito di riparare la
Bibbia di Elisabetta quando lei era una bambina. Viene però relegata al guardaroba imperiale, nel Palazzo d’Inverno,
perdendo tutte le illusioni che aveva avuto per una vita migliore. Varvara è
abbastanza carina da attirare le attenzioni dei soldati di stanza a palazzo, ma
se non un giorno non si imbattesse nel conte Bestuzev, cancelliere di Russia,
rimarrebbe sempre sotto le grinfie della capocameriera di corte, Madame Kluge.
Persona sempre elegante il Cancelliere, è stato o è uno degli amanti di
Elisabetta, scorge nella ragazza, fine osservatrice, un animo da spia. La
prende sotto la sua ala protettrice e le insegna a trovare e ad aprire cassetti
nascosti, staccare, senza lasciare segni, una ceralacca dalla lettere,
riconoscere i libri cavi o i bauli con
sottofondi, trovare corridoi segreti. Oltre ad insegnarle il mestiere il
conte, approfitta del suo potere, rendendola sua amante a solo 16 anni. Dopo
svariati anni al servizio di Bestuzev, le viene affidato il compito di tenere d’occhio
la principessa Sofia Anhalt-Zerbst, giovanissima tedesca, scelta da Elisabetta
come promessa sposa del quindicenne Peter Ulrich ribattezzato Pietro Fedorovic,
duca di Holstein, figlio di sua sorella, nominato principe ereditario. Sofia è
molto graziosa, è delicata e nessuno sa che diventerà la futura imperatrice di
Russia, Caterina la Grande. Varvara dapprima la spierà per conto della stessa
imperatrice, ma rimarrà incantata dalla dolcezza di Sofia e penserà di
aiutarla, visto che è in gioco la stessa vita di Sofia in un gioco, in cui
tutti i giocatori barano. Vedrà Sofia soffrire molto, per i soprusi sia di
Elisabetta che per quelli del marito Pietro. Avrà però l’aiuto inaspettato di
Varvara nella scalata al potere che legherà le due donne da una profonda
amicizia. Il romanzo racconta con gli occhi di Varvara, la crescita e l’ascesa
di Caterina di Russia, prima come una timida e delicata principessa fino a
divenire la grande imperatrice che ancora oggi in Russia viene venerata. É un romanzo elegante, le parole si trasformano in immagini e sembra di
trovarsi tra i corridoi del Palazzo d’Inverno, di Oraniembaum e di Carskoe
Tselo, fino al nuovo palazzo di Peterhof.
La scrittura dell’autrice avvolge il lettore nella tela della trama tra
intrighi di palazzo, tradimenti, amori e
guerre interne. Ci fa tornare indietro nel tempo descrivendo mirabilmente i
luoghi dove la corte russa viveva, come a rappresentarci gli ingombranti
vestiti dell’epoca, fino all’autorità che i sovrani avevano su tutte le
persone. Storia e fantasia sono intessute alla perfezione dall’autrice, che ci
regala due personaggi sontuosi, Varvara e Sofia, con uno stile fresco,
intelligente, mai ridondante. Si può dire che questo romanzo può essere
considerato molto “al femminile”, le protagoniste principali sono in effetti
tre donne: Varvara, Sofia ed Elisabetta. E vedremo, nel corso della storia
altre figure femminili che verranno tinteggiate dall’autrice, che nonostante il
loro ruolo di co-protagoniste, avranno una luce propria. Tra amori clandestini,
attentati sanguinari e splendide ricostruzioni storiche, Il Palazzo d’Inverno
narra l’ascesa al potere di una delle imperatrici più moderne e amate di
Russia: Caterina la Grande. E, illumina, insieme, una straordinaria amicizia
femminile: quella tra l’imperatrice e una servetta di corte. Voto: 7,5
martedì 2 maggio 2017
RECENSIONE – Mia nonna saluta e chiede scusa di Fredrik Backman
La vita di Elsa non è semplice.
Soprattutto quando hai quasi otto anni e sei considerata “diversa” dai tuoi
compagni di scuola e “speciale” dai tuoi insegnanti. Praticamente etichettata
come una pazza. Elsa sa di essere più intelligente dei suoi coetanei. É
una bambina che fa della conoscenza la sua forza. Si appunta tutte le parole
che non conosce e ha in Wikipedia il suo aiuto quotidiano. I suoi genitori sono
divorziati da tempo e lei vive con sua mamma Ulrika e il suo nuovo compagno
George. Suo papà invece vive in un’altra casa con Lisette. Elsa non riesce a
capire ancora perché non possano vivere tutti insieme, visto che George piace a
tutti e anche Lisette. Ma la persona che Elsa adora di più è sua nonna. Ex
chirurgo, la nonna ha girato il mondo per aiutare gli altri. É
un’anticonformista e ha sempre la polizia alle calcagna. Non gli piacciono
molto le regole e la si vede spesso girare nuda per casa o fare la pipì con la
porta del bagno aperta, cosa che fa uscire di testa sua madre. É
una vecchietta sprezzante delle opinioni altrui che ha l’unico scopo di
proteggere sua nipote. Per lei farebbe qualsiasi cosa e visto che la mamma di
Elsa tra il lavoro come manager dell’ospedale cittadino e il nuovo bambino che
sta arrivando, chiamato per ora Metà, non ha molto tempo da dedicarle, la presenza
della nonna è necessaria. Ma in ogni storia c’è un ma. Infatti la nonna non sta
bene e non lo ha ancora confidato ad Elsa. Anche se lei lo sa da tempo perché
ha origliato ciò che le dicevano i dottori. Pensavano non capisse, ma ha
trovato la parola “tumore” su wikipedia e ha visto che è una cosa bruttissima.
Ma Elsa non pensava che la nonna se ne andasse così presto, lasciandola sola,
senza che nessuno si preoccupi più per lei. Non potranno più andare insieme a
Miamas (che si pronuncia come pijamas), nel Paese-da-Quasi-Svegli, con i suoi
fantastici abitanti e le loro storie. Storie che la nonna le raccontava spesso
e delle volte ripetendole e aggiungendo solo dei piccoli , nuovi particolari.
La nonna le lascia però un compito. Una specie di caccia al tesoro molto poco
ordinaria. In una lettera le spiega che dovrà consegnare una busta al “Mostro”
che abita nel suo stesso palazzo e dirgli che: “La nonna ti saluta e ti chiede
scusa”. Ma scusa per cosa? Da queste parole e dalle altre lettere che mano a
mano usciranno fuori, si verrà a conoscenza di tutti i personaggi che
frequentano il condominio di Elsa e di sua nonna. Tra cui il Mostro, che non è
sempre stato un uomo barbuto e spaventoso, con una terribile cicatrice che gli
deturpa la faccia; o la donna con la gonna nera che non è la donna di successo
che sembrerebbe, o il bambino con la sindrome e la sua mamma, Alf il taxista
sempre arrabbiato, Maud e Lennart due vecchietti sempre accomodanti, e Kent
sempre al telefono con Francoforte con sua mogliee Brit-Marie, che sembra la
megera del condominio, ma nasconde solo la paura di lasciarsi andare.
Attraverso gli occhi di Elsa, l’autore conduce il lettore nelle “fondamenta”
del condominio, fatto di persone che sembrerebbero estranee tra loro, ma che in
un modo o in un altro sono collegate, soprattutto alla nonna, e che hanno
bisogno di ricordare il passato per vivere un nuovo futuro. Elsa con la sua
franchezza e la sua innocenza, ereditate dalla nonna, riuscirà ad aiutare tutti
ricreando il mondo di Miamas nel mondo reale, con i personaggi reali che la
circondano e che riusciranno a far capire anche ai suoi genitori, che lei ha
ancora bisogno di loro, del loro amore e del loro sostegno. I bambini, in
fondo, hanno bisogno di eroi. “Avere una nonna è come avere un esercito. É il
privilegio più grande di una nipote: sapere di avere una persona al proprio
fianco, sempre e comunque. Perfino quando si ha torto. Soprattutto in quel
caso, in realtà. Una nonna è una spada e uno scudo, è un tipo di amore tutto
speciale.” Voto: 8
martedì 18 aprile 2017
RECENSIONE – La saga dei Cazalet. Gli anni della leggerezza vol. 01 di Elizabeth Jane Howard
Elizabeth
Jane Howard viene scoperta in Italia postuma. La Fazi Editore si è assicurata
la pubblicazione dei suoi romanzi tra cui la Saga dei Cazalet, che abbiamo
letto nel suo primo capitolo, Gli anni della leggerezza, dove la Howard ci
racconta l’intreccio tra le vite di una famiglia della borghesia in un paese
alla vigilia della II Guerra Mondiale. Con uno stile raffinato e ironico la
scrittrice ci “raffigura” i rituali della borghesia inglese del secondo
dopoguerra, ancorati ai vecchi privilegi nobiliari dell’epoca vittoriana. Ci
racconta le dinamiche di coppia tra le
varie famiglie che compongono la Dinastia dei Cazalet, importatori ed
esportatori di legnami pregiati. Siamo nell’estate del 1937. Iniziano a
sentirsi i primi venti di una nuova guerra, che si paventa addirittura più
cruenta della precedente. I Cazalet sono riuniti per le vacanze nella casa di
campagna. Il Generale e la Duchessa, come vengono chiamati i capostipiti della
famiglia, William Cazalet e Kitty Barlow, sono l’incarnazione della passata
epoca e della morale vittoriana. Hanno tre figli maschi e una figlia femmina.
Hugh è il primo, tornato dalla Grande Guerra senza una mano e con delle schegge
nella testa, soffre di tremende emicranie ed ha paura di una nuova guerra. É un padre integerrimo ed ha un bellissimo rapporto con sua
figlia Polly ed ama molto sua moglie Sybil. Edward è il più bello dei maschi
Cazalet. É il secondogenito, ma è quello più popolare. É stato anche lui in guerra, ma è ritornato, a differenza
di suo fratello, fortificato, intatto e con qualche onorificenza da mostrare. É spostato con Viola, detta Villy, ma non ne è innamorato,
infatti la tradisce spesso. Lascia a lei tutte le incombenze riguardanti i
figli. Hugh ed Edward lavorano entrambi nell’impresa familiare. Poi c’è Rupert,
il sognatore della famiglia, fa l’insegnante, ma vorrebbe dipingere. É stato sposato con Isobel, morta nel mettere al mondo suo
figlio Neville. Si è risposato con l’attraente, giovanissima e frivola Zoe, ex
attrice e ballerina. Hugh oltre a Neville ha un’altra figlia Clary, la sua
maggiore, molto sensibile e che non ama per niente la sua matrigna. Zoe, tra
l’altro, non ha nessunissima voglia di occuparsi dei due figliastri e lascia
tutto nelle mani della loro tata. E poi c’è Rachel, l’unica donna Cazalet. Ha
rinunciato a tutto pur di seguire in tutto e per tutto i suoi genitori. Ha
rinunciato anche all’amore di Sid, nonostante sia riamata da lei. E poi ci sono
i nipoti: Polly, Simon e William figli di Hugh e Sybil; Louise, Teddy e Lydia
figli di Edward e Villy; Clary e Neville figli di Hugh e della compianta
Isobel, tutti con i loro giochi, i loro sogni, con la minaccia imminente dello
scoppio della Seconda guerra Mondiale. Questo romanzo è proprio leggero come il
suo titolo “Gli anni della leggerezza” e forse l’autrice ha voluto, con la sua
scrittura scorrevole, quasi poetica, farci percepire quella leggerezza che da
il titolo al romanzo. Questo capitolo è
una sorta di “attesa” per ciò che verrà, è solo l’inizio della saga una sorta
di preparazione, ma bello, ugualmente bello. Consigliato. Voto: 8
martedì 11 aprile 2017
RECENSIONE – Yeruldelgger. Morte nella steppa di Ian Manook
La Mongolia con il suo paesaggio ancestrale
sospesa tra le tradizioni dei nomadi della steppa selvaggia e la modernità
violenta della sua Capitale, fa da sfondo alla storia del commissario Yeruldelgger
in questo primo libro della trilogia di Ian Manook, pseudonimo del giornalista
francese Partick Manoukian. Il luogo è duro e inospitale, i visi delle persone
sono corrosi e cotti da un vento secco che penetra nelle ossa, il paesaggio si
perde in un orizzonte senza fine. In una mattinata così, Yeruldelgger si muove
svogliato verso un paesino a pochi chilometri dalla capitale Ulan Bator. É
apparso dal terreno un pedale di una bicicletta, mentre una famiglia nomade
stava scavando il terreno. Sotto il pedale c’è una mano, piccola. É di
una bimba sepolta da parecchio tempo con il suo triciclo. Un’altra grana da
pelare per Yeruldelgger, oltre all’omicidio di tre cinesi avvenuto quella
stessa notte nella capitale in una fabbrica in periferia; sembrerebbe, per come
sono stati ritrovati i cadaveri, che siano stati sottoposti ad un macabro rito
sessuale. Ma il commissario non sa che il peggio deve ancora arrivare. Sulla
sua strada troverà politici e potenti locali, magnati stranieri alla ricerca di
investimenti e divertimenti illeciti, poliziotti corrotti e delinquenti
neonazisti, per contrastare i quali, non dovrà utilizzare le moderne tecniche
di investigazione, quanto riappropriarsi della saggezza dei monaci guerrieri
discendenti di Gengis Khan. Yeruldelgger avrà il compito di unire la modernità
e la cultura tradizionale se vorrà venire a capo dei delitti, ma anche per se
stesso, messo in pericolo dalle sue indagini. Un thriller a tinte forti in
un’ambientazione insolita, dove pagina dopo pagina l’autore ci tiene desti con
scene ad alta tensione. L’intrigo poliziesco rivela anche la complessità delle
questioni geopolitiche, per i rapporti
della Mongolia con gli interessi economici ingombranti di Russia e Cina, con la
scoperta di terre rare, ricche di minerali necessari ad alimentare l’industria
tecnologica. L’autore descrive con stile essenziale, asciutto i vari
personaggi, tanto che di Yeruldelgger sappiamo solo come sono fatte le sue
mani. É
un romanzo questo tutto da gustare, per scoprire un’ambientazione unica e
coinvolgente, per seguire gli avvenimenti ad alta tensione inframmezzati da
momenti in cui la poeticità dei sentimenti prende il sopravvento, e anche
momenti di velato umorismo. Non lasciatevi sviare dalla collera del
commissario. Quella collera si trasformerà in forza di volontà, un modo di
spogliarsi dei propri incubi e di tornare se stesso. In conclusione ci colpisce
l’inusuale ambientazione, originale e affascinante. Una trama ben scritta,
complessa e ricca di emozioni, narrata con una prosa densa e coinvolgente. E
soprattutto un grande protagonista che non può che conquistare. Voto: 8
lunedì 10 aprile 2017
RECENSIONE – La famiglia Fang di Kevin Wilson
I Fang, strana famiglia è la
loro. Annie e Buster ormai cresciuti stanno vivendo una parte della loro vita
un po’ deludente. Annie attrice molto
promettente, tanto da essere arrivata vicinissima alla vincita di un premio
Oscar come miglior attrice, è reduce dall’interpretazione di un film non
proprio di successo, anzi sta ricevendo solo critiche. La sua relazione con uno
dei maggiori sceneggiatori di Hollywood sta vivendo alti e bassi, soprattutto
per le recenti notizie di gossip che sono apparse su siti e giornali. Una sua
collega ha millantato una relazione lesbica con lei, e una sua foto a seno nudo
ha fatto il giro del web. Per questo la sua addetta stampa l’ha mollata e lei
non fa altro che bere e deprimersi. In più il suo ragazzo si è rifatto sotto,
vuole che parta con lui in uno chalet desolato del Wyoming solo per essere a
sua completa disposizione. Malauguratamente ha anche accettato, e non sa come
tirarsene fuori. Nel frattempo suo fratello Buster è alle prese con l’ennesimo
articolo su futili argomenti. Ormai riesce a scrivere solo quelli. Ex scrittore
di successo, vincitore di un premio letterario con il suo primo romanzo, non
riesce più a scrivere nulla, soprattutto dopo l’insuccesso della sua seconda
fatica. Parte per conoscere un gruppo di ex militari alle prese con
un’invenzione particolare, uno spara-patate, e qui subisce un incidente di
percorso e si ritrova in ospedale con la mandibola rotta, un trauma facciale
esteso, e un debito di diciottomila euro con la sanità. Non gli resta che
tornarsene a casa. Ma non a casa sua, no, visto che non ha più un soldo, a casa
dei suoi genitori i famigerati Fang. Buster chiama Annie e l’avverte di quello che
sta per fare e lei trova la scusa per non partire più con il suo ex e andare in
soccorso di suo fratello. Quindi in due si ritrovano nella casa natale. I
genitori Fang, Caleb e Camille sono due attori folli ed egocentrici. La loro
vita è consacrata alla loro arte. Le loro performance sono programmate a tavolino,
ma somigliano molto ad una serie di scherzi, irresistibili, ma anche un po’
pesanti. I ragazzi Fang, quando erano piccoli, erano costretti a partecipare a
queste performance, ma le hanno sempre odiate in tutto e per tutto, quindi fare
ritorno a casa per loro è come rituffarsi immediatamente nel passato, con la
probabilità che i loro genitori li coinvolgano di nuovo in qualcosa che non
vogliono veramente fare. C’è chi ammira e stima i loro genitori, ma anche chi
li deride. Caleb è quello più convinto della sua arte. É un capofamiglia diabolico,
creativo e cinico, mentre Camille, pur dandogli tutto il suo appoggio, è più
sensibile e protettiva nei confronti dei figli. Insomma, sono dei genitori
terribili. Finché erano in casa i loro nomi erano solo e soltanto A e B, per
rappresentare bene le loro creazioni e di qui la loro fuga una volta cresciuti,
anche se l’influenza dei loro genitori rimane comunque forte. Il fardello che
Caleb e Camille hanno lasciato ai loro figli è molto pesante da portare e
difficile da mollare. Tutto quello da cui credevano di essere fuggiti per
sempre, le performance, le stranezze, la musica punk sparata a tutto volume
durante il processo creativo dei genitori, ma soprattutto il dolore, tornerà a
sommergerli. Un giorno Caleb e Camille scompaiono senza lasciare nessuna
traccia. Sembra siano stati rapiti e uccisi nei pressi di una stazione di
rifornimento in Nord Carolina, la polizia almeno è quello che dice. Ma è vero
che sono stati uccisi o è di nuovo una loro performance artistica dove Annie e Buster
hanno la parte di rintracciarli? Il concetto di arte è un tema ricorrente nelle
pagine di questo romanzo. Più volte i personaggi si interrogano sul fine ultimo
dell’arte stessa, su cosa sia veramente bello. Per Caleb Fang l’arte è caos,
distruttivo e prolungato nel tempo, un vortice di follia. Oltre all’arte il
romanzo ci parla anche di scelte, come quella di anteporre l’arte alla
famiglia, di cui Caleb non avrà pentimento. La famiglia Fang non avrà una
redenzione, non ci sarà un lieto fine o un equilibrio. Non esistono pozioni
magiche, non c’è nessun palcoscenico da cui scendere, perché nel teatro che è
la vita, l’unica soluzione è tagliare le corde che trattengono il sipario,
senza mai voltarsi indietro, almeno per Annie e Buster. Voto: 7
martedì 4 aprile 2017
RECENSIONE – Un gentiluomo a Mosca di Amor Towles
Mosca, 1905. Il conte
Aleksandr Il’ic Rostov, membro della vecchia aristocrazia russa, viene scortato
in Cremlino per un faccia a faccia con il Comitato d’Emergenza del Commissario
del popolo. Verrà condannato dal Tribunale del Popolo, senza nessun appello,
agli arresti domiciliari presso l’Hotel Metropole. Non potrà mai lasciare
l’albergo, perché il solo sorpassarne la porta potrebbe condannarlo alla
fucilazione. Il conte è un uomo fiero, un gentiluomo molto colto e molto arguto
e non è affatto intenzionato a lasciarsi scoraggiare dalla sfortuna. Non è un
uomo vendicativo come l’Edmond Dantes di Dumas, ma è un uomo che sa governare
le circostanze, e decide di affrontare la sua prigionia mantenendo la propria
determinazione. La pena in effetti non è così grave. Il Metropole è il migliore
Hotel di Mosca, anzi tra i più sfarzosi di Russia. In stile art déco, ha al suo
interno rinomati ristoranti, punto di ritrovo delle persone ricche, influenti
ed erudite. Certo il conte è un uomo di mondo, abituato a viaggiare in lungo e
in largo, con una intensa vita sociale, la reclusione, anche se in un albergo
di lusso, sembra essere un gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. E mentre nel
mondo al di fuori dell’albergo imperversa la politica di Stalin, che ha preso
il controllo del paese, e vede assottigliarsi i rapporti con i paesi
occidentali, il conte decide di vedere i lati positivi della prigionia e di
considerarsi l’uomo più fortunato della Russia.
Nonostante, i cambi di direzione dell’albergo che lo fanno diventare
sempre meno di lusso e sempre più un ramo della burocrazia russa, Rostov
reinventa se stesso e questo lo fa sopravvivere. Da uomo abituato a non avere
nessuna occupazione si ritrova a servire a quegli stessi tavoli dove poco prima
mangiava lui, servito e riverito. A distrarlo e a tenerlo su di morale ci pensa
anche una piccola e curiosa inquilina che come lui, vive al Metropol, Nina
Kulikova, figlia di un uomo di governo, che la lascia sempre e costantemente da
sola. I due vivono l’albergo, riescono a farlo espandere, scovando passaggi
nascosti e stanze segrete, forse solo reinventandole. Sarà Nina che si occuperà
della rieducazione del Conte, che lo porterà a comprendere quando sia vasto il
mondo e affascinanti i personaggi che lo popolano, anche solo tra le quattro
pareti di un albergo. Con un linguaggio ricco di umorismo, un cast di
personaggi scintillanti, tra rivoluzionari intransigenti, stelle del cinema, e
intellettuali disillusi, la storia si snoda, tramite la scrittura quasi poetica
di Towles, donandoci un protagonista che ha il pregio di rendersi
indimenticabile. Bellissimi anche i co-protagonisti Sofia, figlia di Nina,
Marina la sarta dell’Hotel, Vasily il portiere, Emile lo chef del ristorante
Boyarsky, Andrey il maitre, senza dimenticare Anna, Osip e Mishka, che
diventeranno tutta la sua famiglia. Il personaggio del conte è ben costruito,
ha una sua personalità, che subirà cambiamenti nell’arco della narrazione.
Subirà un’evoluzione con il ribaltamento della sua posizione sociale. Dalla
camera extra-lusso al sottotetto dell’albergo, dall’essere un nobile, al
divenire un cameriere. Ma quello che sarà la svolta della sua vita ha solo un
nome: Sofia. Un gentiluomo a Mosca è un libro composto da molti elementi tutti
ben legati tra di loro. Dramma, commedia, riflessione politica resi con stile
dalla narrativa dell’autore. Vi consiglio la sua lettura, perché oltre ad
essere un romanzo piacevole, vi rimarranno nel cuore i protagonisti, e vi
farete anche qualche sana risata. Voto: 8+
giovedì 9 marzo 2017
RECENSIONE - Il diario segreto di Lizzie Bennet di Bernie Su e Kate Rorick
A parte la quantità inusitata di
errori che ho trovato in questo libercolo, tra verbi sbagliati, traduzioni
estemporanee, parole inventate ed orrori ortografici, penso che la Austen,
ormai polvere, abbia comunque provato un moto di repulsione e abbia avuto anche
qualche conato di vomito (come me d’altronde!), per quello che queste due
scrittrici (???) hanno fatto del suo romanzo. Consiglio: LASCIATE PERDERE!
Evitatelo se potete … E per fortuna che la Newton Compton ha deciso (per ora)
di editarlo solo come e-book, ma non per questo li salvo da tutti gli “orrori”
visti e letti. Dovrebbe essere una Elizabeth Bennet in chiave moderna … ma a
parte lei che è anche antipatica, gli altri personaggi sono stravolti
all’inverosimile … già la Austen con i nomi non è che avesse avuto delle buone
idee, ma addirittura trasformare il povero Bingley in Bing Lee … e Kitty in un
gatto … Voto: Zero
lunedì 6 marzo 2017
RECENSIONE – Caos di Patricia Cornwell
Ventiquattresimo titolo per il filone dedicato alla
anatomopatologa Kay Scarpetta, personaggio creato dall’autrice nell’ormai
lontano 1990. Lontanissimo ormai, sia per stile che per risultati. In effetti
mai titolo fu più azzeccato di questo, Caos. Il libro è un vero proprio caos.
Mi sono trovata durante le prime pagine a tornare più volte indietro, non si
riusciva nemmeno a capire di cosa si stesse parlando e chi raccontasse la
storia. Come le ultime storie, si svolge tutto durante una giornata ed è forse
la cosa che non riesco a mandare giù. Un ritmo che dovrebbe essere frenetico,
diventa estenuante e lento. Le ore non sembrano passare mai, sia nella storia,
sia per chi sta leggendo, annoiandosi, attraverso un continuo ripetersi di
frasi ed azioni … non so quante volte avrò letto le parole “borsa
criminalistica” … le avrei quasi volute contare e criminalistica mi suona pure
male! Esisterà come parola? Come potete capire il risultato non è dei migliori
e continuerò a ripetere all’infinito: ehi Patricia, cambia ghostwriter perché
questo non è bravo! La storia parte da un pastrocchio creato e confuso tra
Bryce (il segretario di kay Scarpetta), la stessa dottoressa e Pete Marino.
Telefonate fasulle al 911 e dell’Interpol, messaggi video di minacce in forma
di poesie in italiano, e un nuovo personaggio cattivo, tale Tailend Charlie,
che riusciremo a scoprire a più di metà libro a cosa è inteso il nome. Mentre
Bryce e Kay litigano per un futile motivo, e Pete Marino la insegue in
macchina, Elisa Vandersteel, una giovanissima canadese che Kay aveva incontrato
due volte in pochissimo tempo, muore, ma le cause della sua morte sono da
subito un caos. Un caos è montare un sistema che non faccia intervenire sulla
scena del crimine giornalisti ficcanaso, un caos è trovarsi un poliziotto come
Barclay che vuole solo celebrare il suo ego e della morta non gli frega niente,
un caos avere come uniche testimoni due gemelle ritardate di quattordici anni
che potrebbero aver inquinato la scena del crimine, un caos è se questo
omicidio viene collegato dall’FBI, e quindi anche da Benton (marito di kay che
continua a starmi sulle balle), ad un altro illustre omicidio, quello del
colonnello Briggs, professore, capo e un tempo, solo per una volta, amante di
kay Scarpetta. Una morte tanto improvvisa, quanto grave che fa pensare a tutta
la combriccola di Kay, che c’è lo zampino di una sola persona: quella Carrie
Grethen che continua a perseguitarli. Ma qual è il suo fine stavolta? Cosa lega
la morte di Elisa Vandersteel, quella di un’altra donna e quella di Briggs e
gli interventi di Tailend Charlie? Fatto sta, che come succede da tempo, il
tutto si conclude banalmente nelle ultimissime pagine, e quello che ti rimane
del romanzo non è altro che CAOS. Voto: 5
giovedì 16 febbraio 2017
RECENSIONE – L’ultima legione di Valerio Massimo Manfredi
L’anno è il 476 d.C., l’Impero
Romano d’Occidente è in disfacimento. Sul trono imperiale siede un ragazzino
che ha solo 13 anni, Romolo Augusto. Odoacre, generale delle armate
dell’impero, facente parte della nuova linfa barabarica, lo cattura e lo
depone, uccidendo suo padre. Vicino al ragazzo rimane soltanto il precettore
britannico Ambrosinus. Nel frattempo a Dertona dove è di stanza la “Nova
Invicta”, l’ultima legione voluta da Oreste, il padre dell’imperatore, è sotto
attacco e in numero molto minore dei suoi nemici. L’ufficiale Aureliano
Ambrosio Ventidio viene mandato dal suo comandante alla ricerca di aiuti
proprio a Rimini, da Oreste. Naturalmente Aureliano trova l’uomo in fin di
vita. La sua richiesta è di salvare e proteggere suo figlio, ultimo imperatore
di Roma. Dopo svariate peripezie e un tentativo di salvataggio andato in
malora, dove Romolo Augusto perde anche sua mamma, Aureliano conosce Livia
Prisca che lo salva dal barbaro Wulfila. Livia fa parte di una piccola comunità
che spera ancora che l’Impero Romano viva e prosperi, e che vada nelle mani
giuste, quelle del piccolo Romolo Augusto. Alleata con diversi personaggi
importanti, insieme ad Aurelio intraprende l’avventura di riportare sul trono
il piccolo imperatore e parte alla volta di Capri per liberarlo. Ai due si
uniscono due soldati della vecchia Nova Invicta catturati a Dertona, Vatreno e
il gigante Batiato e due schiavi, Orosio e Demetrio. I quattro devono tentare
l’impossibile, assaltare la fortezza sull’isola di Capri e far evadere Romolo
Augusto e il suo precettore. Incredibilmente ci riescono e i sei scappano
cercando di mettere quanta più strada possibile tra loro e un Wulfila molto,
molto arrabbiato. Il piccolo Romolo sull’isola ha trovato in un “santuario” la
vera spada di Giulio Cesare. Ambrosinus comincia a credere alla profezia che
molto tempo prima, aveva sentito in Britannia, decide quindi, con la piccola
compagnia di portarvi Romolo Augusto. Mentre viaggiano ogni personaggio viene
quasi psicanalizzato dall’autore, soprattutto Aurelio, il piccolo Romolo
Augusto e il suo precettore Ambrosinus, che sono i veri protagonisti della
storia. Scopriremo che Aureliano e Livia hanno un passato comune, che il
soldato non ricorda, non vuole ricordare. Livia che ne è innamorata sa che se
il soldato non verrà a patti con il suo passato, per loro due non ci sarà mai
futuro. Il piccolo Romolo Augusto, pensa di non essere altro che un bambino, e
così vorrebbe vivere, se solo glielo permettessero, ha perso tutto, che senso
ha che continuino a chiamarlo Cesare. Cesare di cosa? Il suo precettore
Ambrosinus è convinto che il suo protetto è “il ragazzo che viene dal mare” di cui parla la sua vecchia
profezia. Inizieranno un viaggio lunghissimo tra l’Europa post imperiale,
devastata e imbruttita, fino ad arrivare in Britannia, dove si concluderà la
loro storia, con la rinascita dell’ultima legione, i ricordi al loro posto, e
un nuovo impero da fondare. Libro scorrevole che lega la fine dell’impero
romano con la nascita della storia arturiana. Manfredi è bravissimo a farci
conoscere la storia di cui è maestro, ma anche a romanzarla e ad unire
personaggi inventati come quello di Aurelio ad un mito come Ambrosinus (non vi
rivelo chi é perché vi rovinerei la lettura) ad altri vissuti veramente come il
piccolo imperatore d’occidente Romolo Augusto con la sua infausta storia.
Ottimo libro da cui è stato tratto un film dall’omonimo titolo con protagonista
nel ruolo di Aurelio niente di meno che Colin Firth, Ben Kingsley nella parte
di Ambrosinus. Voto: 7,5
lunedì 30 gennaio 2017
RECENSIONE – Non tutto si dimentica di Wendy Walker
Miglior esordio per questa
autrice non poteva esserci. Con questo libro l’autrice ha dato vita ad una
storia molto particolare ed originale. Può essere importante per una vittima
dimenticare il carnefice e quello che le ha fatto? Questo è il riassunto della
trama del libro in pochissime parole, ma dentro al romanzo, c’è molto di più.
E’ una sera d’estate e Jenny Kramer è stata invitata ad una festa di un
compagno di scuola. E’ una brava figliola, e i suoi genitori le hanno permesso
di andare, con le solite raccomandazioni: non bere, bada a chi c’è in casa,
torna ad un orario decente, non fare cose che non ti sono permesse fare. Jenny
è stata invitata da un ragazzo molto in vista della scuola ed è contentissima
quella sera. Ma noi la ritroviamo piangente in un bosco poco lontano dalla casa
dove si svolge la festa, due ragazzi la vedono in lacrime e sconvolta, con
abrasioni e ferite e sangue su tutto il corpo, con i vestiti strappati. Jenny è
stata aggredita da qualcuno, ma nessuno lo ha visto. I suoi genitori, Tom e
Charlotte, arrivano stravolti all’ospedale dove la ragazzina è stata ricoverata
e decidono, cioè Charlotte decide, di sottoporla ad una terapia farmaceutica
che le cancellerà i ricordi di quello che è avvenuto, della brutale violenza
subita. Ma riuscirà a dimenticare tutto? Quello che è successo cambierà
profondamente il rapporto, già non troppo idilliaco, dei suoi genitori. Tutto
quello che hanno è solo apparenza. L’uomo era contrario alla terapia, avrebbe
preferito che la figlia fosse cosciente e riuscisse a ricordare quello che le
era successo, soprattutto per cercare di prendere il colpevole, cosa che
diventa la sua ossessione. La donna invece, pensa che dimenticare e mettersi il
tutto alle spalle sia la cosa migliore. Sua figlia dovrà comportarsi
normalmente, come se nulla fosse successo, perché è l’apparenza è quella che
conta. Almeno per lei è stato così. Ma in realtà il corpo di Jenny non ha
dimenticato quello che le è successo, e a poco a poco, delle sensazioni portano
la ragazza sull’orlo del suicidio. L’unico rimedio è riuscire a recuperare i
suoi ricordi, seppur dolorosi e di questo si occuperà un esperto, il dottor
Forrester. Mentre il dottore terrà in terapia Jenny, si verrà a conoscenza di verità
nascoste sotto la superficie tranquilla e perfetta di una cittadina di
provincia. A narrare la storia è la voce dello psichiatra, che ha in cura non
solo Jenny, ma tutta la famiglia. Tutti i protagonisti riveleranno a lui i loro
segreti e le scomode verità, che hanno portato la famiglia ad una crisi e ad
uno stallo. L’autrice non si limita a scavare nella mente di Jenny, ma anche in
quella dei suoi genitori, nelle loro dinamiche familiari e nei comportamenti
esterni alla famiglia, la loro vita sociale. Quello che ne viene fuori è
un’analisi accurata dei due genitori di Jenny. Vari sentimenti passeranno nella
mente del lettore, mentre ogni personaggio verrà analizzato. Odio, rabbia,
stima, comprensione. La Walker è riuscita a creare una buonissima alchimia tra
psicologia, introspezione, fragilità emotive, psichiatria e relazioni
familiari. Da quello che si legge l’autrice ha sicuramente approfondito
svariate ricerche sui temi sia riguardanti la memoria, sia i legami familiari
in quanto ne parla con cognizione di causa. La scrittura risulta di facile
comprensione e scorrevole nonostante i temi trattati e i non proprio facili
argomenti. Insomma un bel thriller psicologico che piacerà sicuramente agli
amanti del genere. Compreso il colpo di scena finale. Voto: 7,5
RECENSIONE – Le sette sorelle. La ragazza nell’ombra vol. 03 di Lucinda Riley
Terzo capitolo della serie delle
Sette sorelle di Lucinda Riley. In questa puntata la protagonista è Asterope
detta Star. La più enigmatica delle sei sorelle. Star e CeCe. Già perché Star
non è mai da sola, c’è sempre sua sorella CeCe con lei, come un corpo
inseparabile. Come se fossero gemelle siamesi. Gli ultimi anni sono stati
viaggi continui, sempre insieme, guidate dallo spirito indomito di Cece, di cui
Star è abituata ad assecondare ogni desidero. A Star non piace molto parlare,
ha talento per la letteratura e per la cucina, quindi a farlo per lei è sempre
stata CeCe, tanto che da piccole avevano un linguaggio dei segni tutto loro che
usavano per comunicare. “Guardandomi indietro
mi rendevo conto che CeCe e io eravamo diventate il contrario l’una dell’altra:
io parlavo piano e poco, lei forte e spesso. E più lei parlava, meno io sentivo
il bisogno di farlo; le nostre personalità erano agli antipodi. … Tutto ciò che
faceva, lo faceva rumorosamente. Sembrava proprio che non riuscisse, per
esempio, ad appoggiare sul tavolo una tazza di caffè senza sbatterla forte e
rovesciarne il contenuto. Non sapeva cosa significasse “parlare a bassa voce”,
e sin da piccola gridava a un volume tale che Ma’, preoccupata, l’aveva portata
a farle controllare l’udito.” Star da
sola si sente persa, anche se ultimamente ne sente quasi la necessità, sente
che il rapporto con sua sorella CeCe la sta soffocando. Ha voglia di
cambiamento, soprattutto perché CeCe da per scontato che ogni cosa lei faccia
le stia bene. Come l’ultima follia: spendere la sua eredità per acquistare un
mega appartamento a Londra. Un appartamento molto comodo sì, ma freddo e con
poca anima, non certamente come Atlantis, il vecchio maniero di famiglia.
Quindi dopo aver parlato con Ally, delle sue disavventure e avventure, anche
Star decide di aprire la lettera che le ha lasciato Pa’ Salt dopo la sua morte,
con le sue coordinate. Non deve andare
tanto lontano. Le sue origini sono proprio dove si trova, a Londra. Oltre alle
coordinate Pa’ Salt le ha lasciato una miniatura di un gatto e un indirizzo,
quello della libreria Arthur Morston e un nominativo Flora MacNichol. Ci pensa
e ci ripensa Star prima di entrare nella libreria e fare la conoscenza di Orlando
Forbes. E qui Star inizia il suo cammino di conoscenza, alla ricerca delle sue
origini. Tra vecchi libri antichi, lettere ingiallite, e storie passate che
vanno dal Kent al Lake District nel primo novecento. Incroceremo nella storia
figure realmente esistite, come Beatrix Potter, Vita Sackville-West e Alice
Keppel e le sue figlie Violet e Sonia. Figure passate in qualche modo legate a
Star. Conosceremo la bellissima e struggente storia di Flora MacNichol e della
sua famiglia, che ci porterà a scoprire quanto potevano essere infidi i
meccanismi all’interno dell’aristocrazia inglese nel novecento. Tutto questo
porterà Star alle sue origini e a capire cosa possa legarla a Orlando a suo
fratello Mouse, a Rory e a Marguerite e alla bellissima magione di High Weald.
Come i precedenti capitoli, l’opera è progettata su due livelli. Quello moderno
con la voce di Star e degli altri protagonisti, e quello storico con da voce
soprattutto a Flora MacNichol e alla sua storia. In questo capitolo della
storia, si ha proprio la sensazione di
soffocamento che Star sente nei confronti dell’esuberanza di CeCe. Si sente la
sua disperazione per non avere il dono dell’ubiquità per essere in due posti contemporaneamente,
lontana e allo stesso tempo a fianco di Cece che le chiede aiuto. Ma è ora per
Star di crescere, di lasciare l’ombra di CeCe, che dovrà imparare anche lei a
farcela da sola, e di diventare
indipendente e forte, come la sua antenata Flora MacNichol. Voto: 7
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