mercoledì 15 dicembre 2021

RECENSIONE - Il commissario Maugeri e il pianista russo di Fulvio Capezzuoli

 

Settimo volume della saga del Commissario Maugeri.
Come in tutte le altre puntate, l’azione di svolge nel primo dopoguerra, esattamente nel 1949 in una caldissima estate milanese.
Un pianista russo, Ivan Golubev, mentre sta tornando in albergo dopo la sua esibizione alla Festa dell’Unità a Milano non proprio di successo, si imbatte nel cadavere di un uomo. Viene arrestato per l’omicidio di quest’ultimo, ma rimesso in libertà un paio di giorni dopo, per l’intervento del Consolato Sovietico di Milano.
Il commissario Maugeri viene mandato a liberare il pianista dalle grinfie del suo omonimo Aiello, dai suoi superiori. Appena lo conosce lo sente salutare perfettamente in italiano, quindi accompagnandolo in albergo in automobile, apprende dal pianista, che lui non è propriamente un pianista, ma uno studioso d’arte e che soprattutto è preparato sull’arte medievale del Quattordicesimo e Quindicesimo secolo.

Il clima da guerra fredda tra gli stati non permette fraintendimenti o scuse, e Maugeri è chiamato a svolgere un compito, che oltre ad essere diplomatico, deve comunque rispettare allo stesso tempo le indagini, perché il pianista è comunque un sospettato.
Il delitto in cui si trova coinvolto Golubev, è solo il primo dei tanti problemi che Maugeri si troverà ad affrontare: un esperto d’arte responsabile di una galleria, viene trovato morto e il pianista appena scagionato, sembra essere coinvolto.
Maugeri insieme ai suoi fidi Valenti e Palumbo, si ritrova coinvolto in strani traffici di opere d’arte e cimeli appartenuti alle ricche famiglie ebree sterminate dai nazisti che lo porterà a ricordare la guerra finita da pochi anni.
Riuscirà Maugeri a chiudere l’indagine prima di partire per le agognate ferie, o la povera moglie Giovanna, sarà costretta a viverle da separati, mentre il marito aspetta notizie davanti ad un telefono nella hall dell’albergo?

Mi è piaciuto molto questo piccolo gioiellino di Capezzuoli, si legge benissimo anche se non si è letto i precedenti episodi. Scritto molto bene, di facile lettura, con una trama gialla congegnata alla perfezione. Un romanzo che appassiona e con un ritmo cadenzato, che trasporta il lettore in un’atmosfera coinvolgente in cui il periodo storico del dopoguerra diventa non solo sfondo, ma protagonista assoluto.
La soluzione del giallo non è proprio a portata di mano, anzi, il lettore è invogliato a proseguire nella lettura proprio perché l’assassino non è poi così facile da individuare, né per Maugeri, né per chi legge.
Belli i personaggi di contorno, Palumbo e Valenti, collaboratori che svolgono un ruolo importante nella storia, anche se non sono caratterizzati fisicamente, bello il periodo storico preso in considerazione, quando ancora non c’erano cellulari e internet e le indagini andavano di pari passo con quello che si aveva a disposizione. Gli eventi raccontati con metodo e precisione rendono scorrevole la lettura e a Maugeri ci si affeziona.
Lo consiglio vivamente agli amanti del giallo classico, quelli dove l’indagine è il fondamento principale della storia.

Silvia Marcaurelio

giovedì 2 dicembre 2021

RECENSIONE - L'ordine delle cose di Linda Tugnoli



Secondo volume della serie dedicata al giardiniere detective, Guido Boggio-Martinet, nato dalla finissima penna di Linda Tugnoli.
Anni ottanta, 1984 per la precisione.
Guido è un giardiniere attento, a cui piace fare le cose per bene, a cui non piacciono i fiori chiassosi, e soprattutto i fiori comprati. Non hanno più profumo, non hanno più anima.
E lui di profumo se ne intende visto che pochi anni prima era un “naso” profumiere niente meno che a Parigi, la città dei profumi.
È tornato nella Valle Cervo, la valle che lo ha visto crescere e anche andare via in una delle metropoli più grandi del mondo. Tornato a casa dopo una disgrazia, che anche in questo secondo volume non riusciremo del tutto a capire, Guido ha impostato una routine giornaliera: la sua modesta cascina, i suoi cani capoccioni, i botta e risposta col Carlin, il vicino di casa, il caffè dalla Rita, due chiacchiere con Giovannino, il nipote autistico della barista, e il suo lavoro da giardiniere tre volte alla settimana alla villa, dove incontra anche il suo unico amico, il vecchio Osvaldo, che la mattina gli fa trovare il caffè caldo, ma solo se arriva in orario.
Ma una mattina in orario non ci arriva, perché al bar incontra niente di meno che il Commissario siciliano, quello che nel primo volume aveva tentato di accusarlo dell’omicidio di una donna. Questa volta il commissario è alla ricerca di un parere di un esperto per un omicidio di cui non riesce a venire a capo.

La morta è un’altra donna, Franca Costa, ritrovata in un parco a Biella, uccisa facendola cadere da un terrazzino, in un’aiuola sottostante.
Guido non ha proprio voglia di dare retta al commissario, che non gli sta proprio simpaticissimo, soprattutto quando lo scruta, e sembra leggergli dentro tutte le paure che si porta dietro da quando è morta Claire.
La deceduta però aveva nella tasca del vestito una bustina con dei semi, ed è per questo che il commissario sollecita il suo parere di esperto.
Guido di primo acchito non riconosce i semi che questi le mostra, ma la cosa comincia ad incuriosirlo, soprattutto quando scopre che la morta era una vecchia abitante della Valle, trasferitasi da bambina in città. L’uomo è sempre inseguito dalle ossessioni e quando si fissa su una cosa da portare a termine non ci sono dubbi che lui alla fine deve arrivare.
Le indagini del commissario proseguono anche con l’aiuto dello stesso Guido, tra giardini botanici e visite in città. Ma Guido delle volte ha delle intuizioni, che ha paura di tirare fuori, perché, come sempre sembrano metterlo in mezzo a situazioni in cui non vorrebbe essere.
Tra l’altro i semi che la donna aveva in tasca si rivelano essere un bel rompicapo, visto che sono tutti di piante infestanti che nessuno si sognerebbe mai di piantare in un giardino o in un parco. Ma chi era veramente Franca Costa, la donna dei semi?
Sembrava avere una vita veramente perfetta. Una casa, un lavoro, un marito. Un marito d’oro a quanto dice sua madre. Tutto perfetto, tutto ordinato, ma è poi così vero?

“L’ordine delle cose” è un giallo perfetto. Una storia nella storia, nella storia. Perché mentre leggi scopri la storia della Valle Cervo con i suoi usi e costumi, la storia di Guido che piano piano si dipana, la storia del commissario di cui finalmente conosceremo il nome, la storia di Giovannino e della sua passione per la musica, le storie partorite dalla mente di Guido, per la mancanza di Marta, la storia dell’Osvaldo e dei suoi rimbrotti, e la storia di Franca Costa, della sua vita e della sua morte.
La storia di un passato a noi vicino che ci sembra anche molto lontano. Un passato senza cellulari, senza tv satellitare, senza internet, con la mitica 127 di Guido col finestrino tenuto su col cacciavite, con le case senza riscaldamenti e senza corrente elettrica. Un passato di profumi che noi non sentiamo più: quelli dei boschi e dei fiori. Il dialetto della Valle, di cui ogni tanto leggiamo qualche frase. Tutte cose che abbiamo perso nel tempo, ma che la Tugnoli è brava a raccontarci e a farcele ricordare con piacere e nostalgia.
Non posso che dirle “brava!”, perché il secondo appuntamento non è mai facile!
Consigliato.

Silvia Marcaurelio

mercoledì 10 novembre 2021

RECENSIONE - La voce della quercia di Andrew Michael Hurley

Richard e Juliette sono due persone normalissime.
Vivono a Leeds.
Lui è un professore universitario e lei un’infermiera e hanno un bambino, Ewan.
Quando il padre di Richard, anche lui un ricercatore, muore quasi pazzo in una clinica psichiatrica, lui eredita la tenuta di Starve Acre, una vecchia casa in mezzo alla brughiera a cui lui non teneva nemmeno un po’.
Sua moglie Juliette però pensa che trasferirsi in campagna possa fare bene a Ewan che ha cinque anni. L’aria aperta, il bosco e la piccola cittadina di campagna potrebbero aiutarlo ad aprirsi un po’ di più.
Ma poco dopo il loro trasloco, li troviamo invece che devono affrontare il dolore più grande che due genitori devono sopportare: la morte del loro bambino.
Quella che sembrava dover diventare una casa amata è diventata una fonte di dolore che ognuno dei due sopporta a modo proprio.

Se Richard si è buttato a capofitto nella sistemazione e catalogazione dei libri di suo padre, che negli ultimi anni della sua pazzia, aveva mescolato in svariati scatoloni, e nella ricerca di una famosa quercia maledetta che dovrebbe essere nel terreno legato alla casa, Juliette è convinta che Ewan sia ancora lì con loro e si appoggia ad un gruppo di occultisti.
Tra passato e presente rivivremo i momenti della vita che Richard, Juliette e Ewan vivranno nella casa di Starve Acre. Di come la comunità di Stylwhite consideri Ewan un bambino malato e propenso alla violenza. Degli svariati episodi che legano il bambino e le sue malefatte ad una vecchia storia su una vecchia quercia teatro di una sommaria giustizia avvenuta addirittura nel medioevo.

Che nesso c’è fra il passato remoto di quel luogo, teatro di forme di sommaria, brutale giustizia, e la strana malattia che si è portata via Ewan, e la sua attitudine a distruggere e far male? La terra rivoltata darà le sue risposte, e non sono quelle che ci si aspetta.
Nel romanzo possiamo vedere lo scontro di due visioni diametralmente opposte, lo scetticismo della persona razionale che ritroviamo in Richard, e la credenza in arcani poteri, come l’occultismo per Juliette. Ma anche lo scontro del reale con il fantastico, fino alla follia.

L’autore sa intrecciare bene questi opposti elementi, anche se è vero che la storia decolla veramente solo nella seconda parte.
I personaggi non sono caratterizzati particolarmente a parte il loro senso del razionale o della credenza in un mondo spirituale. La loro fisicità non esiste, ma probabilmente è una cosa voluta dall’autore stesso, per lasciare quell’aura di mistero che li circonda.
Consigliato a chi ama particolarmente il paranormale.

Silvia Marcaurelio

 

RECENSIONE - Quelli che uccidono di Angela Marsons

Settimo volume legato alla saga della detective Kim Stone ed alla sua squadra composta dai sergenti Bryant e Dawson e dall’agente Stacey.
La detective Kim Stone si trova in una situazione terrificante, almeno per lei. Mentre prova a far partire la sua macchina sotto una bufera di neve, nota qualcosa di strano sulle mura di cinta della stazione di polizia di Halesowen, dove lavora. Si avvicina e quello che di primo acchito sembra un fagotto di stracci è un bambino di circa tre mesi. Kim lo prende e lo porta subito al caldo, ma è nota per non sapere cosa fare in certe situazioni, quindi chiama a raccolta tutta la squadra.
Il bambino è ben coperto e si nota che fino a quel momento è stato trattato bene. Non è denutrito ed è ben vestito e oltre alle due tutine, per ripararlo dal gelo, è stato avvolto da uno scialle molto particolare.
Ma Kim non ha tempo di occuparsi di lui, quindi lo lascia nelle mani capaci del Sergente Dawson e dell’agente Stacey, che da quel momento riprenderà servizio attivo, dopo la pericolosa avventura capitatagli nel precedente episodio. Saranno loro due a dover risolvere l’enigma sul suo abbandono.
Kim, insieme al fido Bryant, dovranno occuparsi di ben altro.

Infatti, poco prima, la detective, ha ricevuto una chiamata sul suo cellulare: una giovane prostituta, Kelly Rowe, è stata trovata morta in strada ad Hollytree, pugnalata svariate volte. Le ferite sembrerebbero frutto di un raptus, ma la rapina è esclusa, perché la ragazza ha ancora i soldi nella borsa.
Le due indagini seguono logicamente strade diverse e mentre Dawson e Stacey si troveranno a dover indagare presso una comunità di immigrati, vista la nazionalità quasi certa del bambino, Kim e Bryant dovranno indagare nel mondo della prostituzione.
Due mondi che hanno in comune non poco: persone sfruttate, quasi schiavizzate, che lavorano per pagare debiti.
Ma purtroppo per Kim e la sua squadra, gli omicidi non si fermano.
Vengono trovati altri due cadaveri, un’altra prostituta, uccisa come la prima a coltellate in modo brutale e lasciata in strada che lascia quasi presagire che ci sia un serial Killer; e un uomo, probabilmente immigrato, lasciato morire al freddo e al gelo con una gamba completamente frantumata.
Le indagini di entrambe le squadre si fanno ingarbugliate, e sembra che le matasse siano difficili da sbrogliare. Solo i cadaveri sono certi; potrebbero esserlo anche gli assassini, ma hanno tutti un’aria molto rispettabile, e agiscono spavaldi ed arroganti, sotto la luce del sole.

Nella storia, logicamente, si intrecciano anche le vite private dei personaggi. Anche se è solo il primo libro che leggo dell’autrice, non ho trovato difficoltà a seguire il filo conduttore sugli episodi passati, che ogni tanto vengono citati nella storia, viste le piccole spiegazioni che vengono subito date, rendendo il romanzo accessibile a tutti, anche a chi legge la serie per la prima volta.
La Marsons costruisce una storia molto attuale, dove tratta argomenti che sono due delle piaghe mondiali: il mercato del sesso e l’immigrazione, tanto che nel Regno Unito è stata formulata una legge sulla schiavitù moderna, contro coloro che inducono persone di altri paesi in una totale sottomissione tramite lavoro forzato portando via i loro documenti, oppure costringono persone a un lavoro coatto per indebitamento, facendo cadere i malcapitati in una spirale di debiti, in modo che non possa mai restituire il dovuto, legando anche i suoi parenti ad una prigione infinita.
La storia è costruita molto, molto bene. Si nota che l’autrice si è documentata per proporre questo tipo di storia. Quindi oltre a lasciarci un giallo molto ben costruito, ci lascia anche una sorta di veicolo per dare risalto ai problemi dei nostri giorni.

Il romanzo è adrenalinico come il susseguirsi delle indagini. La Marsons è molto brava a tenere il lettore incollato alle pagine della sua storia, perché si vuole vedere la fine, sperando che i protagonisti vincano sul male e sulle spaventose barbarie che sono costretti a combattere ogni giorno.
Molto ben caratterizzati i personaggi, a ogni romanzo si conosce un po’ di più di loro. Vengono svelati segreti e problemi esistenziali, che come tutti gli esseri umani, vivono nella vita privata. Non sono persone perfette, anzi, direi che sono molto imperfette. Ma questa loro imperfezione li fa sembrare molto più veri.
Ora non mi resta che reperire i precedenti, perché Kim Stone non è un personaggio facile da dimenticare, e la curiosità sulle storie precedenti è cresciuta mano a mano che leggevo quest’ultima fatica dell’autrice.
Fortemente consigliato!

Silvia Marcaurelio

 

mercoledì 13 ottobre 2021

RECENSIONE - Un uomo pericoloso di Robert Crais


Con “Un uomo pericoloso” Robert Crais è arrivato al diciottesimo volume della saga dedicata a Elvis Cole e Joe Pike. Nonostante la longevità, la storia non perde la sua essenza adrenalinica, che è il fattore fondamentale nelle storie di Crais.

Per chi non fosse un “frequentatore assiduo” delle storie una breve presentazione dei due protagonisti è d’obbligo. Elvis Cole è un fine detective con un’agenzia molto attiva, reduce decorato dal Vietnam, ex vigilante, ed esperto di arti marziali. Lui si definisce con molta ironia “il miglior detective del mondo” e forse è anche vero. L’altro personaggio di punta è Joe Pike ex marine, ex poliziotto, contractor quando vuole, molto apprezzato negli ambienti del Ministero della Difesa degli Stati Uniti, proprietario di un’armeria e quando vuole detective in società con Cole. Taciturno tanto quanto è solare il suo amico.

Ne “Un uomo pericoloso” il protagonista principale della storia è Joe Pike, ma non mancherà certamente Elvis Cole.

Joe Pike sta vivendo una tranquilla giornata e sbrigando faccende che ogni tanto deve pur fare. Quindi è in coda in banca per versare i suoi incassi. In cassa c’è Isabel Roland, che insieme alla sua collega parlottano tra loro. Pike non passa certo inosservato, soprattutto i suoi tatuaggi non lo fanno: due frecce rosse, una per ogni bicipite.

Ma Pike, non sa, che sarà proprio Isabel a far sì che la sua giornata cambi e di molto.

Mentre risale in macchina dopo aver sbrigato le sue faccende, nota che Isabel uscita dalla banca, viene avvicinata da un tipo, che sembra domandarle qualcosa, ma che la spinge in una macchina che poi parte a tutta velocità.

Nessuno si è accorto di niente, tranne Pike, che ha capito che Isabel è stata rapita, e parte all’inseguimento della vettura. Riesce a trovare la macchina ferma ad un semaforo, quindi con la sua abilità di ex soldato, poliziotto e detective, ferma i due rapitori, li fa arrestare e salva Isabel. Tutto sembra finito lì, ma per Pike e Isabel è solo l’inizio.

Pike non è molto amato dai suoi ex colleghi per un tragico evento accadutogli quando era poliziotto anche lui, quindi viene interrogato. Ma lui non sa nulla, sa solo che Isabel la sera prima lo ha cercato, gli ha lasciato un messaggio a cui lui non ha potuto rispondere.

A questo punto Pike cerca l’aiuto di Elvis Cole per ritrovare la ragazza e sgominare la banda di rapitori.

Il romanzo segue la storia di ogni personaggio, un capitolo per ciascuno. Parlano i buoni, ma anche i cattivi. È questo il modo di Crais di farci entrare nei pensieri di tutti i protagonisti della vicenda che è molto adrenalinica.

Né Pike, né Cole capiscono il motivo che c’è dietro il rapimento di Isabel, ma anche di tanta violenza che ne seguirà. Cosa c’entra Isabel, una ragazza non certo ricca, di ventidue anni, con le azioni di una banda criminale?

Tra i misteri del passato e le minacce del presente Joe Pike mette tutto sé stesso per ritrovare e salvare Isabel dalle grinfie di una banda di malfattori e di quello che è il loro mandante. Pike non dovrà vedersela solo con i cosiddetti “cattivi”, ma anche con la polizia e con i Marshal che lo ritengono troppo coinvolto nel caso.

Anche con l’aiuto di un altro “amico” particolare, John Chen analista della Scientifica di Los Angeles, Joe Pike comincerà a mettere insieme i pezzi di un puzzle che si rivela abbastanza complicato.

Come sempre Crais ci dona un romanzo dove Pike e Cole danno il meglio di sé, ma è anche la loro co-protagonista Isabel “Izzy” a rendere con la sua presenza non certamente passiva, molto buona la storia. Bella anche la figura dell’amica di Izzy, Carly, una esuberante peperina tutta chiacchiere.

Come ho già detto l’adrenalina la fa da padrona. I capitoli sono sincopati e sembra, leggendo, di correre una maratona con loro.

Insomma l’accoppiata Pike e Cole funziona sempre, visto che i personaggi stessi, sono quelli più amati dallo stesso autore, con la figura di Cole ispirata da suo padre, investigatore di polizia. Consigliato soprattutto a chi adora i classici film americani sparatutto, con gli eroi che riescono a scansare tutte le pallottole fino alla fine.


Silvia Marcaurelio

martedì 21 settembre 2021

RECENSIONE - I guardiani del Faro di Emma Stonex

 

Il teatro del romanzo I guardiani del Faro di Emma Stonex è la Cornovaglia alla fine del 1972, in un paesino con un nome che è tutto un programma: Mortehaven.
La barca di Jory Martin accosta il Faro sullo Scoglio della Fanciulla per dare il cambio ai custodi. Ma nessuno si vede, nessuno risponde ai richiami, nessuno è alla porta ad attendere la barca come dovrebbe essere.
Il primo guardiano Arthur Black, il primo assistente William “Bill” Walker e il secondo assistente Vincent Bourne, non ci sono.
Di loro non vi è nessuna traccia, sono svaniti nel nulla.

Sono pochi gli indizi per chi avrà il compito di appurare cosa sia veramente successo ai tre dispersi. Gli orologi, in cucina e in soggiorno, sono entrambi fermi alle 8,45. La tavola è pronta per un pasto che non è mai stato consumato. La torre è vuota e il registro, dove il capo dei guardiani riporta le previsioni del tempo, parla di una forte tempesta che ha investito il faro. Ma contrariamente a quanto scritto, non c’è stato cattivo tempo da almeno una settimana.
Cosa è successo ai tre uomini?
Si scatenano pettegolezzi di ogni genere, illazioni, voci. Ma nessuno sa realmente cosa sia successo in quel faro che ancora si erge solitario nel mare di fronte a Mortehaven.
Vent’anni dopo Helen moglie di Arthur, Jenny moglie di Bill e Michelle fidanzata di Vince, vivono una vita diversa da quella che molti si sarebbero aspettati.

La tragedia comune, che avrebbe dovuto unirle, le ha invece allontanate ancora di più. Le tre sono diversissime tra loro per età e carattere. Non è stata la tragedia a dividerle, ma qualcosa di antecedente, e il tempo e la tragedia hanno fatto il resto. Fino a che uno scrittore, Dan Sharp, le contatta per scrivere un libro sul mistero della scomparsa dei loro uomini. Vuole che le tre donne raccontino la loro versione di quello che pensano sia successo ai loro mariti e compagni, affrontando finalmente le proprie paure e i segreti mai rivelati, e forse una sorta di verità potrà finalmente emergere dalle onde di quel mare che circonda lo Scoglio della Fanciulla.
Scopriamo che ogni persona che ha avuto un coinvolgimento anche minimo con il faro ha una storia diversa da raccontare e che tutti ritengono di aver avuto un ruolo importante in quello che è successo.

Tramite l’utilizzo dei flashback, l’autrice riporterà le voci dei guardiani e li farà raccontare la propria storia in prima persona. Poi, tramite le interviste alle tre donne, le loro vite, quelle all’esterno del faro, verranno messe a nudo.
Ogni persona, uomo o donna, di questo romanzo, nasconde un segreto. Segreti che hanno, alla lunga, avvelenato le loro vite.
Ognuna delle tre donne riuscirà a liberarsi confessando a Dan il proprio segreto.
La Stonex, oltre al romanzo in sé, ci offre uno spaccato di vita che i guardiani dei fari, soprattutto quelli lontani dalla terraferma, conducevano realmente.
La convivenza forzata, la mancanza di spazio, la noia di un lavoro praticamente ripetitivo, la mancanza di luce, dei conforti minimi, la sensazione claustrofobica degli spazi ristretti, tutto poteva diventare disturbante e portare dalla frustrazione alla follia, fino a vedere cose che non esistono.
Fantasmi reali e fantasmi “mentali” hanno portato alla sparizione dei tre uomini? Con un crescendo di misteri e ossessioni, la realtà si mescola all’immaginazione, addirittura sfiorando l’occultismo, l’inquietudine e lo straniamento.
Il romanzo si può tranquillamente definire un giallo psicologico, dove la mente e i suoi capricci sono elementi fondamentali nello svolgimento della trama.
I personaggi sono ben delineati anche a livello psicologico.

La narrazione è scorrevole e ritmata. Buona la suddivisione tra passato e presente e il cambio di voci tra mariti e mogli.
Sappiamo inoltre che la Stonex è stata ispirata nella scrittura di questo romanzo da un fatto vero accaduto nel dicembre del 1900. Tre guardiani del faro di Eilan Mòr sparirono nel nulla. Ma questo è tutto ciò che accomuna il romanzo e la tragedia vera e propria. La sua, ha ribadito, è un’opera di finzione e non ha nulla a che vedere con quello che è realmente accaduto a Thomas Marshall, James Ducat e Donald MacArthur.
Consiglio la lettura di questo romanzo agli amanti del mare. Non del mare estivo vissuto sotto un ombrellone, no. Ma il mare al tramonto delle spiagge vuote d’inverno o il mare arrabbiato e in tempesta, quello che spazza tutto.

Silvia Marcaurelio

sabato 28 agosto 2021

RECENSIONE - Cambiare l'acqua ai fiori di Valérie Perrin


Violette Trenet Toussaint è la custode del cimitero di Brancion-en-Chalon; si prende cura non solo delle tombe ma anche dei visitatori e degli addetti ai lavori. Ha una spiccata capacità di ascoltare gli altri, e soprattutto quelli che accompagnano i loro cari al cimitero, nel momento più triste della loro vita. Un giorno, arriva un poliziotto da Marsiglia con una strana richiesta: deporre le ceneri della madre sulla tomba di un defunto a lui sconosciuto. L’uomo si interroga sul perché di tale desiderio e chiede informazioni a Violette: è lo spunto per far emergere il doloroso passato di Violette, che si intreccia con la storia della madre del poliziotto e avrà ripercussioni anche sul suo futuro. È il racconto di una risurrezione, di un ritorno alla vita. La narrazione è piacevole e coinvolgente, con intreccio di vari generi: rosa, giallo, nero, racconto, diario, corrispondenza.

(Maria Lombardi)

lunedì 9 agosto 2021

RECENSIONE - Nient'altro che nebbia di Patrizia Emilitri

 


Inizio dicendo che questo libro non è certamente un giallo.
Sì, c’è un morto, anzi una morta assassinata, e c’è anche un assassino, ma non c’è un commissario o un ispettore ad indagare, a scoprire, a cercare indizi per arrivare a prendere lo sfuggente assassino.
No. Qui l’assassino lo scopriremo subito e sarà per giunta un reo confesso.
Siamo alla fine degli anni ’80 a Perzeghetto Olona, nella nebbiosa pianura padana. Nebbia che ricopre l’intero paese, ma che permette comunque alla Irma, sulla sua bicicletta, diretta in chiesa per la messa, di notare qualcosa di strano nel lavatoio del paese, dismesso da tempo e dichiarato bene storico.
Sembra, di primo acchito, un mucchio di stracci o un animale morto. Ma la Irma è talmente curiosa che si ferma a guardare.
Tra vicini curiosissimi, perché i pettegolezzi volano, si scoprirà ben presto che quello è il corpo di una giovane paesana, Nadia Bignami, appena diciottenne e che il suo assassino è il ventunenne Andrea Costa, migliore amico del fratello Guido.
Qui finisce praticamente il giallo e l’autrice inizia un romanzo di introspezione con l’aiuto di un piccolo sotterfugio: “il paese è piccolo e la gente mormora”.
Ci porterà a conoscere piano piano le storie di Andrea e Nadia e delle loro famiglie prima e dopo “l’incidente”, e di tutto il paese di Perzeghetto Olona. Perché ogni abitante del paese avrà qualcosa da dire sull’accaduto. E le storie del presente si intrecciano con storie o voci del passato.

Andrea Costa è all’apparenza un bravo e tranquillo ragazzo, molto studioso e amico fidato del fratello della vittima. Confesserà immediatamente l’omicidio di Nadia, assicurando però che non ci sia stata nessuna premeditazione, ma semplicemente una lite e da parte sua, una spinta, nemmeno troppo violenta, che ha fatto incespicare Nadia sul pavimento sconnesso e che questa sia caduta sbattendo la testa sulla vasca di pietra del lavatoio.
Andrea, interrogato più volte dagli inquirenti, non rivelerà mai il motivo di quella lite, accettando anche di prendere una condanna più dura.
Nel paese si susseguono pettegolezzi su pettegolezzi, maldicenze, ingigantimenti, bugie, false notizie. Tutti a rimestare nel torbido.
A rimetterci non sarà soltanto Andrea, ma anche la sua famiglia che verrà, in qualche modo, accusata in blocco dello stesso omicidio.
La madre di Andrea, Giovanna, è da sempre una persona che cerca di far parlare poco di sé. Ne hanno già parlato abbastanza in passato, visto che sua madre l’ha partorita a quindici anni e che non ha mai rivelato chi fosse suo padre. É stata cresciuta dai suoi nonni materni.
Insomma, sua madre Manuela, detta la “slandra” (la donnaccia, la mangiauomini) è sempre stata considerata una poco di buono ed è normale, per la gente del paese, che la mela non può cadere tanto lontano dall’albero. Marcia la nonna, marcia la madre, marcio anche il nipote.
Con Giovanna si instaurerà facilmente un rapporto di empatia perché è l’unica con cui Andrea si confiderà, a cui dirà la verità sull’accaduto, ma che manterrà il segreto perché suo figlio vuole che sia così. É nell’insieme una donna forte e debole, una donna colta che si è repressa per non far sentire il marito barbiere non all’altezza. Ha svolto con costanza e amore il suo lavoro di mamma, anche se avrebbe potuto aspirare a ben altro. Ma per suo figlio farebbe di tutto, tranne mentire.

La Emilitri ci farà notare la differenza tra le due famiglie coinvolte nella tragedia, quella dei Bignami e quella dei Costa, e le loro reazioni. La prima obnubilata dal dolore della perdita reagirà sfaldandosi. La seconda, addolorata sia per la morte della ragazza, sia per la colpa del figlio e la sua incarcerazione, si stringerà su sé stessa per parare i colpi avversi, ritrovando una unità mai avuta prima.
Molti personaggi secondari, che si muovono attorno ai protagonisti, ci regalano dialoghi a volte anche umoristici nell’insieme, ma anche il disprezzo, le bugie e i segreti.
Tanti.
Tutti a Perzeghetto Olona hanno dei segreti, ma nessuno guarda in casa propria, meglio parlare di quelli degli altri.
Bello, a parte i protagonisti, il personaggio della custode del cimitero, Bianca Butti, pettegola sì, ma fino ad un certo punto e propensa ad ascoltare chi ha bisogno di sfogo come le due madri, Giovanna e Filippa, che grazie a lei troveranno una sorta di riconciliazione e pace interiore. “Il dolore non ha peso né misura”.
Forse i personaggi che mi son piaciuti meno sono quello della vittima, Nadia Bignami e quello di suo fratello Guido. Ma non perché non siano ben costruiti, ma per l’esatto contrario. Sono personaggi costruiti alla perfezione, ma che per il ruolo che hanno nella vicenda, non si sono fatti amare.

Protagonista, ma non secondario, è il paese di Perzeghetto Olona, che con la sua nebbia copre e attutisce tutto: gioie e dolori, segreti e invidie, maldicenze, storie ambigue, retaggi del passato, paure presenti, odio e pacificazione. Dove il tempo scorre lento o veloce a seconda di quello che l’autrice, con maestria, ci vuole raccontare.
Bello il finale, che ci farà capire, che tutti possiamo avere speranza in un futuro diverso.
Insomma, come detto, un romanzo di introspezione che sa emozionare e commuovere, e ammetto di aver versato qualche lacrimuccia, ma anche indignare.
Consigliato!

Silvia Marcaurelio

mercoledì 21 luglio 2021

RECENSIONE - I magnifici idioti di Stefano Piedimonte


Siamo in Italia, sicuramente, ma è un Italia distopica. Non sappiamo l’anno, ma sicuramente ai giorni nostri. Siamo vicino a Milano, precisamente vicino Pavia, in un paesino del nord, con le sue risaie e le sue campagne. Qui, in questo posto quasi sperduto, che si chiama, guarda il caso, Morimondo, compare un’enorme sfera riflettente dal diametro di due metri e mezzo, che sembra piovuta dal nulla. Non ci sono tracce di persone o di trascinamento, niente che possa suggerire di come quella “cosa” possa essere arrivata lì.

Dopo poco tempo, le lepri che popolano la zona cominciano ad aver un atteggiamento molto particolare, che culmina con l’aggressione del proprietario della Cascina Leprotta, Franco Forni.

L’allarme è immediato. La palla è sicuramente aliena e sta modificando il comportamento degli animali, questo è quello che sospettano le autorità ministeriali, che, dall’alto della loro intelligenza, spediscono sul luogo una squadra di “professionisti” per salvare il mondo dalle forze aliene.
A comandare il tutto c’è un giovanissimo capo del Copasir di 28 anni, Giampiero Fuschini, eletto tra le file del partito Tutti a Casa!, che si esprime con uno slang consono alla sua statura intellettuale.
I prescelti sono quattro insospettabili, perfetti per agire sotto copertura tutti partenopei. Nicola ‘a scheggia che di lavoro fa il borseggiatore (la furbizia a scapito dell’intelligenza), Little Princesa che di lavoro fa l’Influencer e l’Instagrammer (l’apparire a scapito dell’essere), padre Felipe, che è l’unico non napoletano, ma ormai è adottato, vive in un eremo ed ha la passione per le chiavette usb (la fede in “dio” come unica consolazione possibile), e Sasà ‘o schiaffo, un camorrista (la violenza come unica meccanica relazionale)*.
Vengono prelevati e portati nelle campagne di Morimondo per capire cos’è quella palla trasparente e rispedirla al mittente così come è arrivata. Saranno lautamente ricompensati, dotati di dispostivi di ultima generazione per poter comunicare con Fuschini e il team di ministri e militari dietro tutta l’operazione.

L’incarico è così top secret che vengono confiscati tutti i loro telefoni e viene loro vietato di farne parola con alcuno, pena la cacciata dalla squadra e il decurtamento del compenso da sogno previsto.
Il libro parte lento, ma poi piano piano i tasselli che lo compongono, si riuniscono in un’unica trama che porterà i nostri quattro eroi a vivere una mirabolante avventura a spese del governo.
Lo scenario è surreale, quasi venato da un elemento alieno, ma è fin troppo reale. Dietro la storia della fantapolitica di Piedimonte, ci rivediamo noi stessi specchiati nella politica odierna, che sembra tutto, meno che reale. Personaggi macchietta come Fuschini o il generale Crespi, i colonnelli Dandì e Drogo (poverino!) che sono lo specchio dei nostri tempi o quantomeno della sensazione che ci fanno provare, lasciando il lettore con una profonda amarezza, anche se il libro è ammantato di umorismo e ti strappa più di qualche risata.

I magnifici idioti di Piedimonte, all’occhio umano potrebbero sembrare soltanto degli idioti, ma nel contesto odierno, nello spazio-tempo che occupano, sono perfettamente contestualizzati e diventano magnifici, soprattutto in questa epoca in cui l’immagine conta più dell’essere, in cui basta sapere usare i social network o saper usare gadget tecnologici per contare qualcosa.
In tutto il racconto abbiamo poi delle pause, dove vediamo un centenario Presidente della Repubblica, che vive in un isolamento dorato a Villa Rosebery, accudito dai suoi corazzieri, continuando a scrivere discorsi senza senso, senza poi ricordarlo nemmeno, ultima sentinella in un paese decisamente ad un passo dalla deriva.
Quindi sì, si ride e parecchio in questo libro di Piedimonte, ma molte delle risate che ci facciamo, subito dopo sono venate da un’amarezza tale che potrebbe anche farci piangere … ma alla fine è meglio ridere!

Silvia Marcaurelio

(*Tra parentesi i commenti dell’autore per spiegare i suoi personaggi)

giovedì 17 giugno 2021

RECENSIONE - Nella tana del serpente di Michele Navarra


L’autore di “Solo Dio è innocente” torna in libreria con un nuovo legal-thriller con protagonista l’avvocato Alessandro Gordiani. Questa volta il romanzo è ambientato a Roma, la sua città.
All’epoca della sua costruzione e nella mente dell’architetto Mario Fiorentino, suo progettista, il mostruoso serpentone di cemento, lungo poco meno di un chilometro, di Corviale doveva essere un luogo di inclusione, un modello abitativo alternativo; un netto distacco dallo sviluppo urbanistico iniziato a Roma negli anni sessanta, in pieno boom economico, che aveva portato alla costruzione di interi “quartieri dormitorio”, privi di qualsiasi servizio.
L’idea innovativa era quella di modificare la concezione delle periferie come erano state progettate fino allora, proponendo un nuovo modello che integrasse spazi privati con attività collettive, residenze con servizi, rifiutando il concetto di quartiere dormitorio e privilegiando la ricchezza e la complessità di funzioni tipiche della città storica.
Ma Corviale è tutto al di fuori di quello che era nei pensieri di Fiorentino. Corviale è un serpente che si mangia le persone, dove la vita è grigia come grigio è il cemento che ricopre i palazzi.

Aveva una bella vita Elia Desideri, quando ha sposato la sua Antonella. Molto, molto giovani entrambi e con entrambe le famiglie contro. Ma avevano avuto ragione loro, la vita era bella lì a Corviale. Non avevano bisogno di molto. Una casetta piccola ma ben messa, il negozio di abbigliamento tenuto con tanto amore, il primo figlio, luce dei loro occhi, poi il secondo a tenere ancora più unita nell’amore quella famiglia, che aveva fatto cambiare idea anche a chi aveva pensato che non potesse funzionare. Poi la tragedia. Antonella era volata via. Un male incurabile di punto in bianco se l’era portava via e con lei la bella vita di Elia Desideri e della sua famiglia, che a poco a poco, era caduta nella spirale del dolore.
Elia Desideri ora è un uomo arrabbiato col mondo, un piccolo commerciante che tenta di andare avanti come può, per non far fallire quel sogno che era stato anche di sua moglie.
Amareggiato e scontroso, si scaglia spesso contro gli immigrati che vivono nel quartiere e anche sul suo stesso pianerottolo, cose che si sentono ogni giorno: “Ci rubano il lavoro, è colpa loro”.

Quando il figlio del suo vicino di casa, Nadir Bayazid, rifugiato siriano, viene trovato morto accoltellato e lasciato a dissanguare in un garage, il primo ad essere sospettato è proprio Elia Desideri, visto che pochi minuti prima era stato visto discutere e venire alle mani con lo stesso Bayazid.
Desideri viene rinchiuso a Regina Coeli, e per sua difesa chiama l’avvocato Alessandro Gordiani, che aveva già difeso, tempo prima, suo figlio Luca per una faccenda di spaccio di stupefacenti.
Le indagini si rivelano subito complicate, sia per i carabinieri che ne hanno carico, sia per gli avvocati difensori, che in mano non hanno veramente nulla, anzi, quello che hanno parrebbe colpevolizzare di più il loro assistito.
Eppure l’uomo dichiara spassionatamente la sua innocenza. Lui, a quel ragazzo, ha solo rifilato un pugno, niente di più.
Comincia così il filone d’indagine che coinvolge da una parte il gruppo dei difensori Alessandro, Patrizia e l’investigatore privato Tuminelli, e le forze dell’ordine nelle persone del Maggiore Gavazzo e del maresciallo Cipriani che coadiuvano le indagini della Procura e precisamente del Dr. Lizzardi, uomo tutto d’un pezzo, che quando pensa di aver trovato un filo logico nelle indagini, non si sposta di una virgola, dall’altra.
Per Lizzardi, infatti, il colpevole è Desideri e non ha niente da discutere, mentre per i due carabinieri c’è sicuramente qualcosa che non torna, e senza parlarne col procuratore, tentano strade diverse da quella già intrapresa.

Oltre al caso molto difficile, troveremo un Gordiani alle prese con problemi di cuore, ma non di salute, quelli d’amore.
Sta passando un periodo non certo felice del suo matrimonio, dove lui vorrebbe che la moglie avesse dei comportamenti diversi, meno di routine; il suo matrimonio sembra diventato piatto e Alessandro ne soffre e Chiara sembra non accorgersene. A complicare tutto c’è la sua collega e molto più che amica Patrizia, che in un momento difficile gli rivela quello che mai aveva immaginato di dirgli, che lo manda ancora più in confusione.
Gordiani è una persona integerrima, e anche il solo pensiero di comportarsi al di fuori delle righe lo fa stare male, figuriamoci un bacio all’improvviso (nemmeno poi tanto!).
Sia i carabinieri che gli avvocati avranno modo di destreggiarsi fra bande di microcriminali dedite allo spaccio, procuratori inflessibili (ma nemmeno tanto), amori che amori non sono in una incalzante lotta contro il tempo, in una situazione più complicata del previsto, dove la verità si nasconde nel degrado e nelle abitudini di un quartiere pieno di rancore e voglia di vendetta, dove le persone perbene si nascondono per non essere sopraffatte, nonostante siano la maggioranza degli abitanti del quartiere.
Sempre in giro sulla sua Vespa bianca, Alessandro Gordiani avrà il compito di convincere carabinieri e Procura ad allargare lo spettro delle indagini su un caso all’apparenza molto semplice ma che semplice non è affatto.
Tra le solite mangiate luculliane, le battute dei colleghi Paolo e Filippo, lo spirito combattivo dei due carabinieri Gavazzo e Cipriani, Gordiani aiutato dalla fida Patrizia e dall’investigatore Tuminelli, dovrà sbrogliare una bella matassa intricata, che lo poterà a scoprire che quello che sembrava essere successo, era molto distante da ciò che era veramente accaduto. E scoprirà che qualche volta l’amore ci rende particolarmente “stupidi” e “incauti”.

Il romanzo si legge con estrema facilità, nonostante la trama sia complessa e articolata. Ma l’autore è bravo a rendere la lettura facile usando un linguaggio semplice e con l’utilizzo di poche forme legali. Come sempre, riesce a spiegare benissimo il ruolo fondamentale che hanno gli avvocati e i procuratori e tutti gli organi che si muovono quando succedono fatti così inquietanti come può essere l’omicidio di un giovane uomo. Bella la trama gialla e anche quella introspettiva del protagonista. Bella l’ambientazione, anche se io sono di parte, visto che è anche la mia città. Ottimi i co-protagonisti come il Maggiore Gavazzo e il maresciallo Cipriani che spero di rivedere in altre avventure. Ottime anche le indicazioni su ristoranti e bar pasticceria che servono sempre!
Consigliatissimo.


 

martedì 8 giugno 2021

RECENSIONE - Il diritto dei Lupi di Stefano De Bellis & Edgardo Fiorillo


Anno 673, ab Urbe condita (80 a.C.), è così che si aprono tutti i capitoli del libro che dà inizio alla storia, cioè dal 3 al 24 gennaio. È un esordio col botto, questo del duo De Bellis e Fiorillo che scrivono una storia affascinante dove ricreano una Roma in perenne crescita, dove violenza e vizio si intrecciano col potere e la politica, che muovono a loro volta il denaro. Due diverse vicende si dipanano nel corso della lettura del romanzo, apparentemente distanti tra loro, ma profondamente collegate. Molti sono i personaggi coinvolti, e alcuni di questi hanno scritto la storia romana.

La sera del 3 gennaio, un gruppo di uomini, tra cui un trace guercio che affila le sue siche, un iberico, un germanico e il giovane Puer (l’unico di cui conosceremo il nome), colpiranno il Fodero del Gladio, un lupanare non ancora in attività, ma che in quel momento ospita una riunione speciale, con clienti facoltosi e bellissime lupe. Dalla strage di quella sera si salva soltanto il lenone, Marco Garrulo detto Mezzo Asse (chiamato così perché avrebbe venduto anche la madre per quella somma visto la sua avidità), che si getta dalla finestra slogandosi una caviglia.
A rimettergliela in sesto è Lucio Titinio detto “Astragalo”, ex legionario di Silla.
A morire quella notte sono Marco Villio Cincio, un commerciante di stoffe, in odore di senato e Elicone Attico, un commerciante di schiavi greco detto il “Piccolo Alessandro” per la somiglianza con Alessandro Magno.

Tutti a Roma, e nella Suburra, cercano Mezzo Asse e Marco Licinio Crasso, padrone di quasi tutta la città, lo cerca anche lui e affida questo compito al suo uomo migliore: il Molosso, Tito Annio Tuscolano, ex centurione al suo soldo, che ha combattuto la guerra civile dalla parte del Dictator Lucio Cornelio Silla, contro Caio Mario.
Crasso, che era stato il supporter dell’ascesa al senato di Cincio, ha i suoi motivi per voler conoscere l’assassino: influente e ambizioso, aveva visto nella sponsorizzazione di Cincio l’espandersi del suo potere e con la sua morte la creazione di un vuoto politico non da poco.
Da un’altra parte della città, Marco Tullio Cicerone avvocato del Foro, viene chiamato e fatto scortare nella casa di Cecilia Metella Balearica Maggiore, la sacerdotessa di Giunone, che tutti a Roma conoscono e venerano.
Cecilia, con suo fratello Quinto Cecilio Metello, e i giovani Marco Valerio Messalla detto “Il Corvino”, Publio Cornelio Scipione detto “Nasica”, lo hanno cercato per difendere Sesto Roscio d’Ameria, accusato di parricidio. I suoi accusatori sono i due cugini Tito Roscio Capitone e Tito Roscio Magno, che nel frattempo lo hanno privato di tutte le sue proprietà. Sarà questa la causa che porterà alla celebrità Cicerone con la celebre Oratio pro Sexto Roscio Amerino.
Cicerone scoprirà quasi subito che dietro a questo orrendo delitto altri non c’è che il liberto di Silla, il potentissimo Lucio Cornelio Crisogono. Le due storie viaggiano parallele per tutta la durata del romanzo, che ci rivela la vita di Roma dell’epoca, regalandoci un affresco quanto mai realistico, fino a confluire in un’unica trama nel processo a Sesto Roscio.
Tito Annio da una parte e Marco Tullio Cicerone dall’altra, con le loro indagini, scopriranno tassello dopo tassello che dietro a tutto quello che hanno visto c’è un disegno politico pericoloso, dove i testimoni, e loro stessi non sono altro che marionette, manovrate da sapienti mani. Ma in fondo chi ha ucciso Cincio e perché? Chi ha ucciso il padre di Sesto e lo accusa della sua morte? Qual è il collegamento tra le due morti e la sopravvivenza stessa della Repubblica?

Il romanzo “Il diritto dei lupi” è una vera fusione di generi, dal noir al legal thriller, dal classico giallo al romanzo storico, con una sfumatura anche di umorismo, che non guasta di certo. L’ambientazione è ben studiata e catapulta il lettore nel mondo affascinante della città eterna. Lo stile della scrittura dei due autori è accattivante. La descrizione dei personaggi e degli ambienti è minuziosa, nonostante la mole delle persone e dei luoghi coinvolti nella storia. Lo stile linguistico rimane scorrevole, i dialoghi sono ben congegnati.
Bellissimi e divertenti i dialoghi macchietta tra Astragalo, Tito e Gabello e i dialoghi interiori e ansiosi di Cicerone, due parti integranti della storia. L’armata Brancaleone da una parte e la serietà, l’amara verità dall’altra. Romanzo ricco di colpi di scena, che nonostante la lunghezza, porta il lettore a leggere pagina dopo pagina, dopo pagina. Si vuole capire, si vuole sapere e difficilmente ci si può staccare dalla storia.
È visibile la ricerca e lo studio che i due autori hanno effettuato per inserire nel romanzo, personaggi storici e fatti veramente accaduti, con la trama romanzata vera e propria, frutto di una conoscenza sicuramente ottima del periodo storico.
Credo che questo romanzo farà molto parlare di sé e dei suoi autori.
Consigliatissimo!

Silvia Marcaurelio

giovedì 6 maggio 2021

RECENSIONE - Il prezzo del passato di Kathy Reichs

Ventiduesimo titolo della serie dedicata all’anatomopatologa forense Temperance Brennan, che troviamo alle prese con un caso molto particolare e soprattutto di un’attualità spaventosa.
Dopo che l’uragano Inara si è abbattuto sulla costa del South Carolina un bidone di plastica, di quelli usati per i rifiuti sanitari, è risalito in superfice a causa del mare in tempesta. All’interno vengono ritrovati i resti di due persone, senza vestiti, avvolte in un telo di plastica e legate con un cavo elettrico.
Davanti ai resti dei due corpi, Temperance viene colta da un ricordo del passato, di una situazione già vissuta anni prima in Canada. Un caso rimasto insoluto che aveva seguito con l’allora detective della Sûrete du Québec, ora investigatore privato e suo compagno, Andrew Ryan.
Molte cose coincidono: stesso fusto di resina, stesso cavo elettrico rosso papavero, stesso telo di plastica. Dita mozzate e denti cavati per evitare il riconoscimento delle vittime. Un unico foro di proiettile sulla nuca. Altri elementi cancellati per sempre dall’immersione in acqua per tanto tempo.

Temperance si convince che i quattro omicidi, quelli avvenuti in Canada e questi di Charleston siano stati perpetuati dalla stessa persona, per questo vola a Montréal per cercare di far riaprire dal suo Capo al Laboratoire de science, LaManche, il vecchio caso.
Per fortuna altre cose della sua vita si sono sistemate, come l’aneurisma che pendeva sopra la sua testa come una spada di Damocle, risolto con un delicato e riuscitissimo intervento, e il problema che aveva avuto sul suo lavoro, risolto con un cambio al comando dell’MCDC di Charlotte.
La stabilità raggiunta anche in campo sentimentale con Ryan l’hanno resa meno nervosa, meno impaurita e meno instabile di come l’avevamo colta nel precedente romanzo, quindi più caparbia e combattiva.
Dopo aver lasciato le indagini di Charleston, per ora completamente senza indizi, nelle mani della non proprio simpaticissima detective Vislosky, Tempe si butta a testa bassa, con l’aiuto di Ryan a risolvere l’enigma Canadese, per poi risolvere quello di Charleston.
Nel frattempo sulla Carolina del South, Charlotte, Charleston e dintorni, come se non bastasse la pandemia da Covid-19 (presa molto alla leggera devo dire), si abbatte un’altra inaspettata calamità: un batterio mortale, che non dovrebbe potersi trasmettere tramite contatto tra persone, ma che comincia a diffondersi rapidamente tra la popolazione, già stremata dalla lotta al Covid. Sembrerebbe che questa malattia sia dovuta a un semplice morso di cane o al graffio di un gatto portatori della Capnocytophaga canimorsus, ma l’organismo umano debba essere predisposto dalla mancanza di un gene nell’elica del DNA.

Brennan per venire a capo dei suoi casi sarà costretta ad utilizzare delle tecniche particolari per la sintetizzazione del DNA, a imparare svariate tecniche utilizzate nella composizione dei vaccini, come lo sviluppo dell’RNA messaggero e quello del CRISPR/Cas9, una proteina in grado di manipolare il DNA umano.
Non sarà facile per Tempe barcamenarsi tra materie che non conosce, ma quindici anni prima aveva fatto una promessa al corpicino ritrovato a St. Anicet, quello di scoprire chi fosse; quindici anni prima non c’era riuscita, ma ora ha questa seconda possibilità e armi molto più sofisticate da utilizzare e anche l’aiuto di svariati amici competenti, ma anche di vittime curiose. Riuscirà Temperance Brennan a scoprire l’identità dei quattro cadaveri?
Cosa hanno a che fare gli omicidi con la nuova epidemia che ha colpito Charlotte e il South Carolina?
Ma come se non bastasse, c’è anche la storia nella storia, che la povera Brennan, oberata di lavoro, lascerà nelle mani della sua amica Anne, che si trasformerà, temporaneamente, in un’investigatrice, per venire a capo della storia di Polly Beecroft e di una maschera funeraria di un secolo prima.

Il romanzo è come al solito fluido, la trama gialla scorre ritmata dando al lettore la possibilità di raccogliere gli indizi a mano a mano che segue la storia. Come sempre ci sono pagine del romanzo utilizzate per le spiegazioni scientifiche che potrebbero rivelarsi astruse per qualcuno, ma che per una curiosa come me, sono manna dal cielo.
Ho notato, però, in questo capitolo una differenza che solo chi ha letto tutti i romanzi dell’autrice dedicati a Temperance Brennan può notare. Piccolezze, come l’uso di un certo modo di parlare non proprio da Tempe o l’uso del turpiloquio, o il modo di colloquiare tra Ryan e la stessa Tempe che me li ha resi alquanto strani e forse un po’ diversi. Sembrerebbe un po’ un cambio di stile da parte dell’autrice o forse che so, una traduzione diversa? Ai posteri l’ardua sentenza. Comunque il romanzo come al solito è validissimo e Tempe non delude mai.

(www.contornidinoir.it)

giovedì 29 aprile 2021

RECENSIONE - Il nodo Windsor. Sua Maestà indaga di S.J. Bennett

 



Castello di Windsor, primavera 2016.

La regina Elisabetta II, chiamata nel romanzo semplicemente Sua Maestà, è alle prese con i preparativi degli imminenti festeggiamenti del suo novantesimo compleanno e non solo lei, ma tutto il personale del castello, come un meccanismo ben oliato nel tempo.
Oltre alle normali incombenze, si aggiungono visite di stato, come quella imminente con il presidente degli Stati Uniti Obama e della sua consorte Michelle, e serate danzanti a scopo filantropico, organizzate per sovvenzionare le attività patrocinate dai componenti della famiglia reale.
Ad una di queste serate particolari, organizzata da Sua Maestà, per una delle fondazioni del principe Carlo, visto che è una serata à la rousse, sono stati invitati un magnate russo Yuri Pejrovski con la sua giovane e bellissima moglie Masha Pejrovsakja e un loro protegée Maksim Brodskij, una famosa architetta che lavora soprattutto a San Pietroburgo, l’arcivescovo di Canterbury, Sir David Attenborough, un ex governatore russo e altri dignitari di corte.

Durante la serata il ragazzo si rivela essere un pianista d’eccezione e anche un bravissimo ballerino, tanto da ballare anche con Sua Maestà, lasciandole un’ottima impressione.
E forse proprio per questo, la mattina dopo, quando viene avvisata dal suo segretario personale, Sir Simon Holcroft, che il ragazzo è stato trovato morto nella sua stanza, in una posa particolare, la cosa la lascerà rattristata e sconcertata al tempo stesso. Soprattutto perché si capirà immediatamente che la morte non è un suicidio, come si voleva far credere, ma bensì un omicidio.
Il ragazzo infatti è stato trovato nudo, appeso al collo, con la corda della vestaglia, alla maniglia dell’armadio della sua stanza.
La macchina delle indagini si mette in moto. La polizia si concentra ben presto sulla servitù del castello, interrogando tutti e facendo supposizioni strane di cellule dormienti, terrorismo, talpe e spie alla Mata Hari, facendo infuriare sia la sovrana che gli stessi dipendenti del castello.
La regina capisce subito che l’MI5 pur con tutta la buona volontà, è completamente fuori strada, quindi si inserisce con un’indagine segreta parallela aiutata dalla sua assistente personale Rozie Oshodi.
Rozie è stata assunta da poco, e conosce poco anche la sovrana. Ha ancora una sorta di riverenza particolare per la persona in sé.
Tutti, al castello, e nelle alte gerarchie statali, vedono Sua Maestà come una signora anziana e fragile e per questo la vorrebbero tenere all’oscuro di tutto. Ma Elisabetta e tutt’altro. É una fine politica, è da più di sessant’anni alla guida del regno d’Inghilterra, è una donna curiosa e ha una buona memoria per i dettagli.

Ma anche Rozie non è quello che sembra all’esterno. É certamente molto bella, molto alta, è molto esotica, gira sempre con una gonna attillatissima e con dei tacchi vertiginosi, ma è anche una laureata in economia con alle spalle tre anni nelle file dell’artiglieria reale all’accademia di Sandhurst, la più dura del Regno Unito.
E la prima domanda che le due sui pongono è: perché uccidere un ragazzo come Maksim Brodskij?
Chi si è permesso di violare l’angolo di paradiso di Sua Maestà, quale il Castello di Windsor, che dovrebbe essere super controllato e protetto, quello che la sovrana ritiene più di tutti essere casa sua?
Le due, coadiuvate dalle molte conoscenze di Sua Maestà, come il fido Billy MacLachlan, riusciranno a trovare il filo giusto per sbrogliare la matassa, e aiutare l’MI5 a intraprendere la giusta via.
Una via lastricata da altri due omicidi che complicheranno di non poco la situazione, soprattutto perché sembrano non avere niente a che vedere con quello del giovane pianista, ma che una serie di piccoli indizi, la buona memoria di Sua Maestà e la buona volontà di Rozie, anche contro un pericolo oscuro, collegheranno tra loro in modo incredibile.
Ma la regina non si può certo prendere il merito di aver avuto successo su una cosa che non avrebbe nemmeno dovuto sapere! Certamente no!
“Il nodo Windsor” è un giallo leggero, con il tipico humor inglese a farla da padrone. Scritto con una scrittura di facile lettura, con descrizioni molto dettagliate degli ambienti e della vita di corte.

Belli i dettagli relativi al castello di Windsor, al lavoro instancabile che svolge veramente la regina nonostante la sua veneranda età, che oltre ad essere una statista è anche una moglie e una madre.
Fantastici sono i dialoghi tra la Regina e suo marito Filippo inseriti nella storia; l’autrice è stata bravissima perché li fa sembrare molto veri, cogliendo l’essenza del vero rapporto tra i due e visto, la recente scomparsa del duca di Edimburgo anche molto commoventi. Un po’ come avere ancora tra noi questa intramontabile coppia.
Un giallo alla Miss Marple, classico inglese, condito di molto tè, e anche qualche bicchiere di Gin. Uno humor a volte spassoso, come quando la monarca risponde a Obama:
Fu solo dopo pranzo, mentre si incamminavano verso le auto per salutarsi, che il Presidente Obama si chinò per dire a Sua Maestà: “Mi è giunta voce che abbiate un problemuccio in loco. Con un giovane russo. Se possiamo essere d’aiuto in qualche modo…”.
La regina si voltò verso di lui con un’espressione molto seria, prima di sgranargli un sorrisetto altezzoso.
“La ringrazio. A quanto pare i servizi segreti hanno tutto sotto controllo. Pensano sia stato il maggiordomo.”
“Come volevasi dimostrare.”
“Spero si sbaglino. Sono molto legata ai miei maggiordomi.”

E per una volta anche il titolo ha veramente un nesso con la storia, sta a voi scoprire il perché! Consigliato agli amanti della famiglia reale e dello humor inglese.

Silvia Marcaurelio

domenica 11 aprile 2021

RECENSIONE - Scrublands Noir di Chris Hammer

Martin Scarsden, quando arriva a Riversend, è un ex giornalista, o almeno è quello che lui pensa di sé stesso.
Dopo l’incidente occorsogli in Medio Oriente e i postumi di una sindrome da stress post-traumatica (è rimasto chiuso per tre giorni in un bagagliaio di una macchina nella Striscia di Gaza sotto un bombardamento), non è più riuscito a combinare granché, e quella sua uscita la deve al suo amico Max Fuller, il suo caporedattore dell’Herald Sydney, che gli ha consigliato di lavorare su un reportage facile, per rimetterlo in pista, rimetterlo in sesto.
Quando Martin arriva, si accorge che trovarsi a Riversend in piena estate è come stare in un forno acceso. Infatti il paese è nel pieno bush australiano, una landa piatta e desolata, senza alberi, senza nessuna nuvola in cielo, in piena siccità e con la temperatura che sfiora i quaranta gradi già di prima mattina.

Sembra di osservare il tutto da una inquadratura di un film western vecchio stampo, tanto è quello che la scrittura dell’autore ci porta a fare. Una specie di mezzogiorno di fuoco. Un paese vuoto sotto la calura opprimente e la vivida luce del sole a bruciare gli occhi e la terra, secca e spaccata per mancanza di acqua. Un fiume che non scorre più, un paese che si presenta disabitato, tranne per un barbone che presto scompare.
Lui è lì per occuparsi di un reportage che dovrebbe far sapere alla gente di città, come è cambiato il paese dopo che il prete del villaggio, in dieci minuti di follia, ha imbracciato un fucile da caccia, ed ha ucciso cinque persone inermi un anno prima.
Non deve parlare della strage, perché su quella si è già scritto tanto, fiumi di inchiostro. Lui deve solo scrivere come è cambiato il paese. Ma mentre parla con la gente del posto, si accorge che le ragioni di quella strage non sono poi così chiare, che la personalità del sacerdote era alquanto particolare, e che le circostanze in cui ha agito sono tuttora oscure.
Sebbene abbia ucciso cinque persone inermi, per molti Byron Swift era una brava persona. Sempre pronto ad aiutare e a sentire tutti, che si prendeva cura del suo prossimo.

Spinto dal suo istinto da reporter-detective, Martin cerca di raccogliere più informazioni possibili sul prete e su una vicenda che diventa via via più sfuggente, ma anche intrigante. Infatti, proprio quando crede di essere arrivato ad una svolta dell’indagine, il ritrovamento di due corpi nelle Scrublands rimette tutto in gioco, e soprattutto mette lo stesso Martin sotto i riflettori.
Ma anche Martin si accorge ben presto di essere cambiato. Non gli piace più il suo mestiere, o almeno quello che è diventato. Non riesce più ad essere quella persona distaccata e riportare solo la notizia scabra, senza sentimenti, soprattutto perché essendo lui stesso diventato parte della notizia, insieme a persone che non vuole ferire, perché non li considera più attori, i sentimenti prendono il sopravvento sul volere uno scoop a tutti i costi.
Sa che le sue parole possono fare molto male e che potrebbe perdere quella poca umanità che gli resta e una piccola luce che si sta accendendo per lui, fino a quel momento lupo solitario.
Lottando contro sé stesso e con i propri demoni, Martin si trova a rischiare il tutto per tutto per scoprire una verità che diventa sempre più complessa. Ma ci sono forze più grandi di lui che sono determinate a fermarlo, e lui non sa quanto si possano spingere lontano per fare in modo che certi segreti rimangano sepolti per sempre.
Scrublands noir è un romanzo che cattura il lettore fin dalle prime pagine, portandolo all’interno di una storia ricca di colpi di scena, di intrighi, dubbi, depistaggi e pericoli. Polizia, Servizi Segreti, Corpi Militari, tutti hanno un obiettivo e Martin si dibatte tra tutti loro.

Scarsden è al centro di tutte le macchinazioni della narrazione, ma è circondato da un manipolo di personaggi tutt’altro che di secondo piano. Sono eccentrici, orribili, ma anche autentici: c’è Mandalay Blonde, la libraia, bellissima e arrabbiata. Con una vita non facile, da madre single. Codger Harris il vecchio eremita che vive nudo con un passato da banchiere e un segreto non tanto segreto. Harley Snouch che sembrerebbe un barbone ma che appartiene ad un’antica famiglia del luogo e Robbie Haus-Jones il poliziotto eroe che ha sparato al prete, pur essendone amico. Herb Walker lo sceriffo “ciccione” che si batte la pancia ad ogni battuta e si sganascia fragorosamente dalle risate. Fran e Jamie Landers madre e figlio che hanno perso marito e padre uccisi dal prete, ma che nascondono dietro i loro volti una vita piena di segreti. E su tutti, Byron Swift, il prete di cui tutti parlano, ma che è già morto all’inizio di tutto. L’uomo dai mille segreti, dalla doppia vita. Irreprensibile per alcuni, con un passato controverso per altri. Scopriremo solo alla fine la sua vera natura.
Tutti loro hanno un ruolo fondamentale nella storia, come ce l’ha anche Riversend, il paese sotto la cocente afa del gennaio australiano.

Raccontato con una scrittura prosaica Scrublands noir è un thriller originale, avvincente che lascia col fiato in sospeso fino alla fine. Bellissima l’ambientazione tanto che sembra veramente di sentire il caldo asfissiante del bush australiano, con un cielo completamente privo di nuvole e un sole che brucia gli occhi e la pelle. Ci vedrei veramente bene una trasposizione cinematografica. Il romanzo si presterebbe benissimo, sia per ambientazione che per contenuti. Consigliatissimo!

Silvia Marcaurelio


 

lunedì 29 marzo 2021

RECENSIONE - L'indipendenza della signorina Bennet di Colleen McCollough

Ritroviamo le sorelle Bennet venti anni dopo Orgoglio e Pregiudizio e con questo romanzo l’autrice ci vuole raccontare ciò che è successo nel frattempo ad Elizabeth, Lidia, Kitty e Mary. Ma soprattutto ci racconterà di Mary, la sorella strana.
Elizabeth non sta vivendo certamente il matrimonio idilliaco che aveva immaginato, nonostante lei ami ancora suo marito. Hanno avuto tre figlie femmine e un maschio, che suo padre non crede possa essere capace di portare avanti il nome della famiglia, per delle voci girate nell’alta società. Suo figlio amerebbe gli uomini e questo lui non lo può accettare. Voce messa in circolazione niente di meno che da quell’arpia di Caroline Bingley! (Già … c’è anche qui!). Per questo si Elizabeth si sente sconfitta, vive tra feste di rappresentanza e la solitudine delle sue stanze per essere stata allontanata dalla sua famiglia, soprattutto quando suo marito è a Londra a ricoprire la sua carica nel Parlamento inglese. L’orgoglio di Fitzwilliam è tornato subito alla ribalta e lei non lo sopporta.
Jane è ancora innamoratissima di suo marito Charles Bingley che non fa altro che farle sfornare figli. E' esausta, ma non ha alcuna intenzione di cacciare il marito dal suo letto. Ha otto figli, di cui sette maschi e una femmina.
Lydia è diventata quasi una prostituta. É un’alcolizzata e visto che suo marito George Wickam, è spesso lontano sul fronte, concede i suoi favori liberamente, adottando modi rozzi e poco signorili.
Kitty si è sposata con un gentiluomo molto ricco ma molto più vecchio di lei, che l’ha lasciata subito vedova e senza figli. Può permettersi di partecipare a feste e circoli alla moda, senza nessun cruccio.
Mary è la vera protagonista di questo romanzo, che si apre con la morte della Sig.ra Bennet e con l’acquisizione della tanto agognata libertà. Mary era stata infatti scelta da Darcy per accudire la madre, fino alla sua morte. Dopo che questa avviene, Mary può finalmente sentirsi libera di rifarsi una vita come vuole lei, e non come il mondo le impone.
Divenuta una bella donna, e non più brutta e insignificante come era da ragazzina, affronta Darcy dicendogli che non si prostrerà ai suoi piedi per andare a Pemberley a fare da governante alle sue figlie né tantomeno a Bingley Hall a farlo per Jane. Mary desidera partire, viaggiare per poter scrivere un libro sulle ingiustizie e la povertà, alimentata dall’aver letto le lettere di Argus su un giornale. Ovviamente tutto questo fa andare su tutte le furie Darcy, perché è contro ogni decoro, soprattutto da parte di una sua parente e con lui che tenta la scalata a Primo Ministro. Ma nonostante tutto, Mary riuscirà ad avere la sua avventura, e che avventura.
Scopriremo quindi una Mary diversa da come l’avevamo conosciuta in Orgoglio e pregiudizio, una Mary ribelle, indipendente, forte e intraprendente.
Non un capolavoro, ma leggibile. Una voce fuori dal coro sicuramente.


 

martedì 2 marzo 2021

RECENSIONE - Madame le Commissaire e l'inglese scomparso di Pierre Martin


Primo volume di una nuova serie poliziesca un po’ demodé, dedicata al personaggio di Isabelle Bonnet, scritta da Pierre Martin.

Isabelle è un importante membro di una delle task force segrete che la police nationale francese ha dispiegate su tutto il territorio a difesa della popolazione e del Presidente.
Quando facciamo la sua conoscenza è reduce da un attentato esplosivo avvenuto a Parigi vicino all’Arc de Triomphe dove molti suoi colleghi hanno perso la vita, ma dove lei è riuscita a salvare il Presidente in persona. Ha rimediato la Legione d’onore, ma anche molte ferite, sia fisiche che mentali.
Decide, quindi, di prendersi una vacanza e passare la sua convalescenza a Fragolin, il paese dove è nata, dove non è mai tornata dopo la morte dei suoi genitori in un incidente stradale, quando era ancora bambina.
Fragolin è in piena Provenza, abbracciato dal Massif des Maures da una parte e poco lontano dal mare dall’altra, tanto da sentirne l’odore trasportato dalla brezza.
Al suo arrivo però, non trova la calma che si aspettava, bensì un paese in pieno stato di agitazione. Una cosa inaspettata è successa, un fatto gravissimo, un omicidio violento.
Il corpo di una giovane donna con la faccia deturpata da un colpo di pistola è stato ritrovato in una villa di proprietà di un facoltoso inglese, di cui si sono perse le tracce.
L’uomo è ritenuto il responsabile principale dell’omicidio.

La gendarmeria locale a cui è affidato il caso, non sa che pesci prendere, allora, vista l’implicazione di uno straniero, il capo di Isabelle, Maurice Balancourt, per risollevarle il morale e farla tornare a lavorare, le restituisce, degradandola momentaneamente, il grado di “commissaire”, affidandole l’inchiesta.
Da Tolone, da cui Fragolin dipende, per dispetto dall’esser stati sorpassati, inviano ad Isabelle un improbabile assistente dal pretenzioso nome di Jacobert Apollinaire Eustache.
Apollinaire è alto, goffo, maldestro e timido. Fino a quel momento si è occupato solo di archivi e non ha mai lavorato sul campo. Ma i due insieme sembrano funzionare.
Apollinare è sì goffo, ma è intelligentissimo e sa barcamenarsi in qualunque cosa. Parla più di qualche lingua, conosce molto i computer, anche se non lo ammette, e il lavoro d’archivio l’ha reso molto organizzato. L’unica cosa non organizzata di Apollinaire sono i suoi vestiti che continua ad abbottonare male e i suoi calzini di colori spaiati e imprevedibili.
Isabelle, dopo l’attentato, è completamente cambiata e molte cose se le lascia scivolare addosso, ma ha comunque una mente acuta e con l’aiuto dell’organizzato Apollinaire riesce ad avviare, da quello che sembrava un nulla di fatto, un’indagine vera e propria.
Prima di tutto riusciranno a far luce sull’identità della ragazza e poi a scoprire che l’inglese Brian C. Hobart, proprietario della villa, è un uomo ricercato in tutto il mondo per questioni finanziarie e che il suo vero nome è Phil Ferguson.

Il romanzo è molto leggero e scorre veloce sotto i paesaggi del Sud della Francia con l’odore della lavanda nel naso.
In alcuni passaggi è divertente, in altri diventa addirittura esilarante, ma ci sono anche momenti toccanti e tristi, soprattutto quando Isabelle indaga sulla morte dei suoi genitori.
Oltre a Isabelle e ad Apollinaire, molto azzeccati i personaggi di contorno come l’amica d’infanzia Clodine, Thierry Blès sindaco di Fragolin e, anche se hanno poche battute il vecchio Georges, e la segretaria del padre di Isabelle, Florence.
Bella l’ambientazione e la sua descrizione tanto da lasciarti la sensazione di essere stata veramente nel sud della Francia a goderti il caldo e il profumo della lavanda.
Il finale chiude questa storia dell’inglese scomparso e non è scontatissimo come sembrerebbe, ma sicuramente ritroveremo il duo Bonnet-Apollinaire in una prossima avventura. Consigliato a chi ha bisogno di un sorriso, ma anche di un buon libro, nonostante la leggerezza.
P.S. da informazioni, so che in Germania sono arrivati già al sesto capitolo!

Silvia Marcaurelio