Chiamatemi romanticona, ma a me
le storie di Zia Nora piacciono, e anche tanto. Finora non ne ho trovata
nemmeno una che mi abbia deluso o annoiato o che sia stata di difficile
lettura. I protagonisti di questo nuovo romanzo, dove il titolo in italiano non
c’entra praticamente nulla, sono Rowan Tripp, tostissima, bella e volitiva
pompiere d’assalto della squadra degli Zoulie di Missoula e il sexy ed
irresistibile novellino Gulliver (perché?) Curry. I due si ritrovano in una
calda estate nella base di Missoula, tra foreste e montagne, paradisi naturali
da difendere dagli incendi. Ma la loro vita è dura perché ogni volta che la
sirena suona devono essere pronti per essere paracadutati nel cuore di ogni
incendio, mettendo a repentaglio la propria vita. Ognuno di loro deve essere
capace di pensare a se stesso, ma ognuno di loro deve anche fidarsi dei propri
compagni. Rowan è una dei migliori Zoulie. Respira quell’aria da sempre, perché
anche suo padre era uno di loro e si è appena ritirato in pensione. Lei è
refrattaria ad ogni tipo di legame dopo la delusione più grande: l’abbandono di
sua madre. Ma tra lei e Gull si instaurerà un fortissimo legame, dapprima di
rispetto reciproco, poi di un fortissimo sentimento, nonostante la sua regola
ferrea di non frequentare colleghi. Ma Gull ha qualcosa di diverso che l’attira
come una falena verso la luce. Tra un battibecco e l’altro, tra una gara di
shot e l’altra, tra una scazzottata in un bar e una corsa di allenamento, oltre
agli incendi gli Zoulie dovranno vedersela con qualcuno che ce l’ha con loro. E’
un piromane assassino da cui dovranno difendersi per non rischiare le loro
vite. Come al solito la
Roberts sa mischiare il romanticismo alla suspense tanto da
far risultare il libro tirato fino alle ultime pagine. Sorvolando sull’orrendo
e inutile titolo che non ha nulla a che fare con la storia (il vero titolo è
Chasing Fire), siamo davanti ad un bel libro. Bene i personaggi principali, ma
anche i secondari che non si limitano a restare ai margini della storia, ma ne
fanno parte integrante, rendendola piacevole e ammiccante. Voto: 7+
domenica 28 dicembre 2014
RECENSIONE – Patagonia Express di Luis Sepùlveda
Prima opera che leggo di
Sepùlveda, anche se è uno scrittore affermato con milioni di lettori al
seguito. Le sue opere finora non mi hanno mai attirato e c’è voluto il Book Jar
per poter leggere qualcosa di suo. Complici i luoghi di cui il racconto parla e
che da sempre vorrei visitare, il libriccino non mi è per niente dispiaciuto.
Lo scrittore cileno in esilio, conosce a Barcellona Bruce Chatwin e tra una
bevuta e l’altra accetta, appena potrà ritornarvi, di accompagnare lo scrittore
inglese in un viaggio in Patagonia sulle orme dei due fuorilegge americani
Butch Cassidy e Sundance kid, che terminarono la loro “carriera” in America
Latina. Ma Sepùlveda quel viaggio lo farà da solo. Chatwin, avrà già intrapreso
“quel viaggio inevitabile”, un lungo viaggio attraverso montagne e mari
infiniti. Quindi lo ritroviamo in attesa, dopo la fine dell’esilio, nel porto
di Chonchi, sulla grande isola di Chiloè, pronto per imbarcarsi sul Colono ed
iniziare il viaggio, con la sua Moleskine al seguito, per appuntare tutto ciò
che vedrà, tutto quello che sentirà. Conoscerà nel suo giro una umanità molto
variegata. Leggenda e realtà si confonderanno spesso, ma le cose essenziali non
si perdono mai di vista. L’autore si ritroverà a riscoprire se stesso, in tutte
le persone che incontra e all’interno delle loro storie. E’ un viaggio
interessante nel sud del mondo, dove tutto e tutti hanno un significato, non
esiste l’indifferenza e ogni storia è degna di essere narrata. Bellissimi i
paesaggi raccontati dallo scrittore, tanto da farmi spulciare ad ogni nuovo
luogo le immagini su Google (molte persone dicono che dopo aver letto questo
libro hanno desiderato mettersi in viaggio per la Patagonia , per me non è
così… E’ un sogno ricorrente che faccio da tempo, anche prima di questo libro).
Racconto dai toni lenti e pacati, la storia si rivela al lettore come un
cammino di riscatto per ritrovare la perduta voglia di vivere, cercata proprio
là, dove il mondo sembra finire. Voto: 7
lunedì 22 dicembre 2014
RECENSIONE – Carne e sangue di Patricia Cornwell
Ventiduesimo volume dedicato
all’anatomopatologa Kay Scarpetta. E’ il giorno del compleanno della Dottoressa
Scarpetta e lei e suo marito stanno indugiando in giardino prima di partire per
la vacanza regalo a Miami che quest’ultimo ha pensato per la moglie. In un
momento la storia si ribalta e da una giornata di sole tranquilla diventa una
giornataccia. Kay nota sette centesimi disposti in fila sul muro perimetrale
del suo giardino. Sono tutti lucidissimi, tutti di rame, tutti messi di testa,
e tutti del 1981. E’ una situazione stranissima, ma Kay non ha modo di pensarci
su troppo perché Pete Marino la chiama sul cellulare. C’è stato un omicidio in
pieno centro, hanno ucciso un professore di musica delle scuole superiori. Non
ci sono testimoni. L’omicidio verrà ricondotto ad altre due storie simili
successe qualche mese prima a Morristown, nel New Jersey. Gli omicidi sono
compiuti da un cecchino infallibile che prende di mira persone che
apparentemente non hanno legami tra loro, ma tutti portano, in un modo o in un
altro a Kay Scarpetta e soprattutto alla sua geniale nipote Lucy. L’unica
traccia che hanno a disposizione è un bossolo ritrovato nel corpo della
vittima. E’ un bossolo particolare. E’ fatto di rame e ha un numero inciso
sopra. Kay Scarpetta dovrà mettere in moto il suo intuito eccezionale, quello
che lei stessa definisce “il fattore Scarpetta”, per riuscire a venire a capo
della storia. Riuscire finalmente a comprendere cosa e chi ci sia dietro a
questi omicidi. Romanzo a dir poco
ingarbugliato. Come al solito gli ultimi libri della Cornwell continuano a non
piacermi affatto. Si perde in dettagli inutili, come sprecare 10 pagine di
libro a parlarci del traffico bloccato per via dell’arrivo del presidente
Obama, e di Marino che le tenta tutte per arrivare comunque in ritardo al CFC.
Marino sempre più arrabbiato. Sua nipote Lucy che sembra avere il mondo in
mano, data la sua super intelligenza, che invece si fa cupa e buia perché non
riesce a risolvere i suoi problemi. Notizie che sfuggono al controllo, e-mail
taroccate, password rubate… Il mondo di Kay Scarpetta sembra sempre più
sottosopra. Tutti tendono a nasconderle qualcosa, compreso suo marito Benton
Wensley, e lei si infuria sempre di più. Torneranno fantasmi da un passato
prossimo e stavolta la Cornwell ci lascerà con i puntini di sospensione nell’attesa
del suo prossimo romanzo… sperando che non sia come questo, confusionario in
ogni suo aspetto, con la protagonista diventata sempre più pedante,
piagnucolosa e destabilizzata. E se lo dice anche da sola nell’arco della
storia per bocca del fido Pete Marino. Probabilmente è ora che i personaggi
vadano in pensione e che la scrittrice si inventi qualche altra cosa e ritrovi
la sua vena creativa di tanto, ma tanto, tempo fa. Voto: 5
venerdì 19 dicembre 2014
RECENSIONE – La lingua del fuoco di Don Winslow
Don Winslow è sicuramente uno dei più significativi autori di thriller di questi anni. Se paragonata al “Potere del Cane” e a “L’inverno di Frankie Machine”, “La lingua del fuoco” si può considerare un’opera minore, ma possiede una forza raramente riscontrabile nei thriller che ho letto negli ultimi tempi. Winslow riesce a stupire cambiando meccanismi e spunti a ogni libro pur restando fedele a se stesso e alle sue passioni, tra cui il surf, e ad un certo disincantato romanticismo che accomuna tutti i suoi personaggi da Bobby Z a Art Keller, da Frankie Machine a Boone Daniels fino a Jack Wade. Il mondo si restringe ad una tavola da surf, una longboard, e alla ricerca della Grande Onda. E’ una mitologia che se ben sfruttata, fa già metà del romanzo. L’altra metà è la capacità di Winslow di costruire l’intreccio letterario, che pare dividersi in mille rami, ma è comunque saldamente nelle sue mani. Il gioco di fili, ti porta in una direzione e ti lascia spesso a bocca aperta, perché tutto si ricollega piano, piano mentre la storia subisce svariati capovolgimenti da una pagina all’altra. La storia inizia con un “semplice” incendio, dove una donna viene trovata morta nel suo letto. La polizia liquida la faccenda come un incidente accidentale. La donna, Pamela Vale, si è addormentata ubriaca con la sigaretta in mano. Ma Jack Wade non la pensa allo stesso modo, secondo le prove da lui raccolte minuziosamente, la donna è stata uccisa prima che l’incendio avesse inizio, quindi è omicidio e l’incendio è solo una scusa per coprirlo. Jack Wade è un ex rappresentante delle forze dell’ordine, allontanato perché accusato di adottare metodi poco ortodossi, anche se utili all’incriminazione dei colpevoli. Specializzato in tutto ciò che riguarda gli incendi, si è reinventato perito di una grossa compagnia di assicurazioni. Jack, tra le poche passioni che coltiva, c’è la sua ora di surf all’alba, sulla sua longboard, e l’altra è il suo lavoro, perché come gli diceva suo padre: “E’ importante fare bene il proprio lavoro”. Quando Jack si imbatte in una richiesta di risarcimento danni come quella presentata di Nick Vale, dà prova di essere una vera star del fuoco. Nick Vale, è secondo Wade , l’accusato principale. Lui è il marito della donna, che gli aveva appena chiesto il divorzio e non ha perso nemmeno un secondo a richiedere il risarcimento dei danni, nemmeno il tempo di far raffreddare letteralmente il corpo della sua povera moglie. Ma la cosa non è così semplice. Entrano in scena gangster, traffici interraziali, frodi assicurative, un variegato panorama di personaggi che recitano tutti la loro parte per avvincere e stupire. E Winslow non sbaglia un passaggio, non perde una sola occasione per toccare le corde del lettore. E così tutto tiene, tutto ti costringe a leggere pagina dopo pagina. Una cosa è certa: Winslow dimostra di essere non solo un bravo intrattenitore, ma anche uno di quegli scrittori “molto attesi”, di quelli che dopo aver letto un suo libro ci si chiede quanto si dovrà aspettare affinché ne esca un altro. “La lingua di fuoco” non delude, e risulta superiore alla precedente “La pattuglia dell’alba”. Gli intrecci narrativi sono molteplici e relativi a contesti disuniti che s’innestano alla perfezione nel corpo della trama primaria. Winslow denuncia un’intera economia sommersa che ruota attorno alla categoria del risarcimento danni, mantenendo alta l’attenzione del lettore con continui colpi di scena e facendo una vera e propria disamina del fuoco. Voto: 7,5/8
martedì 16 dicembre 2014
RECENSIONE – Vittime del peccato di Brenda Joyce
New York, 1902. Anche in quei
tempi la città era tutt’altro che tranquilla. Il romanzo si apre, infatti, con
la scoperta di un omicidio. Una giovane donna è morta con il collo tagliato. Il
modus operandi fa pensare ad un serial killer, Il Coltello, che finora si era
limitato a ferire, ma ora ha valicato quel limite. A condurre le indagini c’è
il commissario di polizia Rick Bragg coadiuvato dall’investigatrice privata, ed
ex fidanzata, Francesca Cahill. I sospetti che i due hanno nell’indagare
spaziano tra ex mariti, fidanzati e pretendenti. Il Coltello è ovviamente
qualcuno che odia le donne, soprattutto se irlandesi, rosse di capelli e che
abbiano avuto un matrimonio finito male. Presa dall’indagine Francesca
coinvolgerà gli uomini della sua vita. L’attuale fidanzato il magnate Colder
Hart, nonché fratellastro dell’ex fidanzato e commissario Rick Bragg. Come
prassi vuole, (non c’è dato di sapere perché) i due si odiano a morte. Questo
sarà spesso causa di scontri tra la ragazza e il suo attuale fidanzato che
pensa sia ancora innamorata del fratellastro e soffre di gelosia acuta. Colder ha
un passato non proprio limpido. E’ stato fino ad allora un libertino incallito
e la famiglia di Francesca non vede di buon occhio questo fidanzamento,
arrivando addirittura a cercare di impedirlo. I guai di Francesca però, non
sono solo a livello sentimentale. Il killer le ha lanciato una sfida, perché anche
lei è vista come una donna di facili costumi ed una traditrice e la sua stessa
vita verrà messa a rischio. Riuscirà Francesca con la sua solita caparbia
ostinatezza a salvare un’altra ragazza dalla morsa del Coltello, a salvare se
stessa e il suo fidanzamento e a ricomporre il matrimonio del suo ex con sua
moglie? Romanzetto banale, senza pretese. Anzi… si nota soprattutto che la casa
editrice ha dimentica di pubblicare le storie precedenti, visto i continui (e
fastidiosi) riferimenti che l’autrice ne fa nella storia. Si può
tranquillamente evitare di leggerlo. Voto: 4
martedì 9 dicembre 2014
RECENSIONE – L’orribile karma della formica di David Safier
Kim Lange è una presentatrice di
un talk show di successo in Germania. Ha tutto per poter essere una donna
felice, ma non lo è. Ultimamente è insoddisfatta. Ha un marito Alex e una figlia
di 5 anni Lilly, ma la sua vita lavorativa e la sua voglia di successo non le
permettono di stare con loro, più che altro non le interessa. Come al solito
non ha avuto nemmeno il tempo di comprare un regalo per il compleanno di Lilly
che compie 5 anni, e ha deciso di non perdersi la premiazione per il miglior
presentatore dell’anno, piuttosto che presenziare alla festa della figlia. D’altronde
c’è Alex a pensarci. Lui fa il casalingo e si occupa di tutto, ma è da un po’
che non vanno più d’accordo, nemmeno a letto. Durante la premiazione, causa lo
sbaglio nella consegna del vestito, Kim fa una pessima figura in eurovisione,
mostrando a tutti il suo didietro e nonostante la vittoria del premio lei non è
affatto contenta e si rifugia in lacrime nella sua stanza d’albergo. Il suo
collega Daniel la raggiunge per confortarla e tra un bicchiere di champagne e l’altro,
Kim dimentica tutto, figlia e marito compresi. Dopo aver fatto sesso con Daniel
si concede una boccata d’aria sul terrazzo dell’albergo, ma sfiga vuole che dei
pezzi di un satellite impazzito, piombino proprio in quel momento sulla terra,
e uno di quelli la prenderà in pieno. Kim muore e il suo karma fa talmente
schifo che si ritrova reincarnata in una formica. D’altronde ha tradito il
marito, ha trascurato sua figlia e ha investito tutti i suoi risparmi nella
ristrutturazione della mega villa in cui abitava, quindi li ha anche lasciati
senza un soldo. Nonostante la vita da insetto non sembri fare per lei, con l’aiuto
dell’aitante Giacomo Casanova, anche lui trasformato in formica, riesce a
ritornare a casa e ad assistere al suo banchetto funebre, ma incredibile, trova
nel suo salotto Nina, la sua ex migliore amica, quella che tentò fino all’ultimo
di rubarle Alex, che in questo momento è troppo debole per difendersi dalle sue
attenzioni. Kim a questo punto deve tentare la difficile risalita da insetto ad
essere umano, passando per una serie di altre, orribili forme animali. Riuscirà
a rientrare nel corpo di una donna e a riconquistare il marito, prima che
questo finisca definitivamente nella braccia della sua ex migliore amica?
Questo libro è molto, ma molto originale. Molte persone mi avevano consigliato
di leggerlo, dicendo che era molto diverte, da morire dal ridere. Certo non è
proprio così. Si sorride, non ci si sbellica. Però è l’originalità dell’argomento,
delle avventure che la povera Kim in compagnia di Giacomo Casanova si ritrova a
vivere, passando da formica a criceto, da criceto a mucca, da mucca in
lombrico, da lombrico in scoiattolo e infine in beagle ad essere modo divertenti.
E’ un’avventura, un viaggio che la protagonista deve ripercorrere per trovare
la via del Karma positivo. La protagonista “cresce” attraverso i propri errori.
Il bene è la chiave di tutto. Ma per capire fino in fondo il messaggio di
Buddha (che lo si trova ogni volta che Kim si reincarna sotto svariate forme)
la protagonista dovrà imparare dai propri errori a produrre energia positiva
fino a risalire la china e a divenire di nuovo un essere umano e poter stare
con la sua famiglia. Ma le buone azioni dovranno essere fatte con il cuore e se
prima le costava una fatica disumana, pian piano inizia a diventare una parte
di lei. Kim è un personaggio negativo e positivo insieme. Non si perde d’animo
nemmeno quando si trova reincarnata in un lombrico. Non perde mai carisma e non
frena i suoi commenti acidi e pungenti quando parla con Buddha. Diventa pronta
ad affrontare ogni sfida che le si pone davanti, pur di veder ricompensata la
sua fatica. Libro che sparge ottimismo in ogni pagina, simpatico e divertente
con qualche piccola perla di saggezza sparsa qua e là. Voto: 7
RECENSIONE – Il mistero dei giardini di Hampton Court di Julia Stuart
Siamo nella Londra di fine
Ottocento. La protagonista principale del nostro romanzo è Sua Altezza
Alexandrina, detta Visù, figlia del maharaja di Prindur. La troviamo subito
nella pagina più infelice della sua vita. Suo padre, il maharaja, è appena
morto e deve affrontare la dipartita del suo illustre genitore, con tutto
quello che ne consegue. Avendo vissuto all’oscuro di tutto quello che il suo
genitore aveva combinato fino a quel momento, si ritrova priva di sussistenza,
costretta a vendere il palazzo dove fino ad allora aveva abitato e a licenziare
tutti i domestici, tranne la fida Pooki, cameriera tuttofare. Grazie
all’interessamento della Regina Vittoria, anche se considerata da lei e da suo
padre una ladra (non le ha mai restituito i gioielli di famiglia), ha la
possibilità di trasferirsi in un piccolo palazzo di Hampton Court, ex dimora
reale, dove ci sono altri abitanti come lei. Ex nobili decaduti e ridotti in
povertà, vedove di guerra, e personaggi davvero curiosi ed un medico condotto,
il dottor Henderson, davvero fuori dalle righe. L’evento chiave della vicenda accade
durante il Pic-nic della vigilia della Pasqua, quando i residenti si riuniscono
in uno dei giardini privati del palazzo per sfuggire alle orde dei turisti che
lo invadono nei giorni di vacanza. Tutti i residenti debbono portare qualcosa,
e Visù è incaricata di portare un pasticcio di piccione. Dovrà fare una piccola
differenza per il generale George Bagshot, uomo odiato da tutti i residenti, all’uomo
non piace l’uovo, quindi avrà un suo pasticcio a parte. Pooki, prepara
amorevolmente i due pasticci, ma il generale muore mangiandolo. A seguito di
un’indagine si scopre che l’ex militare è morto avvelenato dall’arsenico, e
l’unica indiziata è Pooki, la cameriera della principessa. Pur di non far
incolpare la sua Pooki, Visù comincia ad indagare per conto suo, scoprendo
incredibili notizie su tutti i personaggi che abitano il palazzo; dai nobili
abitanti fino al più umile dei giardinieri, al guardiano della vite, e al
guardiano del labirinto, tutti sembrano avere avuto un movente per liberarsi del generale, un
uomo risultato sgradevole da subito alla stessa principessa. Chi ha ucciso il
generale e soprattutto perché? E’ una vendetta? Qualcuno ha qualcosa da
guadagnarci? Numerosi sono gli equivoci e i misteri attorno ai personaggi.
Libro molto carino davvero, e si sorride leggendolo. Da gustare fino alla fine.
Ho trovato la narrazione molto accattivante. E’ un giallo vittoriano, che però,
da spesso l’idea di una commedia surreale. Divertente e non scontato, una
piacevole sorpresa. Le ambientazioni sono descritte alla perfezione, d’altronde
l’autrice, mentre scriveva il romanzo, ha soggiornato proprio nel palazzo di
Hampton Court, famosissimo per i giardini e il suo labirinto. Voto: 7
venerdì 5 dicembre 2014
RECENSIONE - TROPPO TARDI PER LA VERITA' di Gianni Simoni
Ennesima avventura della squadra
di Polizia della Mobile di Brescia, con i noti personaggi del Giudice Petri e
dei due Commissari Miceli e Bruni. In questo suo ultimo libro Simoni, ci
racconta un’altra storia in cui gli indizi portano a sospettare di diverse
persone. Quello che apparentemente sembrava un incidente stradale con
investimento da parte di un pirata della strada, rivela nascondere molti
segreti. L’uomo investito è senza documenti, e talmente sfigurato da non
riuscire ad essere identificato. L’automobilista che l’ha investito, forse
impaurito dalle conseguenze di quello che ha fatto, è fuggito. Ma ci sono due
testimoni che raccontano alla Polizia Stradale l’accaduto. Ma l’abilità del
Sovrintendente Salvatore Armiento (spero di ritrovarlo nelle prossime storie!),
uomo minuziosissimo nel suo lavoro, fa scoprire che non è un banale incidente
stradale, ma ha ben altro dietro. Armiento non si lascia ingannare dall’apparenza
e inizia ad indagare da solo. I due testimoni dell’incidente, si dileguano,
dopo aver rilasciato di nuovo testimonianza e confermando quello che avevano
visto il giorno prima. Si presenta anche il presunto pirata insieme al suo
avvocato, pentito di come si è comportato e per raccontare la sua versione dei
fatti. Ma qualcosa nelle sue dichiarazioni non conferma quello che hanno visto
i due testimoni, e soprattutto con un altro testimone fattosi avanti dopo aver
letto dell’incidente sui giornali, che forse sembra il più attendibile degli
altri, e cambierà le sorti delle indagini. Il caso passerà da essere un
omicidio colposo, ad omicidio volontario e finirà nelle mani del Commissario
Bruni che oltre all’aiuto del Giudice Petri e del Commissario Miceli, e ai vari
soliti comprimari, avrà quello del giovane Sovrintendente Armiento, distaccato
per il caso, alla Squadra della Mobile. Riusciranno a risolvere il mistero. Simoni
come al solito, non si occupa solo di risolvere il caso e di trovare il
colpevole, ma analizza in profondità i caratteri dei vari protagonisti. Il
personaggio del Sovrintendente Armiento è molto ben caratterizzato, e il fatto
che sia ancora capace ad arrossire è fantastico! La scrittura è come sempre
scorrevole e il libro si lascia leggere facilmente. Il lettore è spronato ad
andare avanti, per scoprire, insieme ai protagonisti il risvolto della storia,
che non è mai quello che si può immaginare. Voto : 7
lunedì 1 dicembre 2014
RECENSIONE – LO HOBBIT di J. R. R. Tolkien
Se pensate ai film di Jackson
prendendo in mano questo volumetto, vi avviso che state leggendo qualcosa di
completamente diverso. Quindi se cercate le mirabolanti avventure narrate nei
film, questo non è il libro giusto. Lo lessi per la prima volta a quattordici
anni; me lo ricordavo molto diverso. Letto oggi è un altro libro. A differenza
de “Il Signore degli Anelli”, “Lo Hobbit” è una storiellina carina, qualche
volta divertente, ma certamente non un grossissimo capolavoro. Il protagonista
è Bilbo Baggins, un hobbit della Contea. In un normalissimo giorno nella Contea,
Gandalf lo Stregone, si presenta alla porta di casa Baggins. Lui è un vecchio
amico di un suo zio dalla parte dei Tuc. Gli chiede di partecipare ad un’avventura,
ma come ci verrà spesso ricordato, gli hobbit sono tipini molto casalinghi a cui
non piace proprio spostarsi dalla loro comoda casetta, anzi è visto come una
cosa da pazzi. Quindi, anche Bilbo che non è proprio avvezzo alle avventure,
anche se tra i suoi parenti qualche scellerato vi è stato, rifiuta decisamente
la proposta di Gandalf. Ma Gandalf, in qualche modo oscuro, sa che Bilbo è la
persona giusta per completare la compagnia di nani guidata da Thorin Scudo di
Quercia. Decide quindi per lui, lasciando un segno sulla sua porta di casa, in
modo che i nani possano comunque trovarlo. Dopo una traumatizzante serata con
un’orda di nani, che mangiano tutto ciò che lo hobbit ha in dispensa, Bilbo
decide di entrare nella compagnia iniziando il viaggio che sarà denso di
pericolose avventure. Lo scopo del viaggio è quello di recuperare il tesoro dei
nani rubato molto tempo addietro dal drago Smaug e quindi uccidere lo stesso,
terribile drago. “Lo Hobbit” è molto diverso da “Il Signore degli Anelli”, ed è
quasi una favola per ragazzi, anche per il linguaggio semplicistico utilizzato e
per la poca caratterizzazione dei personaggi e il fatto di essere stereotipati
(lo hobbit è un pantofolaio, i nani mangiano tanto, sono avidi e anche poco
coraggiosi, gli stregoni sono misteriosi e sfuggenti). Comunque rimane una
lettura piacevole, soprattutto per chi volesse avventurarsi, con calma, nel
mondo tolkeniano. Voto: 6,5
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