lunedì 31 agosto 2015

RECENSIONE – Le ali della vita di Vanessa Diffenbaugh



Secondo romanzo di Vanessa Diffenbaugh, il primo mi era piaciuto molto e sinceramente avevo un po’ paura di questo secondo romanzo. Soprattutto quando si viene strombazzati a destra e a manca con un battage pubblicitario da far paura. Le conferme d’altronde sono molto più difficili degli esordi. Ma invece no. Questo romanzo è stata la conferma che la Diffenbaugh è una brava scrittrice. Le ali della vita è una storia che parla di amore: materno, filiale, adolescenziale, ma tutti, tutti veri. Letty è la sua protagonista, imperfetta in ogni suo aspetto. E’ una donna di trentadue anni e l’inizio del romanzo ce la fa vedere proprio con tutta la sua imperfezione, è su un’autostrada che guida ubriaca alla ricerca di sua madre Maria Elena. Non vuole perderla perché lei non è mai stata capace di fare la madre. E in effetti proprio in quel momento i suoi due figli, Alex di 15 anni e Luna di 5, sono soli a casa addormentati. Ma Letty non pensa ad altro che ad andare a recuperare sua madre, è la cosa sicuramente più importante perché lei non sa come sono i suoi figli. Letty riuscirà a raggiungere sua madre e suo padre in Messico, ma verrà respinta da quest’ultima, deve tornare a casa ad occuparsi dei suoi figli,  prendersi le sue responsabilità. Letty si sentirà smarrita. Scoprirà di non conoscere per nulla i suoi figli, dalle cose più semplici come i loro gusti, alle loro abitudini. Perché non basta di certo dire di essere madre, per diventarlo. Ma l’amore, che nonostante tutto prova per i suoi figli, potrà forse concederle un’altra opportunità. Ma dovrà imparare in fretta, perché i suoi figli, privati dalla presenza dei loro nonni, hanno bisogno di lei in tutto e per tutto. La Diffenbaugh tratta tra gli altri argomenti quello dell’immigrazione irregolare, infatti Letty è figlia di genitori messicani irregolari, mentre lei essendo nata negli Stati Uniti è un’americana a tutti gli effetti come i suoi figli. Vive in una zona malfamata in California, dove il fango, l’autostrada e l’aeroporto la fanno da padroni. E’ un quartiere degradato, e come in ogni quartiere del genere si sente parlare di gravidanze adolescenziali, bullismo, immigrazione e diversità. Eppure la Diffenbaugh riesce a trattare questi temi complicati con un tocco molto lieve, senza rendere la narrazione opprimente. Tra i personaggi, protagonisti della storia, spicca Alex, il figlio quindicenne di Letty che all’inizio sembra essere molto più posato e responsabile della sua stessa madre. Ha la saggezza di un adulto e la purezza di un fanciullo. Non ha una visione positiva di sua madre, ma nemmeno così negativa. Diciamo che non la comprende. Poi c’è Luna, la figlia più piccola. Sembra essere una piccola viziata, nonostante le condizioni di vita che ha sempre vissuto finora. Fa continui capricci a cui Letty non sa venire a capo, non come sapeva fare sua madre. Ma la piccola gli vuole bene e glielo dimostra in continuazione con un attaccamento materiale incredibile. Non saranno pochi i problemi che questa famiglia di nuova costituzione dovrà affrontare, ma piano piano comincerà a prendere forma e ad assomigliare veramente a qualcosa. Piano piano Letty, Alex e Luna, coadiuvati da Wes, il padre di Alex, da Yesenia e Carmen, fidanzata e madre di Alex, da Rick un uomo buono e da Sara amica di Letty, cresceranno e inizieranno a volare, come gli uccelli tanto amati da Alex e da suo nonno, e impareranno ad essere liberi e a lasciarsi andare agli affetti e alle gioie della vita, affrontando le difficoltà di volta in volta che verranno poste sul loro cammino. Lo stile dell’autrice è semplice, e la lettura risulta scorrevole e mai noiosa, infatti il libro si legge in pochissimo tempo. Lettura quindi consigliata vivamente. Voto: 7,5

venerdì 28 agosto 2015

RECENSIONE – I segreti della casa sul mare di Nora Roberts




Di nuovo un romance-crime per la Roberts. Anche qui so di essere un po’ di parte, l’autrice mi piace tanto quando scrive questo genere di libri. E’ sicuramente un libro per passare del tempo, non certo un capolavoro letterario, ma il suo lavoro lo svolge alla grande e nonostante fossi in vacanza in Inghilterra in tre giorni, tra una pausa e l’altra delle visite fatte, l’ho divorato. La storia è questa. Eli Landon è un ex avvocato di successo. La sua vita è stata stravolta dall’omicidio di sua moglie del quale rimane l’unico indagato, nonostante non sia stata mai provata la sua colpevolezza, ma d’altronde anche la sua innocenza. Per sfuggire dalla persecuzione dei media e di un poliziotto che lo vuole colpevole ad ogni costo, Eli si rifugia a Whiskey Beach, la proprietà di famiglia da oltre trecento anni. E’ la casa della sua adorata nonna, ma in questo momento è vuota, visto l’incidente occorsole per una caduta dalle scale. Sua nonna è preoccupata e per questo le ha messo alle costole Abra Walsh, una specie di tutto fare della cittadina. Lei è una donna particolare, determinata e instancabile, dai molteplici interessi e dai mille talenti, incluso quello di poter aiutare Eli a ritornare se stesso. Whiskey Beach potrebbe essere una svolta per Eli che ha cominciato a scrivere un romanzo, la sua nuova attività, spronato da tutta la sua famiglia. Abra, nonostante ci appaia di primo acchito come una persona solare, a sua volta ha sofferto molto, ha un matrimonio sbagliato alle spalle, ma la sua vitalità contagia tutti quelli che le girano attorno, e piano piano anche Eli stesso. Questi i due personaggi principali, dei quali, nel corso della storia, verremo a conoscenza di molte sfaccettature dei loro caratteri, dei loro sentimenti, dei loro problemi. Complice un tesoro introvabile, i due ragazzi si avvicinano, soprattutto quando la storia di Eli si aggancerà con quella della sua antenata Violeta Landon. Per il resto, la loro storia d’amore, cresce piano piano e li porta dapprima a conoscersi in modo profondo, e poi a parlare di sentimenti reciproci. Nonostante la base sia il romance, la Roberts riesce comunque a imbastire una trama ricca di suspense e di misteri. Ci si aspetterebbe una soluzione semplice del giallo, ma l’autrice sorprende con un colpo di scena finale. Insomma, sia dal punto di vista della trama gialla, sia per quanto riguarda la parte romance, il libro è ben costruito e scorre veloce. L’autrice ci sa fare e si vede. Aspetto il suo prossimo romance-crime… ogni tanto bisogna pure evadere un po’. Voto: 7

giovedì 27 agosto 2015

RECENSIONE – Tempi glaciali di Fred Vargas



Torna dopo quattro anni di assenza dalle scene del crimine, il Commissario Adamsberg, lo “Spalatore di Nuvole”. Forse sarò un po’ troppo di parte per scrivere una giusta recensione, ma io adoro Jean-Baptiste Adamsberg, e in questi quattro anni ne ho sentito la mancanza, tanto che non so se riuscirò ad essere super-partes. Fred Vargas dice che i noir sono le favole per gli adulti di oggi, e “Tempi glaciali” un po’ lo è. Il romanzo mescola all’inizio due piste contrapposte, nel tempo e nello spazio. Tutto comincia con due suicidi, quello di una professoressa di matematica, trovata morta nella vasca da bagno, e quella di uno scienziato che si è sparato alla testa. Lo sembrano dei suicidi,  ma in realtà non lo sono. Sono ben camuffati. Quando i corpi vengono ritrovati, accanto ad ognuno, vi è inciso uno strano simbolo che porterà Adamsberg a viaggiare tra l’Islanda ed i seguaci della Rivoluzione Francese. Convinti che siano due omicidi il commissario e i suoi sottoposti, verranno a conoscenza che le vittime erano legate ad una misteriosa gita in una remota isola islandese, ma anche ad una specie di setta di fanatici della Rivoluzione francese, che ricostruiscono le sedute dell’Assemblea Generale, e del periodo del Terrore di Robespierre. Adamsberg e il suo fido Danglard dovranno indagare a fondo per venire a capo dei due delitti. Ma sappiamo che il primo è un uomo apparentemente poco razionale, privo di un metodo di indagine, sempre distratto e in giro per le sue camminate, in cerca dell’ispirazione che gli farà risolvere il caso. Mentre il secondo sembra essere il suo esatto contrario. Coltissimo, grande bevitore, in sovrappeso ma elegante. È l’uomo d’ordine che bilancia il caos del suo comandante. Il tutto si svolgerà nella questura del quindicesimo arondissement, piena di personaggi caratteristici, dall’energica Violette Retancourt, allo specialista in pesci d’acqua dolce Voisenet, al dolcissimo Estalère, al graduato più volgare dell’Anticrimine Noël, al malato di sonno Mercadet, all’esperto di favole Mordent fino alla mascotte del commissariato, il gatto Palla. Quella che sembra “un ammasso intricato di alghe”, un groviglio di eventi che appare sempre più confuso, è in realtà una storia di cui Adamsberg riesce a legare i fili invisibili delle connessioni, fino a rischiare, per riannodarli, partendo per l’Islanda, di perdere il posto. Ma il commissario sa che quel viaggio è necessario, perché due persone vi persero la vita, e le due uccisioni più recenti sembrano legarsi a quelle passate e al gruppo dei seguaci di Robespierre. D’altronde è “l’afturganga” a chiamare il commissario, che non si può esimere di andare a sentire quello che lo spirito misterioso deve comunicargli. Nonostante tutto alla fine Adamsberg avrà come al solito ragione. Spalare le nuvole lo porterà alla soluzione del caso, dove tutta la logica del suo secondo Danglard non potrà mai arrivare. Voto: 7,5

RECENSIONE – Il Regno di Emmanuel Carrère


 Emmanuel Carrère è giornalista, sceneggiatore e scrittore di fama mondiale. Il suo romanzo nasce come un’inchiesta su quella “piccola” setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo, e che  fa rivivere davanti ai nostri occhi gli uomini e gli eventi del I secolo dopo Cristo quasi come fossero a noi contemporanei. In questo romanzo autobiografico in parte, ci ha voluto parlare della diffusione del Cristianesimo. Come questa religione creata un po’ ad arte abbia, nonostante le folli leggende che si porta dietro, potuto attecchire in tutto il mondo, tanto da diventarne, per gran parte del tempo, la religione principale. Ad una prima parte, dove Carrère ci parla della sua conversione ad un Cristianesimo più integralista, segue una seconda, nella sua fase da ateo, che ci parla della storia della nascita della religione cristiana che inizia e finisce nel bacino del Mediterraneo, tra la Turchia, la Macedonia, la Siria, la Grecia, Gerusalemme e Roma. In primo piano c’è Paolo di Tarso, che è il più importante apostolo del messaggio di Gesù, anche se non lo ha mai conosciuto, e c’è Luca, altro evangelista, che era uno schivo medico siriano, che scrive delle peregrinazioni dello stesso Paolo. Sullo sfondo ci sono Giovanni, Pietro, Giacomo, Maria la madre di Gesù ed altri personaggi che hanno creato la storia. Questi sono gli ingredienti de “Il Regno”. A vederli così, sembrano gli ingredienti perfetti per un grande racconto, uno di quelli che mescola Storia e Religione di grandi uomini a quella fatta dagli uomini comuni e dai loro piccoli gesti, dalle loro passioni e dalle loro follie. Carrère è un abile scrittore, lo abbiamo già visto con i suoi successi Limonov, Vite che non sono la mia e L’avversario. E’ abile a maneggiare la delicata materia narrativa nelle storie che ci racconta, e sa anche utilizzare gli strumenti del mestiere. E poi non dimentichiamo che lo stesso autore si presenta come colui che, seppur per breve tempo, in queste cose ci ha creduto davvero. Per tre anni della sua vita, si è convertito, ha studiato a fondo i testi sacri, ha letto ed annotato i Vangeli. Chi meglio di lui quindi, con l’occhio dello sceneggiatore poteva ricostruire con fedeltà una storia così delicata? Eppure finito il libro, la sensazione è quella che il romanzo grandioso che ci aspettavamo è venuto male. E’ insomma una delusione. Anche se all’inizio l’ho trovato abbastanza scorrevole e buono in ciò che ci racconta, probabilmente perché l’autore parla di sé, nella seconda parte quando prova ad imbastirci la storia di Paolo, il libro perde il ritmo e delle volte anche il filo del discorso, tanto che ci si trova anche il racconto di un video pornografico, che l’autore manda alla moglie. E ci spreca addirittura tre pagine a raccontarcelo per filo e per segno, dicendoci che gli piace condividere le sue fantasie erotiche con la moglie. Mi sembra un tantino esagerato. Peccato davvero, perché avrebbe potuto essere un bel romanzo, ma questo è sicuramente uno dei meno riusciti di Carrére. E’ un continuo esaltare se stesso. Ci dice spesso di essere compiaciuto del suo lavoro, di aver lavorato con onestà, di essere nato dalla parte giusta della società e di essere dotato di talento. E’ un uomo che sente di vincere sempre e si figura il suo libro come un capolavoro mondiale. Sente di essere stato talmente buono, e la bontà non è in lui innata, ma deriva dalla sua forza di volontà, e per questo sente di essere stato meritevole. Dice di aver imparato molte cose scrivendo Il Regno, ma che ne imparerà anche il lettore. E in ultimo, si loda di aver fatto un buon lavoro, di essere intelligente, ricco, con una posizione. Io devo contraddire Carrére. Il libro che all’inizio mi aveva fatto sperare, mi ha profondamente delusa e non credo sia il capolavoro che lui si aspettava fosse … sarebbe meglio scendesse un attimo dal piedistallo! Voto: 5

mercoledì 12 agosto 2015

RECENSIONE – Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop di Fannie Flagg



Ho comprato questo romanzo sapendo che ne era stato tratto un film famosissimo, che peraltro ho visto non so quanto tempo fa. Ad attirarmi però è stata la copertina un po’ retrò che gli ha dedicato la casa editrice Bur, a questo, e agli altri romanzi della stessa autrice. Sono bellissime. Poi ho letto i commenti di altre persone, che lo consideravano un ottimo romanzo, quindi non ho messo molto tempo a decidere per comprarlo. Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop è una storia di una piccola cittadina ferroviaria, vicino Birmingham, in Alabama, quindi profondo Sud, nel periodo che va dal 1929 al 1988, dove tutti si conoscono, e tutti sanno tutto degli altri. I protagonisti fanno quasi tutti parte della famiglia Threadgoode. Una famiglia molto allargata. Fatta di figli propri e non. E’ la storia di Idgie Threadgoode e della sua compagna Ruth, della fondazione del loro caffè, che dall’apertura diventa un po’ l’ombelico del mondo del posto. Un posto dove si cucinava il miglior barbecue dell’Alabama e a pensarci era Big George. Il caffè era anche il locale dove nessun nero veniva mandato via, anche se dovevano ritirare i pasti dalla porta posteriore, o dove i vagabondi, durante la grande depressione, potevano sempre trovare un pasto caldo e un rifugio. E’ la storia di Onzell e Sipsey, dei gemelli diversissimi Artis e Jasper, di Naughty Bird, di Buddy Threadgoode, e di Buddy “Stump”. E’ la storia di Eva Bates e di Smokey Lonesome, ma soprattutto è la storia raccontata dagli svariati bollettini tratti dai giornali dell’epoca, come quello della compaesana Dot Weems, dal bollettino dei neri di Slagtown e dai racconti di Ninny Threadgoode alla sua amica Evenlyn Couch. Virginia detta “Ninny” era stata da sempre un’amica delle ragazze Threadgoode e quando rimase orfana, non fece altro che andare a dormire da loro, per poi restarci per sempre. La storia è raccontata da una Ninny ormai anziana, ricoverata nella casa di riposto di Rose Terrace, lei dice per far compagnia alla sua vicina, la signora Otis, finché non si adatti al posto. Qui conosce Evelyn Couch, che tutte le domeniche è costretta ad andare a trovare la suocera, la quale non le rivolge mai la parola, e l’unica cosa che vuole è vedere la tv con il figlio. Evelyn, ha raggiunto quasi cinquant’anni della sua vita e l’unico svago che ha è il cibo. Infatti è in sovrappeso. E’ sposata con un uomo che non le presta attenzione, i figli sono andati via da tempo e non sono particolarmente attaccati ai genitori, ha una vita priva di stimoli e dall’educazione ricevuta, ha imparato a non lasciarsi mai andare. Quando conosce, per caso, Ninny Threadgoode è sull’orlo della depressione e sarà proprio l’incontro con l’anziana donna, con i suoi racconti su Whistle Stop, ad aiutare Evelyn e a ridare un senso alla sua vita. La storia è intensa, appassionante e coinvolgente. I personaggi sono fantastici, soprattutto quelli di Idgie, Ruth e Sepsey. Leggendolo viene quasi la voglia di presentarsi a Whistle Stop e fermarsi al caffè e vedere i treni passare. Il romanzo è un’amarcord dei tempi passati, di quello che nonostante la Grande Depressione con il crack della borsa del ’29, con il Ku-Kux-Klan che in alcune zone la faceva da padrone, con i neri che non avevano i diritti fondamentali, c’era e si è perso nel tempo. Ci si emoziona per la storia di Idgie e Ruth che erano benvolute da tutti, nonostante la loro relazione omosessuale fosse alla luce del sole, per la storia di Buddy Stump, che nonostante la perdita di un braccio, riesce comunque a vivere una vita normale, e per le storie dei servitori di colore Sepsey e Big George, sempre a difesa delle loro padrone. C’è comunque uno sfondo violento, anche se accarezzato, ma c’è, soprattutto in quanto ancora in vigore le leggi razziali dell’epoca. L’ho apprezzato veramente. Lo consiglio. Voto: 7,5

martedì 11 agosto 2015

RECENSIONE – La sovrana lettrice di Alan Bennett



Alan Bennett non è uno scrittore di primo pelo, anzi. E’ un fine sceneggiatore, drammaturgo e attore britannico. Il suo stile di scrittura è quello tipico “british”. L’umorismo, quello intelligente, la fa da padrone e prende corpo nei dialoghi che danno voce ai suoi personaggi. Ad attirarmi in questo libretto è stato senza dubbio il titolo e la copertina azzeccata, con Elisabetta II in carrozza vestita in pompa magna, con il suo sguardo che sembra che stia pensando a tutt’altro. La storia, che la coinvolge in prima persona, è molto semplice, ma visto il personaggio, non convenzionale. La regina Elisabetta II, per un caso fortuito, ad ottant’anni suonati, scopre la lettura. Questa è la base della trama. Molto semplice direi. Ma dietro c’è molto altro da scoprire, seppur questo è un piccolissimo libro (solo 98 pagine). Per tutta la sua vita, dapprima da principessa, poi da erede al trono ed ora da sovrana, i libri l’hanno circondata, stipati in polverose biblioteche, in tutti i palazzi della sua dinastia, ma lei il “piacere” di leggere non lo ha mai avuto. D’altronde una sovrana non può avere hobby, e leggere non è agire, è lei è sicuramente una donna d’azione. La colpa di questa “assurda” scoperta fu dei suoi adorati corgie, che scorrazzavano, in giardino e di solito rientravano dalla porta principale. Ma quel giorno no. Si precipitarono di corsa dietro uno dei cortili. La regina si stupì vedendo parcheggiato di fronte alle cucine del palazzo un grosso autobus, con su scritto “Biblioteca circolante del distretto di Westminster”. Sua Maestà, dato il baccano provocato dai suoi cani, pensa bene di andare a scusarsi e lì conosce il signor Hutchings, il bibliotecario, ma soprattutto Norman, un ragazzo bruttino dai capelli rossi, che lavora nelle cucine del palazzo. Nonostante la diffidenza la regina chiede in prestito un libro; più per gentilezza che per un reale interesse. Ma da quel momento in poi tutto cambia. La sovrana comincia ad appassionarsi alla lettura, e continua a tornare dapprima alla biblioteca circolante, poi addirittura a promuovere Norman suo galoppino privato, che ha il compito di consigliarle e recuperarle libri. L’irruzione dei libri nel mondo di Sua Maestà crea non prochi problemi al suo segretario privato, Sir Kevin Scatchard, uomo con una mentalità limitata, che vive nel terrore che la regina si dimentichi o trascuri i suoi impegni di corte. «È importante» disse Sir Kevin « che Sua Maestà non perda di vista gli obiettivi».«Quando dice “non perdere di vista gli obiettivi”, Sir Kevin, immagino intenda stare sulla palla. Be’, dopo esserci stata per sessant’anni, penso di potermi guardare un po’ intorno». La regina si accorse di aver un po’ stiracchiato la metafora, ma tanto Sir Kevin non se n’era accorto. «Capisco» disse lui « Sua Maestà deve passare il tempo».«Passare il tempo?» esclamò la regina. «I libri non sono un passatempo. Parlano di altre vite. Di altri mondi. Altro che far passare il tempo, Sir Kevin; non so cosa darei per averne di più». D’altronde però Sir Kevin non ha tutti torti. Non passa molto tempo, che la regina non inizi a trovare sempre più noiose le sue incombenze, che le portano via il tempo per leggere. Molto divertenti i dialoghi che Sua Maestà tende a proporre alle sue dame di compagnia o ai vari primi ministri e capi di stato in fatto di libri e di autori. Il punto importante del libro è la prospettiva della sovrana che cambia, e si trasforma in una persona normale. Il suo rendersi conto di aver guardato il mondo, fino a quel momento, da una dimensione diversa, ed ora si trova ad avere una curiosità per tutto quello che è al di fuori del contesto dei suoi obblighi, in tutte le sue forme. E i libri possono darle delle risposte, che non ha mai ricevuto da nessuno. Inoltre Bennett ci regala un libro che parla di altri libri, che ci indica autori, creando un’ideale biblioteca. La scrittura è semplice e scorrevole, ma il personaggio della sovrana ha una personalità particolare, divisa tra contemplazione e azione. Non manca il colpo di scena finale, di questo libretto che fa sorridere e ci regala un personaggio così particolare, da sperare che la vera Elisabetta II, sia veramente così. Voto: 8

RECENSIONE – FIRE di Jennifer Probst



Eccomi di nuovo qui a recensire un libro di questa scrittrice(?). Dopo averne già stracciati altri precedenti voi vi chiederete perché continuo a leggerla? Be, oltre ad essere un po’ masochista, faccio contenta la Giulia. Questa signora, dopo aver rovinato, credendosi un’esperta, centinaia di anni di cultura italiana, dopo aver descritto la Bergamo del 2010/2012 nemmeno fosse la Sicilia degli anni ’20 in fatto di matrimoni, capifamiglia e affini, dopo aver distrutto la cucina italiana, inventando di sana pianta dei piatti che un italiano non mangerebbe, se non costretto dalla fame, be la signora, con questo libretto, dal costo non proprio economico (154 pag. per 12,00 €), si tuffa (sicuramente di testa!) nel mondo dei supereroi, creandone uno tutto suo. E il suo supereroe non poteva che essere bello, ricco e dannato! Il tizio in questione si chiama Dante Stark (il ns. Dante si rivolta nella tomba ogni volta che il suo nome viene utilizzato in quisquilie). E’ un uomo molto ricco (ma dai… ), ma ha questo potere che in qualche modo per lui è invalidante ed è costretto a nascondersi per non avere pubblicità. Lui non deve esistere. Un po’ un Bruce Wayne/Batman al contrario. Quindi cosa fa? Fonda una mega azienda di transazioni immobiliari e ne affida la rappresentanza al carissimo amico e socio Chase, e lui per tenere comunque tutto sotto controllo si fa assumere come postino interno. Ah … l’azienda si chiama Inferno Enterprises (aaaaaaaaaahhhh ah arriva arriva il Diablo, 666 … cit. Litfiba). Ehm … scusate la deviazione musicale … Insomma, Dante Stark  supereroe miliardario diventa niente di meno che … Daniel Stark sfigato uomo della posta (povero Clark Kent e povero Peter Parker!). Passiamo ai superpoteri? Naaaaaa …. Ci arriviamo, ci arriviamo … Nella Inferno ci lavora Selina Rogers (durante tutto il libro l’ho chiamata Ginger), donna in carriera che si è costruita da sé. I suoi genitori sono rimasti uccisi quando aveva solo 4 anni, quindi è passata nell’inferno (toh!) delle famiglie affidatarie, prima di trovarne una che le permettesse di spiccare il salto di qualità. Dalla sua ultima famiglia, soprattutto dagli altri fratelli affidati, Selina ha imparato molto: parolacce, battute maschili a sfondo sessuale, e a difendersi da sola senza mai piangere; quindi è pronta per lavorare in un ambiente prettamente maschile come il campo immobiliare e la stessa Inferno. Selina sta per chiudere l’affare dell’anno, accaparrandosi come cliente un tale Forrester (risulta da subito antipatico). Se ci riuscisse avrebbe sicuramente la tanto agognata e meritata promozione. Dopo una cena col suo team, Selina pensa bene di rientrare a casa a piedi, senza farsi accompagnare, tanto è vicino e lei non vuole disturbare nessuno. Una camminata non può farle che bene. Sbagliato! Due energumeni l’aggrediscono e nonostante lei reagisca e opponga una strenua difesa, i due sono più forti e tentano di violentarla, non senza averle dato una bella ripassata a base di schiaffoni. Quando la tragedia sta per compiersi … Tah Dah … salta fuori  Super Pippo! … A … no … Scusate ho preso un abbaglio. Salta fuori Dante Stark il supereroe contro la violenza sulle donne (che però devono essere fighe sennò non vale!). Quindi Dante salva la sua dipendente marchiando a fuoco i due farabutti, promettendole che non potranno più fare del male a nessuna donna, ma lasciandoli impuniti di andarsene anche se tra atroci sofferenze. (E qui mi sono incazzata! Ma come, si cerca in ogni modo di far denunciare le violenze e ‘sta scema rema contro? Ma che ti dice il cervello?). Torniamo alla storia. Raccattata la Rogers, Dante la riporta a casa e la cura, la coccola  e le tiene la manina. Perché è più importante che lei ritorni a far l’amore con un uomo che denunciare il tentato stupro e andare in ospedale… Insomma quello di cui ha bisogno Selina per rimettersi in sesto secondo la Probst, è scoparsi il suo supereroe o il suo alter-ego postino! Quali dei due sceglierà Selina? Notte o giorno? Sfigato o Supereroe? Non ha nessuna importanza. L’unica cosa, purtroppo, è che questa brutta storia è il prequel di una nuova serie … E se prima il mio appello alla Probst era di scrivere altro, ora il mio appello è questo: FERMATE QUESTA PAZZA! Voto: 2 anzi no 1.

mercoledì 5 agosto 2015

RECENSIONE – IL ROCCHETTO DI MADREPERLA DI CHIARA STRAZZULLA



Terzo libro di questa giovanissima scrittrice. Il rocchetto di madreperla, potrebbe essere sia un romanzo storico, vista l’ambientazione nell’ottocento inglese, che un romanzo fantasy, visto l’argomento trattato. Siamo a Londra nel 1880. Il protagonista è Lord Hugo Farquhar, che nel tentativo di salvare da morte certa suo fratello minore John, l’unica persona per cui prova dei sentimenti, decide di stringere un patto con il diavolo. Anzi più che altro di giocarci una partita a bridge. Sa per certo che non sarà proprio il diavolo a giocare con lui, ma che manderà i suoi sottoposti, perché certamente non può sprecare il suo tempo per una semplice partita di carte. Il diavolo ha ben altro da fare e Hugo lo sa bene. Dai suoi studi ha scoperto che il diavolo nel suo tempo libero ama ricamare, ma usa un filo speciale. I ricami non sono altro che i fili della vita di un uomo e quando questi vengono terminati e il filo tagliato, l’uomo muore. Il motivo della richiesta di Hugo è quella di entrare in possesso del rocchetto di filo che contiene la vita di suo fratello John, un rocchetto come tanti altri, con un filo particolare. Per giocare la partita bisogna per forza essere in cinque, quindi Hugo coinvolge altre persone. Lydia Van Leyden, prostituta sanguinaria, il giovane Lord Nightingale che considera Hugo il suo mentore, la sua perfetta antitesi il dissoluto Lord Vyvyan Rosebery e un drammaturgo di dubbio successo, Gregory Carlston. Ognuno di loro vuole qualcosa, e quale migliore opportunità di una partita a bridge con i sottoposti del diavolo? Alla porta di Hugo si presentano quindi Alastor il Vendicatore, Azazel il portatore di devastazione, Behemoth il Leviatano, Belfagor il lussurioso e un ultimo raffinato visitatore, creatura umana di apparenza ma insieme così innaturale. I cinque riusciranno a vincere la partita a bridge fra sogno e realtà, ma i diavoli si congederanno da loro con un monito: “Non pensiate che ogni vittoria sia veramente tale”. Ritroviamo Lord Farquhar a Venezia nel 1895. Tre giocatori della famosa partita a bridge sono morti. Il loro sangue è stato versato in base alle loro richieste. Due soltanto sono i sopravvissuti. Il rocchetto di madreperla, fonte della vita di John Farquhar, è ancora nelle mani di Hugo. John è sempre allo stremo delle forze, non c’è cura per la sua tisi allo stadio finale, l’unica cosa che lo tiene in vita è proprio il rocchetto nelle mani di Hugo. Intanto a Oxford, il professor Edgar Martens, amico di Lord Farquhar, e uomo di dubbia moralità, invia a Venezia il brillante Sterling Maynard, studioso di Tiziano. Con la scusa dei suoi studi, visto che Hugo Farquhar è un grande conoscitore di Tiziano, Sterling dovrà comunicare al professor Martens delle notizie sullo stesso Lord per scoprire il perché sia partito per Venezia, lasciando la politica e la sua posizione di rilievo a Londra. Martens è un uomo che approfitta della sua posizione di rilievo per ricattare i facoltosi studenti della sua università, pretendendo da loro un pagamento in natura. Sfortunatamente per lui, Sterling Maynard si ritroverà invischiato in un’avventura tra sogno e realtà insieme proprio a Lord Farquhar. Il romanzo si presenta scorrevole e capace, nei particolari, di ricreare alla perfezione le atmosfere ottocentesche a cui abbiamo attinto dagli scrittori del tempo. Contemporaneamente è capace di tenere attenta la curiosità del lettore, paragrafo dopo paragrafo, che vuol conoscere il mistero. Il romanzo è molto buono, completo e ben strutturato. Consigliato per chi vuole trovare qualcosa di nuovo. Voto: 7,5/8

lunedì 3 agosto 2015

RECENSIONE - La verità delle ossa di Kathy Reichs



Nuovo capitolo della serie di Temperance Brennan … se non erro dovrebbe essere il capitolo n. 22. Per Temperance le ossa, come sanno tutti i suoi cultori, non hanno segreti, e non mentono mai, dicono sempre la verità. Soprattutto se ad esaminarle sono delle persone che lo fanno con cognizione di causa. E chi meglio di Tempe Brennan? Ma questa volta la troviamo incagliata in una serie di problemi, che rendono la sua indagine molto diversa da altre da lei seguite. Tempe si trova alle prese con un caso di vecchissima data, come le capita spesso. A portarla alla revisione di un caso senza nome è una donna dai capelli di un colore improbabile, tale Hazel “Lucky” Strike che di mestiere fa il “cibersegugio”, una specie di detective improvvisata della rete, che tenta di abbinare ossa a persone scomparse. Hazel ha ritrovato in un bosco un registratore vocale, dove si sente una ragazza terrorizzata con altre persone. Tutto fa supporre che la ragazza sia stata prigioniera, torturata e poi uccisa. Hazel è convinta che i resti rinvenuti da Tempe, tre anni prima (solo un tronco senza testa, ne arti) sia Cora Tegue, la stessa della voce registrata che le ha fatto ascoltare. Ma di Cora Tegue, nessuno ha fatto denuncia di scomparsa e la sua famiglia non è di quelle a cui piace parlare. Fanno parte di una confraternita cattolica estremista, e secondo il capofamiglia la figlia era una povera peccatrice scappata con un poco di buono. Tempe, non sa se credere o no ad Hazel Strike, ma dopo aver effettuato svariate indagini con la collaborazione di uno sceriffo locale, si convince che effettivamente qualcosa di macabro e sinistro sia successo e che altre persone siano morte, e altre potrebbero morire. Tra culti satanici, estremismi, e avvenimenti anomali, Brennan svolgerà le sue indagini senza mai indietreggiare, con ad aleggiare tra i suoi pensieri la domanda che il “lieutenant” Andrew Ryan le ha fatto nello scorso capitolo: “Mi vuoi sposare?” A differenza della Cornwell la Reichs adora ancora scrivere di suo pugno e nonostante i suoi libri siano numerosi, ogni volta ci regala una storia plausibile. Bene l’intreccio giallo, bene le gag che ogni tanto compaiono, carini i riferimenti alla serie televisiva Bones, nata proprio dai suoi romanzi. Scritto bene, scorrevole come sempre, questa volta non ci sono nemmeno i classici riferimenti anatomici che non essendo una studente di medicina, mi fanno impazzire. Quindi bene, lo consiglio agli amanti del genere e soprattutto a quelli della Reichs e di Tempe Brennan. Voto: 7