venerdì 14 giugno 2019

RECENSIONE – Figlio dell’Impero britannico di Jane Gardam (di Silvia Marcaurelio)



Figlio dell’Impero Britannico di Jane Gardam inizia con la conversazione tra due avvocati inglesi che parlano tra loro di quello che, nel loro ambiente, è considerato una leggenda, un principe del Foro, Edward Feathers detto Old Filth (Vecchia Schifezza) o semplicemente Filth acronimo di Failed In London Try Honk Kong (fallito a Londra prova Honk Kong). Secondo i due non ha ragione di essere così famoso, perché, in fin dei conti, la sua vita è stata facile. Un vero “piattume”. Tutto organizzato, tutto pianificato dalle giuste conoscenze. Ma Old Filth o Edward Feathers li ha sentiti, seduto nascosto in una poltrona del suo antico club, e con la sua memoria ci riporterà all’inizio della sua storia in parallelo con il suo presente. Nato in Malesia, allora Impero Britannico, Edward non ha mai conosciuto sua madre, che è morta mettendolo al mondo. Ma nemmeno suo padre, che di lui non sa che farsene e lo ha interamente affidato alle cure della balia malese Ada. Viene riportato sulla retta via da una missionaria inglese, Zia Betty, che lo strappa all’affetto da quella che Edward considera la sua famiglia, per riportarlo tra le braccia della madre patria, perché non è possibile per un inglese crescere in un luogo “selvaggio”. Affidato ad una famiglia gallese, i Didds, insieme a quelle che dovrebbero essere due lontane cugine, Claire e Babs, passerà degli anni bui, che verranno dimenticati e chiusi ermeticamente a chiave in un luogo altrettanto buio della sua anima. Per questo Edward crescerà senza riuscire mai ad esternare qualsiasi tipo di sentimento e seppur prova qualcosa lo farà balbettando. Seguiranno gli anni della scuola sotto l’ala protettrice di “Sir” e dell’amicizia con Patrick Ingoldby, per Edward come un fratello, e della famiglia di lui, che praticamente lo “adotta” solo per far compagnia al figlio. Ma la storia è anche quella di un rifiuto continuo, quello del padre, delle cugine, delle zie, dei Didds, degli Ingoldby. Edward non avrà mai un porto sicuro, non avrà radici e non avrà nemmeno modo di farsele, perché quando tenterà di far parte della famiglia Ingoldby, gli verrà rimarcato dal suo stesso amico, che: “sono cose di famiglia”, respingendolo al di fuori del mondo artefatto che si era creato. Suo padre cercherà di nuovo di strapparlo da un luogo, che non ha mai sentito come casa sua, durante la seconda guerra mondiale, per riportarlo in Malesia, in quello che si pensava fosse un posto più sicuro. Non vi arriverà mai e non rivedrà mai più suo padre. Malato, febbricitante e delirante verrà ricondotto in Inghilterra. Guarito si arruolerà nell’esercito, ma non farà mai la guerra, verrà mandato a proteggere la Regina Madre, Queen Mary, in una tenuta di campagna e lì verrà impegnato in noiose conversazioni con la vecchia regina, ma avrà modo di poter studiare i grossi tomi di legge provenienti da Oxford. Laureatosi in legge a pieni voti ad Oxford, proverà a lavorare a Londra, ma capirà che non avrà mai un impiego serio. Deciderà, grazie a Albert Loss (Ross) conosciuto durante la traversata che lo riportava in Malesia, di partire per Honk Kong dove la sua vita avrà la svolta tanto agognata, dove conoscerà l’amata moglie Betty, anche lei figlia del Raj, come lui. Fino ad arrivare ai giorni nostri, con un Edward ormai sulla soglia degli 80 anni, con sua moglie morta da pochi giorni. La solitudine lo porterà a ricordare cose che aveva sepolto da tempo e che cercherà di condividere di nuovo con le persone che per lui hanno veramente contato qualcosa, fino all’epilogo della storia con l’agognato ritorno a casa, Honk Kong. Un libro, una storia che mette in parallelo l’impero e la sua magnificenza prima e la decadenza poi, con la vita di Feathers dall’infanzia alla vecchiaia. Scritto in maniera tipicamente british compreso l’immancabile humor, è garbato, lento, mai volgare, mai al di sopra delle righe anche trattando un argomento quale il colonialismo e l’impero britannico, molto caro agli inglesi. Il romanzo della Gardam è un contraltare a quelli di Kipling, che amava molto l’impero britannico. Ci pone davanti agli errori e alle crudeltà dei colonizzatori verso gli altri e verso i propri stessi figli, mettendo a nudo la fragilità psicologica di questi rampolli e facendo emergere tutta la rigorosità, rigidità di un’educazione fredda e aggressiva dell’epoca. Voto: 7+

giovedì 13 giugno 2019

Un ragazzo normale di Lorenzo Marone (di Maria Lombardi)



Mimì è un ragazzino che vive con i genitori, la sorella e i nonni in un palazzo del Vomero dove il padre lavora come custode. La sue giornate trascorrono tra la scuola, la strada, la portineria, l’appartamento degli Scognamiglio dove legge i classici della grande libreria e gioca con Morla, un’anziana tartaruga. Ha un amico di giochi, Sasà, un amore non corrisposto per Viola e un modello di supereroe, Giancarlo, che di cognome fa Siani, lavora come giornalista al Mattino e si occupa di camorra. Mimì stringe amicizia con lui e scopre così che i veri eroi sono tutti quelli che si battono ogni giorno per un mondo migliore. Il 23 settembre 1985, Giancarlo verrà ucciso dalla camorra nella sua mitica Mehari verde; da allora, Mimì diventa grande e niente sarà più come prima. Romanzo di formazione e di trasformazione, è il racconto di un ragazzino normale della Napoli di metà anni ’80, in cui non manca l’accenno al calcio, con l’arrivo di Maradona e l’attesa del primo scudetto. Il libro corre sulle onde dei ricordi: Mimì ormai adulto ritorna a Napoli nell’appartamento degli Scognamiglio messo in vendita e rivive le vicende di sé dodicenne.