lunedì 29 settembre 2014

RECENSIONE - Il testimone di Nora Roberts



Nora Roberts è una di quelle autrici di cui ci si può sempre fidare. A differenza di alcuni suoi colleghi, la signora Roberts non cade nella trappola di trasformare i suoi romanzi in canovacci superficiali e ripetitivi e continua a regalarci dei gioiellini di stile, oltre a belle storie e personaggi memorabili. Non fa eccezione questo romanzo. La storia di per se è qualcosa di già visto, ma non risulta, per questo, meno accattivante. Parliamo di una donna in fuga dal suo passato che si nasconde. Dietro tutto questo un mistero che la circonda. Il romanzo inizia con gli avvenimenti passati della protagonista, ciò che l’ha portata alla scelta di nascondersi da tutto e tutti. A sedici anni Elizabeth Fitch ha un quoziente intellettivo fuori dalla media, ma è totalmente incapace nei rapporti umani. La sua vita è fatta di schemi e di regole. Come se ogni giorno fosse scritto in anticipo, comandata a bacchetta da una madre fredda e calcolatrice, che controlla ogni minimo dettaglio della sua vita: cibo, vestiti, scuole, studi. Praticamente ogni cosa. Proprio per infrangere tutto questo  ha un moto di ribellione contro questa figura materna, dominante e insensibile. Un colpo di testa che avvia una reazione a catena inarrestabile. E’ l’unica testimone, involontaria, di un duplice omicidio perpetrato dalla mafia russa, dove perdono la vita uno degli affiliati, tacciato di tradimento, e l’amica di una sera Julie di solo diciotto anni, colpevole di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Vive per tre mesi sotto la protezione dell’FBI, finché un tradimento dall’interno e la morte di alcune persone non la costringono di nuovo ad una fuga precipitosa, convinta ormai di non potersi fidare di nessuno. E per dodici anni continua a fuggire e a nascondersi. Una nuova identità ed una vita appartata la portano in una piccola cittadina nelle Orzak, in Arkansas, dove tenta di passare inosservata, finché non viene notata dal capo della polizia locale, Brooks Gleason, che sempre più curioso e attratto dai suoi misteri, se lo ritroverà sulla soglia della sua casa super blindata. Elizabeth, diventata nel frattempo Abigail Lowery,  è un asso della pirateria informatica e un genio dei sistemi di sicurezza, e vive isolata in montagna, in una casa ben protetta con il suo cane da guardia Bert, e con una pistola sempre pronta. Non sa che pesci prendere con quest’uomo, tenace e spavaldo, che tenta in tutti i modi di infrangere gli schemi prefissi e rigidi che oramai costituiscono la sua vita quotidiana e le danno sicurezza. Con un lavoro davvero eccellente, la Roberts, è riuscita a creare la giusta curiosità verso la modalità di approccio e il conseguente interagire dei due personaggi. Agigail si troverà ad essere sempre più coinvolta nella vita di Brooks e non solo. Anche la sua famiglia e la loro spontaneità faranno breccia nelle sue difese e nel suo cuore. Ma allo stesso tempo si sentirà frustrata e impaurita da quello che prova. Non ha mai amato nessuno, non ha mai ricevuto affetto da nessuno e sarà difficile prendere coscienza di questi nuovi sentimenti e soprattutto fidarsi finalmente di qualcuno dopo tantissimo tempo. Un libro completo e adrenalinico sia nella prima parte che verso il suo epilogo, studiato in tutti i suoi dettagli. Ogni pedina svolgerà al meglio il suo compito. Suspense e azione, coraggio e tensione, odio e passione. Tutti insieme in un mix alternato e amalgamato alla perfezione. La Roberts, anche questa volta, è riuscita a conquistarmi con il suo stile preciso e articolato, senza mai essere complicato. Un “romance crime” da leggere e gustare. Voto: 7,5

giovedì 11 settembre 2014

RECENSIONE – CACCIATORI DI NUVOLE di Alex Shearer

Il mondo di Christien, il nostro protagonista, è uno strano mondo. Non è il mondo come lo conosciamo noi, ma qualcosa nato dopo, sicuramente dopo qualche catastrofe. Chriestien fa parte di un nuovo popolo, figlio, forse, di popolazioni provenienti dalla Terra mediante viaggi spaziali, e lo si determina dai ricordi e dalle usanze comunque molto simili alle nostre dello stesso protagonista. Abita in una delle tante isole che fluttuano nel cielo a diverse altezze. In questo mondo il bene primario è l’acqua, perché le piogge sono scarsissime. A rimediare a questo problema ci pensano i Cacciatori di Nuvole, intrepidi navigatori del cielo, che recuperano l’acqua attraverso macchinari installati sulle loro navi celesti, risucchiandola dalle nuvole. Sono nomadi per definizione, anche se ogni tanto si fermano in qualche isola per brevi periodi. Si riconoscono subito, perché hanno delle cicatrici trasversali sul viso,  hanno molti tatuaggi e una pelle leggermente ambrata. Sarà in occasione di una sosta dei Cacciatori nella sua isola, che Christien avrà l’opportunità di conoscere Jenine, come sua compagna di scuola temporanea. La prima cotta tra i due farà da collante, e spingerà Christien a volersi unire a lei  nei loro viaggi, una vita della quale il ragazzo non sa nulla, e che vede solo sotto un aspetto romantico. Ma Christien avrà modo di capire quanto il cielo possa essere pericoloso. Nel suo viaggio incontrerà molte specie di animali che non avrebbe avuto modo di conoscere, se fosse rimasto a casa, quindi pericolose, ma anche affascinanti, per un ragazzo curioso come lui. Ma il maggior pericolo sarà rappresentato dalla presenza dell’uomo e dalle insidie presenti sulle altre isole, dove vivono persone che mal gradiscono la presenza sul loro territorio di stranieri, sia pur necessari come i Cacciatori di Nuvole. Quello che non sa Christien, è che il viaggio che sta facendo è una missione di salvataggio. Devono recuperare, dalle prigioni della peggiore delle isole, Quenant, il padre di Janine. Quenant è un’isola abitata da fanatici religiosi, e il loro credo è la “forca”. Lì, Christien, avrà modo di vivere un’esperienza che lo trasformerà in modo radicale, dandogli le chiavi di interpretazione della sua vita. “Cacciatori di Nuvole” è un romanzo d’avventura, ma anche di formazione, ambientato in un  mondo fantastico molto ben definito. In realtà è proprio la minuziosa descrizione del mondo di Christien a far partire il romanzo un po’ lentamente. Le ambientazioni sono comunque suggestive, ma allo stesso tempo, a parte il rapporto tra Christien e Jenine, non si sa in che direzione andrà a finire la storia, dove siano i conflitti, visto che tutto sommato quelli che sembrano gli ostacoli all’amicizia tra i due ragazzi, non si rivelano tali. Scuola, famiglia, società, non costituiscono un ostacolo, pertanto è evidente che la storia è incentrata sul rapporto di amicizia, forse amore, tra i due protagonisti. Il romanzo è narrato in prima persona da Christien e procede lentamente fino alla sua partenza con i Cacciatori di Nuvole. Da qui la storia cambia regime, con innumerevoli momenti di conflitto e di vero pericolo. Ma non esiste un vero nemico, quello che il libro ci vuole mostrare è la paura del diverso e appare chiaro l’intento edificante della storia, che diventa un’allegoria della lotta pacifica contro ogni genere di intolleranza e fondamentalismo. Il tono leggero, ironico e autoironico del romanzo non fa perdere l’incisività del messaggio, anzi contribuisce a rendere la “lezione” più chiara, perché il narratore non si mette mai su di un piedistallo, ma si limita a mostrare l’assurdità dei comportamenti degli isolani, dando al lettore tutti i parametri per poter effettuare le sue valutazioni. Degno di nota in questo senso è il lavoro del traduttore, che è riuscito nel non facile compito di gestire la costruzione di questo nuovo mondo pur nella necessità di adattarlo ad una lingua diversa. L’avventuroso e concitato finale, pieno di colpi di scena, porterà il lettore ad essere soddisfatto di aver letto una buona storia per ragazzi, ma abbastanza complessa da poter piacere anche agli adulti, perché l’autore non cerca nemmeno per un minuto di forzare la mano, edulcorando la realtà, ma dà ad ogni personaggio o situazione la giusta risoluzione. Voto: 7,5

martedì 9 settembre 2014

RECENSIONE – DRACULA IN LOVE DI KAREN ESSEX


Il primo consiglio da dare, prima di cimentarsi nella lettura di questo libro, è quello di scordarsi, quasi completamente, il Dracula di Bram Stoker. L’autrice, Karen Essex, si è soltanto ispirata al grande capolavoro dello scrittore irlandese. All’inizio si può pensare, almeno la trama lo fa fare, che questa che abbiamo tra le mani sia una rivisitazione del Dracula dal punto di vista femminile, quello di Mina Murray. Ma non è così. La Essex riscrive personalmente la storia dal suo punto di vista. Segue la vicenda attraverso gli occhi di Mina, ma stravolge completamente la caratterizzazione degli altri personaggi. Il saggio e coraggioso Van Helsing (nel libro della Essex diventa Von Helsinger) diventa un misogino e folle psichiatra, fissato con l’inferiorità, sia morale che fisica delle donne, che intende guarire attraverso trasfusioni di sangue, che finiscono sempre per uccidere le sue pazienti. Il razionale Dottor Seward, diventa l’unico vero discepolo di Von Helsinger, che diagnostica con troppa facilità malattia di origine erotomane e ninfomane nelle donne, che vengono curate con crudeli sistemi realmente utilizzati nell’800. Riceverà il sonoro rifiuto come corteggiatore da parte di Mina, e questo lo scatenerà nei suoi confronti. Lord Goldaming, verrà trasformato nel personaggio più sordido della storia. Non è più l’innamorato di Lucy Westenra, ma il suo persecutore. Pur di appropriarsi della sua eredità, permetterà a Von Helsinger e al dottor Seward di torturare sua moglie, dichiararla pazza e farla morire sotto i sordidi esperimenti dei due. La stessa Lucy è molto diversa dalla ragazza civettuola raccontata da Stoker, non viene uccisa perché trasformata in vampiro dal conte. E’ una donna molto passionale, che ama, riamata Morris Quince, e viene uccisa, come già detto dal marito cornuto, e non dal mostro soprannaturale. Non c’è nulla di sbagliato nelle scelte dell’autrice, a meno che non si tenti di stabilire un contatto con il Dracula di Bram Stoker, perché si finirebbe col credere che i personaggi appaiano così, solo perché sono visti attraverso gli occhi ingannati di Mina, e che da un momento all’altro riveleranno le loro personalità e le loro intenzioni, e Mina scoprirà di essersi sbagliata. Ma non succede niente di tutto questo. Forse l’unico personaggio che mantiene una certa fedeltà con il Dracula di Bram Stoker è proprio Mina, anche se l’autrice le attribuisce delle origini fatate e un passato e presente amore con il conte. La Essex scrive molto bene. Il libro scorre fluido ed è ben costruito. Anche la ripartizioni in capitoli lunghi, in base al luogo in cui si svolge l’azione, aiuta il lettore a orientarsi e a rendersi conto delle varie fasi dello sviluppo degli eventi e del personaggio di Mina, che vive in due piani la vita reale e concreta e la riscoperta del proprio passato. La prima parte è quella con un atmosfera gotica, oscura e che crea una forte attesa, come se si vivesse insieme al conte, pur essendo nel corpo di Mina. Ho trovato la seconda parte, quella dove i due amanti sono finalmente insieme, un po’ deludente. Il loro amore, che si era infiltrato in modo molto sensuale nella coscienza di Mina, sembra prendere vita solo grazie ai suoi ricordi della vita passata, ma in realtà al lettore viene detto molto poco, tanto che invece di far decollare il rapporto tra i due, lo appiattisce completamente. Anche il trasformare i vampiri in un ordine cristiano di umani bevitori di sangue, mischiati con essere soprannaturali come i sidhe non è molto convincente, anche se è certamente originale. La Essex si riscatta nel finale, che per quanto possa deludere gli amanti del lieto fine, eleva ulteriormente la figura di Mina Murray che diventa capace di sacrificio e abnegazione e amore nello scegliere, sopra ogni altra cosa, sopra ogni altro sentimento, perfino sopra la sua vita immortale, la vita di suo figlio, rinunciando per l’ennesima vita al conte e ritornando da Jonathan, il padre di suo figlio, in modo da assicurargli una vita più normale possibile. A differenza del Dracula di Stoker, il libro è un inno alla donna e alla sua ricerca di indipendenza, un’esplicita accusa alle mentalità maschiliste che per secoli l’hanno ritenuta inferiore e l’hanno violentata e mortificata in ogni modo. La scelta finale di Mina può essere deludente magari a livello narrativo, ma è straordinaria a livello di affermazione della donna, creatrice e tutrice e difensore a oltranza della vita, contro l’uomo che invece cerca solo di dominarla. Voto: 7,5

RECENSIONE – Il cammino di immortale. La strada per Santiago di Jean-Christophe Rufin

Jean-Christophe Rufin racconta la sua personale esperienza lungo il cammino di Santiago di Compostela, un percorso che da secoli, fin dal Medioevo, compiono a piedi milioni di pellegrini. L’autore ci racconta la sua esperienza sul Cammino, e con questa tutti gli aspetti da quella mistica, a quella fisica, all’organizzazione e alle motivazioni che spingono moltissime persone a mettersi in viaggio, seppur di culture differenti. L’autore ci racconta che è il Cammino, è sempre il Cammino a scegliere, non è mai il Pellegrino. Anche la decisione da dove partire, non è mai tua. Lui partirà da Hendaye fino al santuario di Santiago di Compostela, lungo il Cammino del Nord, uno dei possibili percorsi verso la città spagnola. Mano a mano che passano i chilometri, Rufin delinea la figura del pellegrino, raccontando in modo ironico e originale gioie e dolori, di chi, zaino in spalla, percorre a piedi oltre 800 km. La solitudine e gli incontri, la cura dei piedi, il bivacco e le notti negli “albergue”, le meraviglie per gli occhi e quelle per lo spirito, i momenti di sconforto e la tenacia, caratteristica fondamentale per arrivare fino in fondo. Ci racconta che quando due pellegrini si incontrano non si domandano mai “Dove vai?” perché la risposta è evidente, nemmeno chi sei, perché se sei sul Cammino sei sicuramente un altro “Giacomeo”. La domanda che formulano è: “Da dove sei partito?” perché in effetti, anche tra i pellegrini, c’è la spocchia di chi ha scelto una partenza più dura e fa il vero cammino e i pellegrini leggeri, quelli che sono solo a caccia della “Compostela” che attesta il pellegrinaggio, e che fanno solo gli ultimi chilometri a piedi. Ci racconta il suo perché del viaggio. Della sua vita sovraffaticata, del voler tornare quasi ad essere un primitivo privato di tutti i pensieri. Il Cammino per lui ha la virtù di far dimenticare le ragioni che inducono a percorrerlo sostituendo la confusione e la moltitudine di pensieri con la semplice ovvietà del camminare. Ci racconta che mano a mano che il Cammino si inoltra e ci si avvicina alla meta, ma con ancora tanti chilometri da macinare, ci si sente liberi dell’involucro protettivo, e il pellegrino, alla soglia della terza settimana si sente nudo, pronto ad accogliere la verità del Cammino stesso. Le sue frasi non hanno lo scopo di convincere, ma soltanto di descrivere quello che è stato per lui il viaggio. Per dirlo con una sua formula che è scherzosa soltanto in apparenza: “Partendo per Santiago non cercavo niente e l’ho trovato”. “Il camminatore”, ci spiega, “è, secondo la formula di Victor Hugo, un gigante nano. Si sente all’apice dell’umiltà e al culmine della sua potenza. Nello stato di abulia in cui è stato gettato da quelle settimane di vagabondaggio, in quell’animo liberato dal desiderio e dall’attesa, in quel corpo che ha domato le sue sofferenze e limato le sue impazienze, in quello spazio aperto, saturo di bellezze, interminabile e finito a un tempo, il pellegrino è pronto a veder sorgere qualcosa di più grande di lui, di più grande di tutto, in verità”. Bisogna che il pellegrino sia infine solo e quasi nudo, che abbandoni gli orpelli della liturgia, per poter allora salire verso il cielo. Tutte le religioni si mescolano in quel faccia a faccia con il Principe essenziale. Come il sacerdote azteco sulla sua piramide, il sumero sul suo zigurrat, Mosè sul Sinai, Cristo sul Golgota, il pellegrino, in quelle alte solitudini, lasciato in balia dei venti e delle nuvole, estraniato da un mondo che vede dall’alto e da lontano, abbandonato a se stesso nelle sue sofferenze e nei suoi vani desideri, raggiunge finalmente l’Unità, l’Essenza, l’Origine. Poco importa quale nome gli dà. Poco importa in cosa quel nome s’incarna. Il pellegrinaggio è un viaggio che salda insieme tutte le tappe della credenza umana, dell’animismo più politeistico fino all’incarnazione del Verbo. Il Cammino re-incanta il mondo. Dopo, ciascuno è libero, in quella realtà satura di sacro, di racchiudere la sua spiritualità ritrovata in questa o quella religione, oppure in nessuna. Un racconto divertente e affascinante capace di suscitare nel lettore il desiderio di provare un’esperienza che, come sostiene Rufin, finisce inevitabilmente per cambiare chi la compie, spingendo a guardare il mondo con occhi diversi. Voto: 8

RECENSIONE – La dodicesima vittima di Iris Johansen

Ho comprato questo libro per caso, in una libreria dell’usato. Mi sono accorta nel leggerlo che era un seguito di qualcosa d’altro. In effetti ci sono parecchi richiami a qualche capitolo precedente, di cui non se ne sa l’esistenza, almeno sul libro stesso. Cercando qui e là su internet, ho scoperto che è un’autrice molto prolifica (almeno nel suo paese), e che questo è, forse, il quarto o quinto libro della serie di Eve Duncan. La protagonista come dicevo, è Eve Duncan e nel corso della storia, a dir poco scialba, avrà a che fare con fantasmi, sette segrete e poteri paranormali, con un pizzico (ma proprio poco) di romance. La storia ha inizio con il ritrovamento del corpo di Nancy Jo Morris, figlia diciannovenne di un senatore degli Stati Uniti. Il suo cadavere viene ritrovato sulle sponde di un lago con la gola tagliata, denudato. Ma quello che più fa pensare ad un omicidio rituale è un calice intarsiato ritrovato nelle mani della vittima. Ad indagare sul caso è Joe Quinn, compagno di Eve Duncan, una scultrice forense, che la stessa sera trova un calice simile nel frigorifero della sua casa. Eve e Joe sono appena usciti da quello che si può considerare un incubo. Indagando sulla scomparsa della figlioletta di Eve, Bonnie, lei e Joe sono incappati, con l’aiuto della sensitiva Megan, in un’isola dove erano sepolti molti bambini. Ma non Bonnie. Il non ritrovamento del corpo della piccola e l’uccisione, da parte di Eve del Killer dei fanciulli Henry Kistle, sta portando i due più lontano l’uno dall’altra. Bonnie è un’ossessione per entrambi, ma in modo diverso. Si scopre subito che l’assassino della Norris è un certo Jelak, amico di Kistle, che si crede un dio-vampiro e che effettuare la sua definitiva trasformazione deve ultimare un rituale macabro: bere il sangue di dodici donne, belle forti e intelligenti, così da appropriarsi delle loro qualità. Quindi Jelak ha deciso, per vendetta, che la sua dodicesima vittima sarà Eve Duncan, quella che gli consentirà di diventare immortale. Il contatto avuto da Joe Quinn con la sensitiva Megan sull’isola ha portato al risveglio di poteri latenti in lui. Ed ora Joe, suo malgrado, può vedere i fantasmi. All’inizio, l’uomo concreto e scettico, penserà di essere fuori di testa, ma Bonnie, cioè il fantasma di Bonnie, metterà tutto a posto. Il fantasma di Nancy Jo e il sensitivo-cacciatore Seth Caleb faranno il resto. Niente di più scontato. Decisamente non un granché. Voto: 5

RECENSIONE – IL RITORNO DEL NAUFRAGO di François Grande

Libro d’esordio per questo scrittore francese, che in patria ha sfondato sul serio, riuscendo nell’impresa di vendere più di 100.000 copie. Siamo nel 1861. Questa è la storia di Narcisse Pelletier, ma anche di Octave de Vallombrun. Due uomini che il caso farà incontrare, conoscere e perdere. Narcisse uomo bianco, viene ritrovato in un isola nel sud dell’Australia, non ancora completamente esplorata, in mezzo ad una tribù di neri. Completamente nudo, coperto di strani tatuaggi e di varie scarnificazioni della pelle. Viene fatto risalire, con l’inganno, su una nave ancorata per caso nella baia dell’isola sconosciuta. Nessuno sa chi sia né come abbia fatto ad arrivare lì, ma viene lo stesso riportato a Sidney tra quelli che dovrebbero essere i suoi simili. Ma lui non parla nessuna lingua conosciuta. Blatera alcune parole, ma nessuno riesce a comprenderlo. Da qui un incontro, organizzato dal governatore di Sidney con alcuni degli studiosi presenti in Australia di diverse lingue. Tra questi Octave de Villombrun, viaggiatore e studioso, socio della Société de Geographie di Parigi. Tra tutti questi studiosi solo quando Octave parla in francese, “il selvaggio bianco” sembra avere una reazione. Quindi Octave, con la collaborazione del governatore prende Narcisse sotto la sua ala protettiva. Questa è l’occasione che aspettava da tutta una vita. Diventare un personaggio nel mondo accademico della geografia, degli esploratori del mondo. Da qui il libro si dividerà in due parti distinte. La storia di Narcisse, di quello che gli è accaduto da quando ha perso la sua nave e la sua vita, e la storia di Octave raccontata in forma epistolare al presidente della Société de Geographie. L’unico movente di Octave, anche se può sembrare diverso, sarà sempre quello della ricerca scientifica, di diventare famoso con qualche pubblicazione sul “Selvaggio Bianco”. Vorrebbe descrivere le trasformazioni di un bianco diventato selvaggio che poi ridiventa bianco. Ma purtroppo Narcisse non glielo permetterà mai. Non risponderà mai alle domande di Octave, non racconterà mai la sua storia, tranne qualche fuggevole risposta che non darà allo stesso Octave ma ad altre persone, in occasioni per lui emozionanti. Noi invece la storia di Narcisse la conosceremo. Tutte le sue pene e i suoi pensieri di diciottenne perduto in mezzo ai selvaggi. Conosceremo le sue fatue speranze, la sua disperazione, la fame, la sete, ma soprattutto la solitudine vissuta in mezzo a persone che non capisce e che addirittura non concepisce come umane, fino all’accettazione finale per poter sopravvivere. Per questo Octave, anche se alla fine tenterà con la forza ottenendo solo la scomparsa di Narcisse, non riuscirà mai a sapere nulla della storia del “Selvaggio bianco” tra i selvaggi. Narcisse ha vissuto la perdita della propria esistenza quando è rimasto con i selvaggi accettandola per non morire, e allo stesso modo rinuncia alla sua vita selvaggia, dimenticando tutto pur di non morire di nuovo, perché: “Parlare, è come morire.” Scritto benissimo, molto fluido, tanto che sono riuscita a finirlo in due giorni. Bel libro con un argomento spiazzante. Può un uomo dimenticare tutta la sua vita passata per non morire? Può un uomo, nel nome della scienza, chiedere ad un altro di ricordare ciò che gli fa più male? Il finale del libro non c’è, è lasciato in esclusiva al lettore. Ognuno può pensare ciò che vuole. Io, nel mio piccolo, ho rivisto Narcisse nudo sulla sua isola in compagnia delle persone che aveva alla fine imparato ad amare e a considerare sue. Voto: 7,5

RECENSIONE – Il serpente di Venezia di Christopher Moore


“Il serpente di Venezia” è la sorprendente visione delle opere shakespiriane da parte del geniale scrittore Christopher Moore. Già autore della rivisitazione di Re Lear con Fool, qui ci troviamo alla presenza di niente di meno che di tre opere quali “Il mercante di Venezia”, l’”Othello” e “Il barile di Amontillado”, fusi insieme in un’unica vicenda originale, quanto legata agli originali. Il tutto nel solito stile dissacrante di Moore. La vicenda è ambientata nel 1200, anche se le varie storie originali hanno una diversa datazione. L’autore ha preso un po’ qua e un po’ là per creare un incrocio verosimile di tempi e luoghi. Torna ad allietarci Taschino, il Matto ingegnoso di Fool. Lo troviamo alle prese, quale ambasciatore d’Inghilterra, con un appuntamento con tre uomini veneziani. Antonio, un mercante, Brabanzio, un senatore e Iago, un soldato della Repubblica. Ma quello che Taschino non sa, è che gli uomini che l’aspettano lo vogliono uccidere. Per loro è un problema contro i loro piani per l’ascesa nelle cariche di massima importanza a Venezia e per la probabilità di scatenare una nuova Crociata. Quindi attirato dalla presenza della bella Porzia, figlia minore di Brabanzio e da un barilotto di buon Amontillado, Taschino va incontro al suo destino. Ma scoprirà ben presto che di Porzia non c’è traccia e che l’Amontillado ha uno strano sapore di pece. Il vino è drogato e Taschino è in trappola. Ma lui ha sempre delle risorse, che sia il diavolo o la provvidenza ad aiutarlo. Stavolta l’aiuto gli viene da una creatura molto particolare. Moore sembra quasi farsi beffe dei grandi autori come Shakespeare e Poe, ma bisogna anche dire che per arrivare ad una trama che abbia un senso e abbia il giusto grado di umorismo, ha dovuto per forza leggerne le opere, anzi studiarle in ogni loro piccolo particolare. E questo non è dissacrare, ma venerare. Attraverso una scrittura fluida, una trama piena di intrighi e risoluzioni i personaggi assumono nuove caratteristiche, come Jessica che da brava ragazza ebrea assume le fattezze e il linguaggio di un pirata sboccato, o della stessa Porzia, trasformatasi in un avvocato, tanto che la sua forma maschile è molto più intelligente di quella femminile, che pensa esclusivamente alle sue scarpe, o lo stesso Shylock da ebreo calpestato, ad un uomo vendicativo. Le parolacce e le fantasiose imprecazioni sono un marchio originale di Moore, che ci accompagnano dal “Vangelo secondo Biff”. E così tra situazioni surreali e battute si viene catapultati nella Venezia dei Dogi che fa da sfondo alle vicende. Moore unisce in maniera egregia tutti questi personaggi facendoli interagire tra loro senza che niente ci faccia storcere il naso, anzi ci sorprende sempre più la sua bravura nel riuscire negli incastri per arrivare alla sua personale narrazione. Quel che è certo è che non ci si annoia e che c’è sempre un fottuto fantasma. E un serpente, quello del titolo. C’è anche lui. Voto: 8

RECENSIONE – Il serpente di Venezia di Christopher Moore


“Il serpente di Venezia” è la sorprendente visione delle opere shakespiriane da parte del geniale scrittore Christopher Moore. Già autore della rivisitazione di Re Lear con Fool, qui ci troviamo alla presenza di niente di meno che di tre opere quali “Il mercante di Venezia”, l’”Othello” e “Il barile di Amontillado”, fusi insieme in un’unica vicenda originale, quanto legata agli originali. Il tutto nel solito stile dissacrante di Moore. La vicenda è ambientata nel 1200, anche se le varie storie originali hanno una diversa datazione. L’autore ha preso un po’ qua e un po’ là per creare un incrocio verosimile di tempi e luoghi. Torna ad allietarci Taschino, il Matto ingegnoso di Fool. Lo troviamo alle prese, quale ambasciatore d’Inghilterra, con un appuntamento con tre uomini veneziani. Antonio, un mercante, Brabanzio, un senatore e Iago, un soldato della Repubblica. Ma quello che Taschino non sa, è che gli uomini che l’aspettano lo vogliono uccidere. Per loro è un problema contro i loro piani per l’ascesa nelle cariche di massima importanza a Venezia e per la probabilità di scatenare una nuova Crociata. Quindi attirato dalla presenza della bella Porzia, figlia minore di Brabanzio e da un barilotto di buon Amontillado, Taschino va incontro al suo destino. Ma scoprirà ben presto che di Porzia non c’è traccia e che l’Amontillado ha uno strano sapore di pece. Il vino è drogato e Taschino è in trappola. Ma lui ha sempre delle risorse, che sia il diavolo o la provvidenza ad aiutarlo. Stavolta l’aiuto gli viene da una creatura molto particolare. Moore sembra quasi farsi beffe dei grandi autori come Shakespeare e Poe, ma bisogna anche dire che per arrivare ad una trama che abbia un senso e abbia il giusto grado di umorismo, ha dovuto per forza leggerne le opere, anzi studiarle in ogni loro piccolo particolare. E questo non è dissacrare, ma venerare. Attraverso una scrittura fluida, una trama piena di intrighi e risoluzioni i personaggi assumono nuove caratteristiche, come Jessica che da brava ragazza ebrea assume le fattezze e il linguaggio di un pirata sboccato, o della stessa Porzia, trasformatasi in un avvocato, tanto che la sua forma maschile è molto più intelligente di quella femminile, che pensa esclusivamente alle sue scarpe, o lo stesso Shylock da ebreo calpestato, ad un uomo vendicativo. Le parolacce e le fantasiose imprecazioni sono un marchio originale di Moore, che ci accompagnano dal “Vangelo secondo Biff”. E così tra situazioni surreali e battute si viene catapultati nella Venezia dei Dogi che fa da sfondo alle vicende. Moore unisce in maniera egregia tutti questi personaggi facendoli interagire tra loro senza che niente ci faccia storcere il naso, anzi ci sorprende sempre più la sua bravura nel riuscire negli incastri per arrivare alla sua personale narrazione. Quel che è certo è che non ci si annoia e che c’è sempre un fottuto fantasma. E un serpente, quello del titolo. C’è anche lui. Voto: 8

RECENSIONE - Un amore pericoloso di Nora Roberts


Ritroviamo Nora Roberts alle prese con un nuovo romanzo che ha al suo interno due anime ben distinte. Quella romance, di cui l'autrice è maestra e l'altra, tra il giallo e il thrilling, in cui l'autrice sta provando a cimentarsi. Questo romanzo inizia con lentezza, poco scorrevole se vogliamo, ma forse è una cosa anche un po' voluta. La storia inizia con la nostra protagonista, Catarina Hale, detta Reena, appena undicenne alle prese con il bullo del quartiere italiano di Baltimora, Joey Pastorelli, che l'aggredisce nel cortile della scuola, strappandole la camicetta. Verrà salvata in extremis dal fratello minore Xander. I due racconteranno tutto al padre Gibson, che per amor filiale, presenterà le sue lamentele a Pastorelli Senior, che vedrà bene di vendicarsi appiccando un incendio nel ristorante di famiglia degli Hale, il Sirico's. Da qui, da questa premessa, parte a spron battuto la storia incentrata sulla vita di Reena che dalla sera dell'incendio ha deciso il suo futuro, quello di diventare detective del nucleo antincendio, una sorta di CSI per scoprire il come e il perché degli incendi. La sua vita è costellata di successi scolastici e lavorativi e riesce a raggiungere con tenacia lo scopo prefissato, tranne incappare in due incendi che le uccidono il suo primo amore, Josh compagno di università e Hugh un collega con cui stava legando e che viene ritrovato morto nella sua auto incendiata nel North Carolina. Queste due morti seppur legate in maniera diversa alla protagonista, non desteranno sospetti. Questo non farà che aumentare la voglia di protagonismo del piromane assassino, che si metterà quasi al centro della storia. Tra varie peripezie, matrimoni italiani, riunioni familiari e un incendio e l'altro, Reena riuscirà a venire a capo dei suoi due assilli: trovare un colpevole alle strane morti che la circondano e quindi salvarsi la vita e trovare in Bowen l'amore della sua vita. Scritto bene, senza incertezza alcuna, tranne la lentezza delle prime 50 pagine non ci sono appunti da fare all'autrice. La storia in se è ben strutturata in tutte e sue parti, ma d'altronde dalla Roberts me lo aspetto, vista la sua caratura a livello internazionale. Certo non è un libro da premio Pulitzer, ma è sicuramente adatto per passare qualche giorno in compagnia di una storia bella, semplice e dei suoi protagonisti. Voto: 7