giovedì 17 novembre 2016

RECENSIONE – Il teschio e l’usignolo di Michael Irwin



Romanzo d’esordio dell’inglese Michael Irwin, Il teschio e l’usignolo ci trasporta nella Londra settecentesca, nel mondo borghese, caratterizzato, soprattutto, dall’apparenza, dall’educazione, dai rapporti sociali costruiti. Tutta una facciata. Lasciare in mostra ciò che serve, mantenendo segreti, ma non più di tanto, comportamenti sfrontati e dissoluti. Il protagonista di questo racconto è Richard Fenwick. E’ un ragazzo di ventitré anni, orfano di entrambi i genitori, sfortunato da una parte, ma fortunato più di altri. Infatti l’amico di suo padre,  Mr. Gilbert è il suo padrino. E’ un uomo molto facoltoso, che seppur senza manifestazioni affettive si è sempre occupato di lui. Gli ha fornito un’educazione da gentiluomo e gli ha permesso di viaggiare in giro per l’Europa per fare esperienza, come facevano all’epoca i figli della nobiltà. Noi lo ritroviamo appena rientrato dal Gran Tour, senza sapere quello che sarà di lui, in attesa di una chiamata da parte di quell’uomo che conosce a malapena, ma che ha nelle sue mani il suo destino. Quello che il suo padrino ha in serbo per lui, non è quel che Richard si aspettava, essere nominato erede dell’uomo, ma bensì una proposta molto particolare: Richard potrà restare a Londra, vivere negli agi  che fino ad allora ha goduto, ma dovrà renderne partecipe Mr. Gilbert. Ogni sua esperienza verrà analizzata dall’uomo rinchiuso nella magione di campagna. A poco a poco, Richard, prenderà coscienza della sua situazione poco edificante, soprattutto quando una sua vecchia conoscenza, un suo vecchio amore, ormai una donna sposata, viene presa di mira dall’uomo più anziano e dai suoi “pruriti”. Richard cerca di accontentarlo, ma si sente sempre di più un burattino nelle sue mani, obbligato a fare delle esperienze sempre più estreme, forti e trasgressive. La situazione diventa per lui insostenibile e decide di tenere qualcosa per sé, nascondendo al padrino qualcuna delle sue azioni, soprattutto i suoi sentimenti verso Sarah Odgen. Richard verrà messo di fronte ad un imprevisto che potrebbe privarlo di tutto, anche della sua vita, che lo farà riflettere sulle condizioni della sua esistenza. Vediamo il protagonista sprofondare sempre di più nell’abisso creato ad arte dal suo padrino. Si renderà conto di essere lui stesso l’esperimento del suo “padrone”, ma che, andando avanti e prendendo parte alle perversioni di costui, la sua vita ha assunto una dimensione diversa, a cui anche lui si accorge di non poter più rinunciare, diventando la nemesi del suo burattinaio. Tutto questo si svolge in una Londra fumosa, e maleodorante, dove ogni quartiere è coperto di rifiuti e vi scorrono putridi rigagnoli. Dove nei vicoli bui può esserci una persona che chiede aiuto ma che è la stessa che può attentare alla vita o al denaro di chi vi si avventura. La città dei teatri e dei locali notturni, per chi ha voglia di divertirsi e ha denaro da spendere. Il romanzo è per la maggior parte scritto in forma epistolare. Lettere che Richard scrive al suo padrino per comunicargli i suoi progressi, le sue sensazioni; dove si lasciano andare a disquisizioni filosofiche sul lato bestiale della natura umana, quella dell’accoppiamento, che le convenzioni hanno lo scopo di nascondere. Tutte le loro dissertazioni sono funzionali alla trama che si avviluppa come una ragnatela attorno a Richard, che non saprà più se sta recitando o vivendo la sua vera vita. Il suo destreggiarsi tra le varie avventure, tra le donne da sedurre è veramente lui o il personaggio che il suo padrino l’ha costretto ad interpretare? La risposta a questa domanda la conosceremo solo alla fine della storia e sarà fondamentale per il suo destino. Libro molto ben scritto e decisamente “immorale”. Se all’inizio può esser visto come un romanzo di formazione, ci si ritroverà presto invischiati in una fitta rete di inganni, tradimenti ed intrighi, solo per rendere evidente che si tratta di una storia di corruzione morale. Voto: 8

mercoledì 2 novembre 2016

RECENSIONE – La colpa degli altri di Gila Lustiger



Parigi, 2011. Dopo trent’anni dal suo avvenimento, viene trovato l’assassino di Emilie Thévenin, prostituta diciannovenne, abusata e torturata. Il caso viene chiuso grazie ad una prova DNA, che all’epoca dell’omicidio ancora non esisteva. Il colpevole è Giles Neuhart, un uomo che appare innocuo e tranquillo, metodico,  un tipo che passa inosservato,  un impiegato di banca come tanti. Ma le prove che lo accusano sono solo circostanziali e troppo generiche, manca un movente. E’ il solo Marc Rappoport a preoccuparsene. Marc è un giornalista di nera e la fretta dimostrata dalle forze dell’ordine di chiudere il caso immediatamente lo mettono in azione. Non crede che Neuhart sia l’assassino di Emilie, pensa che dietro ci sia sicuramente qualcosa di più grosso. Comincia quindi ad indagare per il suo giornale, con l’approvazione del suo capo e amico di vecchia data Pierre e con l’aiuto dello stagista Alex. Assiste, grazie alla sua amicizia con il commissario Stefanaggi, all’interrogatorio del presunto colpevole, ma non ne ricava nulla. L’unico modo che ha di poter scoprire qualcosa e iniziare a vagliare i luoghi frequentati dalle prostitute, dove di Emilie però non vi è nessuna traccia, nessun ricordo. Marc si spinge, quindi, fino a Charfeuil, paese di origine di Emilie, dove interrogando professori, amici, conoscenti e la madre malata, riesce a intrecciare una pista che potrebbe aver portato alla morte della ragazza, ma che non ha sicuramente niente a che fare con protettori, prostituzione e droga, come quelli della polizia ritengono. La pista, incredibile ma vero, porta fino ad un colosso chimico-farmaceutico della zona, la Nutricare. Marc solleva un polverone gigantesco, tra prostituzione, laboratori di ricerca e un mondo politico corrotto, non risparmiando nessuno, dipingendo un quadro di ingiustizia e sopraffazione, di intrighi politici ad altissimo livello. Mentre leggiamo il giallo che si dipana tra le pagine, riusciamo anche a scoprire la vita di Marc Rappoport, figlio di due insegnanti, di cui suo padre ebreo, e nipote di uno dei più grandi uomini finanziari di Francia. Il nonno, Monsieur Delorme, era un caustico uomo d’affari che ha insegnato al nipote aneddoti e comportamenti che lo hanno portato al cinismo odierno. Tutti i particolari della vita di Marc, vengono dosati ad arte dall’autore. Scopriamo un po’ per volta i componenti della sua famiglia e i vizi di suo nonno. Queste divagazioni non sono a caso, non sono un errore dell’autore, anzi, fanno da compendio alla storia, rivelandoci il carattere e la crescita di Marc, e del suo rifiuto per il mondo di suo nonno, il perché della sua difficoltà ad instaurare dei rapporti duraturi. Il romanzo quindi non è solo un giallo o un thriller, ma anche un libro di denuncia sociale, un opera narrativa semplice ed essenziale, senza nessun abbellimento letterario. Il lettore viene catturato mano a mano che la storia si dipana. La trama, ben congegnata, riesce ad unire i due piani narrativi in cui è suddiviso il romanzo. L’autrice si è ispirata ad un fatto realmente accaduto in Francia, il caso della Rhône-Poulenc, azienda farmaceutica francese, uno dei più grandi scandali accaduti oltralpe tra la fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta. Consigliato, da non perdere! Voto: 8,5