giovedì 24 marzo 2016

RECENSIONE – Il prigioniero della notte di Federico Inverni


Libro d’esordio per questo autore.. ma forse no … quello che si dice è che Federico Inverni sia uno pseudonimo, quindi se sia il suo primo libro o meno non è dato sapere. Quello che so è che scrive bene ed è capace di tenerti incollata alle pagine del suo libro fino a finirlo. Devi leggerlo, devi continuare a farlo, per arrivare a scoprire come andrà a finire. Lucas è uno dei protagonisti della nostra storia. Lo troviamo confuso, incredibilmente assente; non riesce a ricordare nemmeno chi sia. Riesce a comprenderlo solo dopo aver letto un appunto su di un block notes appoggiato sul comodino. Quello che ci risulta più strano è che quest’uomo è un detective, un poliziotto. Può un uomo che non è presente nemmeno a se stesso svolgere correttamente il suo lavoro? Probabilmente sì. E’ freddo, è logico e non prova emozioni. E’ dotato di  fiuto investigativo ed analizza ogni cosa dal suo punto di vista: con freddezza, senza alcuna emozione e quindi con logica. Per tanti suoi colleghi è soltanto un nome, una leggenda. A qualcuno spaventa come fosse un fantasma, un morto, e forse è proprio morto per davvero. Almeno per lui. Dopo la prima immagine poco edificante in cui ci viene presentato, troviamo Lucas alle prese con un cecchino barricato all’interno di un palazzo. Ha ucciso e ferito delle persone in strada. Un autobus pieno di persone è rovesciato su un fianco nel mezzo della via, per fuggire l’autista ha travolto un suv. Nessuno può uscirne, nessuno si può avvicinare. Il cecchino vuole Lucas. Dall’altra parte della città viene ritrovato il cadavere di una ragazza. E’ il quarto in due mesi. Anna, profiler della polizia non sa più cosa cercare, dove indagare. E’ un serial killer quello che sta cercando, che uccide donne giovani, soprattutto studentesse, lasciando nella loro bocca un bocciolo di tulipano. Anna e Lucas non lo sanno, ma si troveranno ad affrontare due storie che per qualche motivo sono unite tra di loro. Anna per affrontare la sua di storia, chiede l’aiuto di Lucas, vista la sua fama. I due non lo sanno, ma questa indagine comporterà per i protagonisti, un ritorno al passato. Ognuno dovrà ricordare quello che vogliono dimenticare. I loro drammi passati, le loro traumatizzanti esperienze, nascoste nel loro inconscio, usciranno allo scoperto, portando i due, in modi diversi ad affrontarli di nuovo. Lucas dovrà lottare per non sprofondare nella pazzia, Anna nella rabbia. Ma il killer non aspetta. Il male, è capace di nascondersi, ma anche di spuntare fuori all’improvviso, con i suoi artigli, e aggrapparsi alla preda senza volerla lasciare. Ma ci mostra facce diverse, convincendoci che non era dove pensavamo fosse, ma in tutt’altra parte. Pensiamo che i carnefici, i colpevoli e i loro  cacciatori siano i protagonisti di questa storia, ma non è così. La protagonista è la mente umana, quella distorta e confusa, quella arrabbiata e delusa, quella folle. Di chi sia cosa importa?  Un romanzo che sembra freddo come una tomba, cupo, nero, che più nero non si può. Folle come può essere la mente di un folle. E’ bravissimo Inverni a creare tensione e suspense tanto da tenere il lettore ancorato alla storia. Dissemina indizi qui e là con logicità. Nulla è come sembra. Chi è la vittima e chi il carnefice lo scopriremo solo alla fine, ma a quel punto saremmo noi a voler conoscere di più, a voler continuare la storia, tanto da leggere con avidità anche la spiegazione finale dell’autore. Romanzo molto coinvolgente con i suoi personaggi ben caratterizzati ed una scrittura talmente scorrevole che le pagine filano via senza quasi rendersene conto, tanto ci si immedesima nella storia. Tutto d’un fiato, fino alla fine. Voto: 9



lunedì 14 marzo 2016

RECENSIONE – La casa per bambini speciali di Miss Peregrine di Ransom Riggs



Questo libro comprato anni fa era rimasto a prender polvere sugli scaffali della mia libreria. Di punto in bianco mi è presa la voglia di leggerlo, a voler confermare quello che dico sempre: ogni libro ha il suo tempo. L’ho finito subito e devo dire che mi ha piacevolmente colpito. E’ un fantasy, ma non troppo, direi molto gotico. Bellissime sono le illustrazioni che arricchiscono la storia. Questa è a dir poco surreale, molto in tinta dark e si dipana in due diversi spazi temporali. Abe e Jason sono nonno e nipote. E come in ogni famiglia normale un nonno racconta le sue favole al nipote. E nonno Abe di storie da raccontare a Jason ne ha tantissime vista la sua vita non proprio tranquillissima costellata di viaggi e cacce grosse e soprattutto storie della seconda guerra mondiale, da lui vissuta prima come fuggitivo e poi come soldato. Le sue storie raccontano anche di bambini invisibili, bambini in grado di volare, di alzare dei massi pesantissimi come fossero piume o con strane fattezze. Bambini che vivono in un mondo magico, dove anche Abe è stato accolto da bambino, un paradiso dove splende sempre il sole, affidato all’amorevole cura di un uccello che fuma la pipa.  Però ultimamente Nonno Abe è strano, e Jason ormai adolescente, non crede più alle cose che gli racconta. Pensa, come i suoi genitori, che l’età ormai avanzata di suo nonno e le troppe brutture che ha visto nella sua vita, lo facciano sragionare. Abe si sente perseguitato. I mostri lo inseguono e cerca aiuto nell’unica persona che pensa possa trarlo in salvo, suo nipote. Ma un giorno al telefono, il nonno lancia l’allarme, i mostri sono arrivati, lo hanno trovato. Jason corre a casa del nonno e lo trova riverso vicino al bosco con delle ferite mortali. In punto di morte gli dice qualcosa che non riesce a capire, ma poi le sue parole diventeranno molto più chiare. Anche lui vede qualcosa, un mostro orribile con dei tentacoli lunghissimi al posto della lingua. Sarà il mostro che ha ucciso il nonno? Ma nessuno la pensa così. La polizia pensa siano stati degli animali selvatici e così anche i suoi genitori e che il ragazzo abbia subito uno shock notevole. Nonostante gli incubi e le notti insonni, il giovane Jason sa che suo nonno voleva rivelargli qualcosa e che quelle parole che le ha sussurrato morente un significato ce l’hanno eccome. Convinto dal suo psicologo Jason decide di partire alla volta dell’isola dove era ospitato l’orfanotrofio di Miss Peregrine e dove suo nonno era stato ospitato da bambino. Soltanto in quelle stanze abbandonate e in rovina, rovistando nei bauli pieni di polvere,  di foto e di racconti strani, Jacob potrà  capire se le storie di suo nonno di mirabili avventure, di magia e di mistero, erano solo farneticazioni di un vecchio che   turbavano i suoi sogni notturni o se invece erano la pura verità,  come sembra testimoniare la strana collezione di fotografie d’epoca che Abraham custodiva gelosamente, le stesse contenute nel baule. Possibile che i bambini di quelle fotografie ingiallite,  bizzarre ed inquietanti, fossero davvero speciali? Speciali e dotati di poteri straordinari e forse pericolosi? Possibile che quei bambini siano ancora vivi e che  vivano in un mondo a parte, in un’altra dimensione, protetti dal mondo esterno e dallo scorrere del tempo?  Bellissima la prima parte del libro, perché è molto originale. C’è un po’ di tutto, dai sentimenti del nonno che sa di non essere più capito dal nipote nonostante lo abbia cresciuto, dal rapporto che Jason ha con i suoi genitori distanti e annoiati e soprattutto presi da se stessi, la solitudine che si prova quando si è adolescenti, ampliata dalla distanza con i genitori e soprattutto dall’assenza di amici e le foto, che come ho già detto arricchiscono la storia e la rendono quasi un film in bianco e nero. Ragazzi strani, in pose strane, emarginati come è lo stesso Jason. Nell’epilogo i toni si fanno più incalzanti con il crescere del pathos della storia, aiuta molto la scrittura scorrevole, arrivando così nell’insieme  ad un libro godibile e piacevolissimo da leggere, e anche bellissimo da guardare. Un piccolo gioiello. Il finale rimane aperto, e so già che c’è un secondo volume che spero sia all’altezza di questo. Voto: 8

mercoledì 9 marzo 2016

RECENSIONE – New York di Edward Rutherfurd



Sono stata titubante fino all’ultimo minuto. Non sapevo o no se intraprendere la lettura di questo tomo, un e un po’ sinceramente mi spaventava. Novecentoottanta pagine non sono uno scherzo, soprattutto se scritte in un carattere piccolissimo e non avendo letto nulla di questo autore prima d’ora. Dal titolo si capisce che la protagonista è New York, dalla sua nascita come Nuova Amsterdam in mano ai pellegrini olandesi, fino alla New York dei nostri giorni (o quasi). Quasi quattro secoli di storia, dai piccoli traffici con le tribù indiane alla dominazione inglese, dalla Rivoluzione alla Guerra Civile, dalle moltitudini di migranti che sbarcavano a Ellis Island tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ai ruggenti anni Venti, dal crollo della Borsa del 1929 alle guerre mondiali, fino alla tragedia dell’11 settembre. A raccontarci la storia della città sono i protagonisti delle famiglie che vi hanno abitato nell’arco dei secoli, diverse generazioni che si confrontano con il periodo storico in cui si trovano. La più importante è quella dei Master/Van Dyck, che  troveremo sempre presente nel corso di tutta la storia. Padri, figli, nipoti e pronipoti, tutti appartenenti alla categoria dei mercanti, in alcuni momenti ricchissimi, in altri in balia delle borse, delle guerre o del mercato. Alle vicende di questa famiglia se ne intersecano altre, come quella degli O’Donnell di origine irlandese, dei Caruso di origine italiana e dei Keller di origine tedesca. Tutte rappresentano un periodo e una caratteristica fondamentale della New York odierna. Quella di essere il melting pot di un numero incredibile di razze, passate attraverso le varie integrazioni, non sempre facilissime, ma che sono poi diventate una parte fondamentale della cultura della Grande Mela. L’autore ci racconta le coinvolgenti vicende quotidiane dei suoi personaggi, con la storia incentrata sulle varie generazione dei Master, tutti con i propri desideri, le proprie speranze, avidità e corruzione, sogni e intraprendenze, caratteristiche della città divenuta il simbolo dell’economia, della finanza e della cultura, non solo americana. Rutherfurd riesce a rendere il racconto storico della trasformazione di New York meno noioso, mostrandoci soprattutto l’aspetto umano che gli avvenimenti storici portarono al crogiuolo di popolazioni che abitavano la New York del passato. Personaggi inventati, come i protagonisti, che interagiscono con personaggi storici esistiti e che hanno avuto un ruolo nella storia americana. Storie fittizie che si intersecano con storie reali. Un libro che consiglio a tutti gli amanti del genere, perché si tratta di un romanzo storico perfettamente riuscito, che cattura e appassiona come non molti libri sono in grado di fare. Unico appunto che posso fare all’autore è che ha evidenziato dei momenti storici moltissimo, quali la guerra d’indipendenza dall’Inghilterra e la guerra di secessione americana, parlandone per più di metà libro, e altri, secondo me altrettanto importanti, quali la seconda guerra mondiale, la guerra del Vietnam e le lotte razziali, sono veramente solo accennate. Molto toccante è l’ultimo capitolo, quello legato all’11 Settembre, avvenimento molto più vicino a noi, e che tutti abbiamo visto anche solo per la comunicazione televisiva in diretta. Una grande città, con un grande passato, colpita diritta al cuore. Ma come sempre, New York saprà tornare alla vita. Le quasi mille pagine dell’opera rimangono comunque un romanzo, non un trattato di storia o un saggio economico-sociale. Tutto lo schema narrativo è a mio parere un inno corale al fascino irresistibile di New York, città unica al mondo; questo fascino trae forse le proprie origini dal crogiolo di razze che ne hanno determinato la crescita. La sontuosa storia della città, dalle prime capanne indiane agli attuali grattacieli, è stata infatti costruita da gente di ogni nazione, e dietro alle facciate di vetro e acciaio aleggia ancora lo stesso spirito di iniziativa, lo stesso desiderio di libertà e speranza. Consigliato per gli amanti del genere. Voto: 7+