Il romanzo in questione è stato scritto da Compton MacKenzie nel 1918. Siamo alla fine dell'Ottocento, inizi del 1900. Sylvia Scarltett è una ragazza molto spregiudicata per quell'epoca. Concreta, atea, irregolare, libera, che sulla cattiva strada, quella considerata da lei "la più divertente", ci si mette da sola, al seguito dell'adorato (ma non troppo!) e mascalzonesco padre, in fuga dalla Francia, dopo averne combinate di cotte e di crude, verso l'Inghilterra sua patria natia.
Una Sylvia dodicenne arriva così in Inghilterra, che le sembra l'altra parte del mondo, ed è costretta dal padre e da un suo losco conoscente a travestirsi da uomo e a cambiare il suo nome in Sylvester, e cognome da Snow (quello vero) a Scarlett. Rimarrà costretta nei vestiti di un ragazzo finché questi non cominceranno a starle e stretti (nel vero senso della parola) e a diventare troppo logori.
Riprenderà le sue fattezze e a tredici anni si imbarcherà insieme a suo padre, all'amante di lui, ed al solito mascalzone al seguito di piccoli spettacoli di varietà, che altro non servono a coprire imbrogli e truffe, recuperando in status e denaro fino a che Sylvia non diventerà una vera attrice.
Sylvia avrà un solo amore nella sua vita, anche se si sposerà una volta molto giovane a 17 anni con Philip Irendale, ma capirà subito che quella vita, la vita che le vuole costruire addosso Philip non è la sua e un giorno se ne andrà di casa per non tornarne mai più. Preferisce la vita fatta di stenti e di piccoli spettacoli di varietà, di piccole parti in teatri sconosciuti, piuttosto che dipendere da qualcuno.
Si innamorerà di un solo uomo nella sua vita, Michael Fane, che preferirà a lei la sua compagna di stanza Lily, una sciocca e frivola ballerina di varietà che lo lascerà a pochi giorni dal matrimonio. Ma il rifiuto subìto da Sylvia, farà sì che lo rifiuti per sempre... (forse!).
Saranno pochi quelli che riusciranno ad aprire una breccia nel cuore di Sylvia e ad avere una parte attiva nella sua vita. Mrs. Gainsbrough, la "compagna" del capitano, che la seguirà in tutti i suoi più strambi viaggi, fino in Oriente. Olivia Fanshawe e Jack Airdale, suoi fidati amici, gli unici che le saranno in qualche modo sempre vicini, e Arthur Madden, l'uomo che alla fine decide di sposare dopo tanti rimuginii e ripensamenti, dopo tanto aspettare il successo, che finalmente arriva, dopo che la voglia di famiglia finalmente giunge alla sua porta, lui la tradisce sposando un'altra e lasciandola sola e amareggiata per le scelte di vita fatte in gioventù.
E' l'amore l'ingrediente che fa esplodere l'allegro equilibrio e la libertà della vita di Sylvia, che fa virare la storia verso le lacrime, che la spinge ad una fuga continua, che svela la filosofia anti-sentimentale dell'autore, in un turbinio di incontri, di rovesciamenti di fronti, e di alleanze e successi, ed insuccessi della sua eroina.
Disegna un'età vittoriana divertita e divertente, carnale e impudica, molto diversa da quella tradizionale, e lui, si diverte a criticare, con le parole di Sylvia, le espressioni di un pensiero liberale, la critica verso l'istituzione matrimoniale, l'aspirazione ad una vita libera da legami e senza paura dell'aldilà, perdendosi ogni tanto, però, tra troppi fili narrativi, troppe storie, troppi nuovi inizi, a rischio di stancare con mille un'avventura i lettori impazienti.
La storia della nostra eroina non finisce con il libro in questione, che ci lascia con un finale con l'amaro in bocca. Avrà un seguito... "Sylvia e Michael" uscito nel 1919... riuscirò mai a trovarlo?
Voto: 7+
martedì 31 dicembre 2013
venerdì 27 dicembre 2013
RECENSIONE - COME PER MAGIA DI KIRSTY GREENWOOD
Un Harmony, niente più che un Harmony.
Delusa da questo romanzo che ho trovato anche abbastanza sconclusionato.
La protagonista è Nathalie Buttleworth, ventisettenne in procinto di sposarsi con Olly.
Nathalie sa benissimo che il matrimonio che sta per vivere non è certo quello da lei sognato. Sua madre e sua sorella stanno organizzando tutto, e molte cose non sono di suo gradimento, ma purtroppo lei è una persona che non sa dire di no. Pur di non scatenare litigi od incomprensioni preferisce accettare cose che non gli piacciono. Ha dovuto rinunciare a qualcuno dei suoi sogni, come quello di diventare chef e alla sua indipendenza.
Sua madre è una depressa cronica, d quando ha divorziato. Sua sorella è una pazza isterica, alle prese con un fidanzato che sembra il sosia di Al Capone. Il suo fidanzato è un salutista palestrato che mangia solo macrobiotico e le chiede regolarmente la fatidica domanda: "Ti è piaciuto?", dopo ogni sessione di sesso e Olly non è questo campione di durata, ne un fine conoscitore del Kamasutra. Ma Nathalie tiene tutto per se, per compiacere gli altri e per quieto vivere.
Ma un bel giorno, insieme alla sua amica di sempre Meg, (l'unica a sembrare normale) va in un pub per assistere ad uno spettacolo di ipnotismo. Il Grande Brian ipnotizzerà Meg che sarà costretta a dire sempre la verità su ogni cosa che le verrà chiesta.
Ma le cose non vanno proprio così. A restare ipnotizzata sarà proprio Nathalie che se ne accorgerà la mattina dopo alla solita domanda del suo Olly a cui sarà costretta a rispondere con la verità facendolo offendere a morte.
Da qui una sequenza di peripezie per trovare il Grande Brian ed essere disipnotizzata con a fianco la sola Meg, che è l'unica a crederle e l'unica che la seguirà a Little Trooley, un paesino che sembra quello delle fiabe e dove dovrebbe vivere il Grande Brian. Qui conosceranno una dimensione diversa da quella della grande città, soprattutto gli abitanti del villaggio, una serie di persone incredibili, tra cui Riley, il padrone e gestore del Pub del paese "Il vecchio Ghiribizzo", aitante biondo non palestrato, che cerca di conquistare la gente con manicaretti impossibili e immangiabili, fidanzato con un'antipaticissima ragazza, che sembra più un adolescente che una trentenne.
Nathalie proverà a trovare l'irrintracciabile Brian facendo anche un annuncio ad una radio locale, ma il presentatore se ne approfitterà un po' cominciando a farle domande alle quali lei non può esentarsi dal rispondere, ma soprattutto a non dire la verità. Ciò le renderà la vita difficile anche a Little Trooley oltre che a Manchester. Qualcuno la crederà pazza, qualcuno drogata, qualcuno egoista, ma come per magia riuscirà a risolvere tutti i suoi problemi e a trovare il vero amore della sua vita. Forse il grande Brian alla fine non ha fatto così male....
Come ho già detto non più di un Harmony, quindi non vale certamente il costo di copertina così alto.
Voto: 4,5
giovedì 19 dicembre 2013
RECENSIONE - SEZIONE OMICIDI DI GIANNI SIMONI
Terzo episodio della serie sul Commissario Lucchesi.
Lucchesi si ritrova a capo della sezione omicidi, dopo l'avventura dello scorso episodio del Commissariato San Sepolcro, a prendere il posto del Commissario Pellegrini, che si è trasferito a Varese.
Il primo caso che si trova ad affrontare, è un delitto da manuale.
Una donna morta viene rinvenuta nuda in un parco.
Nessuna traccia di vestiti o documenti nelle vicinanze.
Unici elementi per la soluzione del caso: un plaid molto costoso, e lo sperma trovato sul ventre della donna.
L'indagine è complessa e bisogna partire da quello che si ha a disposizione. Da qui all'elenco delle donne scomparse, il passo è breve.
Aiuta Lucchesi il Questore Alinovi, che oltre a concedergli il trasferimento di Serra e Minniti, gli mette a disposizione una quarantina di uomini, per battere a tappeto la zona intorno al parco dove è stato trovato il cadavere.
Lucchesi ritroverà la sua collega Lucia Anticoli, con la quale ha avuto una storia sentimentale, che ha fatto domanda per entrare nella sua squadra.
Nel corso delle indagini risolverà per puro caso ed intuito un delitto che il suo predecessore aveva lasciato irrisolto, ed un altro legato alle indagini per l'identificazione della donna nel parco.
Come abbiamo già letto nel precedente episodio Lucchesi dopo l'infarto sta tentando un riavvicinamento con sua figlia Alice. Non vuole sbagliare, ma il suo tentativo di ricreare il rapporto tra loro rischia di sconfinare nella tragedia. I fantasmi del passato, carichi di dolore e di colpa, non lo abbandonano mai.
Le donne, giovani e meno giovani, del presente sembrano tutte incomprensibili e inafferrabili. La psicologa, la poliziotta...
La soluzione del caso è amara e dura da digerire. Al commissario restano solitudine e rabbia, e paura...
E' un po' troppo rinunciatario il nostro Lucchesi, ma ha anche un animo da Don Chisciotte che lo spinge a fare tutto e ad ogni costo, meno a voler rinunciare al suo sciocco egoismo. I suoi affetti, persino l'amore che ha per sua figlia, gli fanno paura, quasi come fossero una condanna da scontare.
In ultimo è accompagnato da un malessere che lo porta a sprofondare nella malinconia, ed un Lucchesi malinconico è un pericolo per se stesso e per chi gli gira intorno.
Bello anche questo nuovo episodio, anche se l'altro, forse venato da un certo ottimismo, da una sorta di rinascita, era meno cupo. Questo è venato da una sorta di malinconia sia delle vittime, che dei carnefici, che degli stessi investigatori, ma ha anche spunti di speranza.
Forse i prossimi giorni del nostro Commissario Lucchesi saranno ancora bui.
Speriamo che riesca a trovare una soluzione al suo pessimismo cosmico.
Alla prossima Lucchesi!
Voto: 7
martedì 17 dicembre 2013
RECENSIONE – GATTI, MERLETTI E CHICCHI DI CAFFE’ DI ANJALI BANERJEE
Ritroviamo
anche qualcuno dei personaggi del libro precedente, anche se solo di sfuggita.
La
protagonista è Lily, una giovane vedova di 39 anni. Ha perso il suo Josh da un
anno, in un incidente stradale e ha deciso di mollare tutto, per vedere un po’
di mondo e cercare il posto dei suoi sogni. Sembra averlo trovato in un cottage
giallo di Shelter Island, dove decide di spendere tutti i suoi risparmi acquistandolo, per creare il suo negozio di abiti vintage.
E’
distrutta dal dolore Lily, ma cerca qualcosa che la faccia tornare alla vita,
anche se sente costantemente la mancanza di Josh e lo vede presente in ogni
cosa, in ogni suo pensiero.
Ma
da aiutarla entra nella sua vita “Micina”, gattina bianca dal folto pelo, e
con una peculiarità, ha un occhio
azzurro ed uno verde, non sembra una gatta normale ed infatti non lo è. Micina è in grado di vedere gli
spiriti che vagano nel cottage e ci racconta le loro storie, così come è in
grado di vedere la realtà delle cose, di sentire il dolore e la gioia degli
umani che la circondano e di scegliere per loro l’abito giusto. La storia a
questo punto si svolge in doppia voce. Quella di Lily e quella di Micina.
Nel
frattempo Lily riesce a fare delle conoscenze, Paige, Ida, ma soprattutto il
Dr. Cole e sua figlia Bish, adolescente complicata, dalla dura scorza e dalla
studiata sfacciataggine, con un cuore d’oro sotto la sua corazza.
Non
ho apprezzato questo libro come il precedente, i personaggi sono carini ed
interessanti, ma ho trovato che mancasse un po’ di atmosfera. Non riesce a
convincere pienamente.
L’idea di
far parlare la gatta, nel suo insieme, non è male, ma forse non è sfruttata
pienamente e molte pagine della storia
risultano piatte e senza verve.
Poi
tira e molla nell’adottare la gattina o meno …. Io che sono una gattofila non
l’ho proprio sopportato.
Il
problema del libro è che si inoltra per oltre duecento pagine con scambi di
ruoli tra gatta e padrona, vendita di vestiti e concorrenza sleale. Non succede
nulla, se non qualche visita dal veterinario, che certamente non può far
sfociare in un amore incredibile la storia tra Ben e Lily.
Eppure
questo succede! Basta una gita, una cena, una ragazzina un po’ scorbutica (lo
sarei anche io se mi chiamassero come la razza di un cane!), due ex a caccia di
guai, una gita al cimitero dell’isola, che l’amore sbocci in maniera
incredibile e Josh e Altona (i due ex) vengano immediatamente dimenticati.
E
comunque voi ci andreste a Shelter Island? Io un pensierino ce lo farei è
infestata di spiriti. Li ricordiamo anche nella libreria di Jasmine, nel primo
episodio. Ci sono … sembrano sempre delle presenze negative, ma alla fine sono
lì buoni buoni a far da cornice e non
fanno praticamente nulla.
La
scrittura del libro è scorrevole, ma niente di eccezionale. Sono sicuramente un
po’ delusa, mi aspettavo di meglio.
Voto:
6 - -
domenica 15 dicembre 2013
RECENSIONE - IL FILOSOFO DI VIA DEL BOLLO DI GIANNI SIMONI
Secondo episodio della serie del commissario di origine eritrea, Andrea Lucchesi. Si riparte da dove lo avevamo lasciato nel precedente romanzo "Piazza San Sepolcro", con Lucchesi che veniva colpito da un infarto. In questo nuovo romanzo lo troviamo alla fine della sua convalescenza, con un nuovo approccio alla vita, tipico di chi la vita l'ha quasi persa.
Ricomincia le sue indagini, portate avanti in sua assenza dal duo Serra e Minniti, che sono stati bene attenti e non si sono fatti sfuggire dei furti che sembrano commessi con gli stessi metodi di quelli dell'indagine del precedente romanzo. Stavolta non sono però dei quadri, ma delle incisioni cinquecentesche di maestri tedeschi. Andando avanti nell'indagine rispuntano fuori dei nomi già conosciuti come quello della contessa Elena Urbinati e del Prof. Niccodemi, vittime dei furti nell'episodio precedente.
Lucchesi, come solito fare, comincia ad indagare proprio tra i collezionisti di questo tipo di opere d'arte. Nel suo scorrazzare per la città, visto che i medici oltre a diminuirgli il numero di sigarette, a togliergli l'alcool, gli hanno consigliato di camminare, conosce Ambrogio. Un tipo abbastanza strano, che se ne sta tutto il giorno sotto i portici di Via del Bollo. Ambrogio è un filosofo, una persona molto colta, con un soprannome, Cartesio, che gli deriva dal suo continuo citare questo filosofo per ogni spiegazione sui fatti della vita.
Lucchesi ci fa amicizia, ed una sera a cena, mentre ascolta il suo amico filosofeggiare sulla verità vera, o una mera verità, fa una strana scoperta.
Pochi giorni da quella cena si troverà a dover togliere il suo amico dai guai, che si troverà invischiato in un omicidio di un testimone dell'indagine che sa conducendo.
Le persone che Lucchesi conosce sembrano sovvertire ogni sua aspettativa. Dalla contessa Urbinati, al commissario Pepe, dai collezionisti d'arte, alla sua collega Marchesi. Nessuno sembra quello che è, e Lucchesi dovrà accettare delle amare verità sull'apparenza delle persone.
Adoro Gianni Simoni. Se il primo romanzo di questa nuova serie mi aveva lasciata un po' freddina, posso dire che questo secondo episodio non mi ha affatto deluso. Anzi!
Ho imparato a conoscere meglio il personaggio del commissario Lucchesi, che sulle prime non aveva riscosso la mia stima, abituata com'ero alle vicende del giudice Petri e del commissario Miceli.
Donnaiolo come pochi, fumatore incallito, amante del buon cibo e del buon vino, ottimo lettore, ha un amore immenso per quella che sarà, forse, l'unica vera donna della sua vita, sua figlia Alice.
Scontroso e aggressivo, un uomo che, pur con tutte le sue debolezze non sa scendere a compromessi e per difendere il suo ideale di giustizia, non guarda in faccia nessuno. Nemmeno se, in nome di quella giustizia, deve giocarsi la carriera, o peggio, la vita.
Voto: 7/8
Ricomincia le sue indagini, portate avanti in sua assenza dal duo Serra e Minniti, che sono stati bene attenti e non si sono fatti sfuggire dei furti che sembrano commessi con gli stessi metodi di quelli dell'indagine del precedente romanzo. Stavolta non sono però dei quadri, ma delle incisioni cinquecentesche di maestri tedeschi. Andando avanti nell'indagine rispuntano fuori dei nomi già conosciuti come quello della contessa Elena Urbinati e del Prof. Niccodemi, vittime dei furti nell'episodio precedente.
Lucchesi, come solito fare, comincia ad indagare proprio tra i collezionisti di questo tipo di opere d'arte. Nel suo scorrazzare per la città, visto che i medici oltre a diminuirgli il numero di sigarette, a togliergli l'alcool, gli hanno consigliato di camminare, conosce Ambrogio. Un tipo abbastanza strano, che se ne sta tutto il giorno sotto i portici di Via del Bollo. Ambrogio è un filosofo, una persona molto colta, con un soprannome, Cartesio, che gli deriva dal suo continuo citare questo filosofo per ogni spiegazione sui fatti della vita.
Lucchesi ci fa amicizia, ed una sera a cena, mentre ascolta il suo amico filosofeggiare sulla verità vera, o una mera verità, fa una strana scoperta.
Pochi giorni da quella cena si troverà a dover togliere il suo amico dai guai, che si troverà invischiato in un omicidio di un testimone dell'indagine che sa conducendo.
Le persone che Lucchesi conosce sembrano sovvertire ogni sua aspettativa. Dalla contessa Urbinati, al commissario Pepe, dai collezionisti d'arte, alla sua collega Marchesi. Nessuno sembra quello che è, e Lucchesi dovrà accettare delle amare verità sull'apparenza delle persone.
Adoro Gianni Simoni. Se il primo romanzo di questa nuova serie mi aveva lasciata un po' freddina, posso dire che questo secondo episodio non mi ha affatto deluso. Anzi!
Ho imparato a conoscere meglio il personaggio del commissario Lucchesi, che sulle prime non aveva riscosso la mia stima, abituata com'ero alle vicende del giudice Petri e del commissario Miceli.
Donnaiolo come pochi, fumatore incallito, amante del buon cibo e del buon vino, ottimo lettore, ha un amore immenso per quella che sarà, forse, l'unica vera donna della sua vita, sua figlia Alice.
Scontroso e aggressivo, un uomo che, pur con tutte le sue debolezze non sa scendere a compromessi e per difendere il suo ideale di giustizia, non guarda in faccia nessuno. Nemmeno se, in nome di quella giustizia, deve giocarsi la carriera, o peggio, la vita.
Voto: 7/8
giovedì 12 dicembre 2013
RECENSIONE – INCANTESIMO TRA LE RIGHE di Jodi Picoult e Samantha Van Leer
Questo
libro è nato dalla fantasia di una ragazzina, figlia d’arte, di una scrittrice
non da poco, e che sicuramente ne ha ereditato i geni. Durante la lettura mi è
capitato di soffermarmi a pensare all’idea che ha avuto per questo romanzo,
molto nuova e molto vecchia al tempo stesso, quello di scrivere una favola. E’
una storia nella storia. E' un libro che parla di una favola, intitolata come il romanzo che abbiamo nelle
nostre mani, “Incantesimo tra le righe” e del suo protagonista, il Principe
Oliviero e dei suoi personaggi. Il suo fido cane Straccio, il suo
cavallo Calzini, la sua mamma la Regina Maurina, la principessa sempre in pericolo
Serafina, il mago buono e pasticcione Orvillo, il cattivo di turno Rapscullio,
e orchi, fate, sirene, draghi e pirati. Tutti i personaggi classici di una
fiaba a lieto fine. Ma, se mentre il libro fosse chiuso i personaggi avessero
una loro vita? E se uno di loro, non uno qualunque, ma
il protagonista si fosse stancato di ripetere all’infinito la stessa storia? E
se riuscisse a contattare una persona che vive nell’Altromondo (quello dei
lettori) e a comunicare con lei e ad esprimerle la sua infelicità? Il lettore è diviso tra
la storia "ufficiale", le sofferenze di Oliviero che vuole di più
della vita che gli è stata data dalla sua "Creatrice" e la storia di Delia una
adolescente alla ricerca di affetto. Tutto ciò è condito dalla simpatia dei personaggi
secondari che, come il principe, non appena il libro si chiude, smettono di
recitare e fanno ciò che vogliono nel loro minuscolo mondo. C'è Straccio, il
cane, che parla liberamente ed è innamorato della principessa che a sua volta è
un po' sciocca e innamorata di Oliviero, c'è il cattivo che non è in realtà
cattivo, insomma tanti personaggi che nascondono agli occhi del lettore le loro
vere inclinazioni. Oliviero è molto più di un personaggio bidimensionale stampato su una
pagina bianca. Come tutto gli altri personaggi, è reale, è vivo ed è consapevole della sua
situazione di attore, costretto a ripetere sempre le stesse battute e le stesse
azioni ogni qualvolta un Lettore decide di leggere il libro e sa di essere bloccato nella
storia per sempre, quando questo viene chiuso.
Quindi
leggiamo due storie diverse. Continuiamo
a leggere quella di Oliviero alternata a quella di Delia la lettrice di favole.
Delia è una ragazzina di quindici anni, un po’ goffa e sfigata, la tipica
adolescente disegnataci dall'immaginario collettivo che si ha delle scuole superiori
americane, che prende in prestito il libro in biblioteca e ci racconta la favola. Pur
vergognandosi di questa sua fissazione, il libro diventa una fissazione, perché
scopre di avere delle affinità con il protagonista della storia, che come lei
non ha il papà (anche se per diversi motivi), che come lei non è coraggioso, ma
è molto intelligente e arguto. Immaginate a questo punto i due che si parlano
sempre dalla pagina 43 del libro. Solo Delia riesce a sentirlo e solo con
Delia, Oliviero riesce a comunicare. Il desiderio del principe è quello di
uscire dalla storia e di vivere nell'Altromondo e quello di Delia di aiutarlo
nell'impresa.
Delia è
un’ottima protagonista, nella quale ci si immedesima senza sforzo e con la
quale ci si sente in sintonia fino alla fine. E’ una ragazza determinata,
intraprendente, dolce e simpatica, con un’irrefrenabile passione per la lettura
e una grande voglia di sognare. Ama la lettura come metodo per sfuggire ad una
vita che le porta continue delusioni, ama aprire un libro e trovare al suo
interno un rifugio sicuro e accogliente dove non ci sono bruschi cambiamenti di
programma.
Lo stile
dell’autrice è semplice e scorrevole e le pagine sono intervallate da
fantastici disegni raffiguranti i protagonisti della “favola”. La storia in sé
può non essere nulla di particolare, ma nel complesso si tratta di una
meravigliosa dichiarazione d’amore alla libertà, alla possibilità di costruire
il futuro con le nostre mani, al raggiungimento dei nostri obiettivi tramite la
forza di volontà. E’ anche un’incantevole storia d’amore, dolcissima,
romantica, innocente e, non meno importante, impossibile. Ma Oliviero e Delia
credono nel lieto fine, ci credono fino alla fine, ed è questa loro ferma
determinazione che riuscirà a sconvolgere una storia in apparenza già scritta.
E’ un
libro ingenuo e brillante al tempo stesso, è romantico, divertente, è
coraggioso e semplice. Nessuna pretesa, nessuna aspettativa: solo la voglia di
raccontare una fiaba. E’ un libro di evasione per eccellenza, che ti conduce in
un mondo dove i desideri si avverano e il lieto fine esiste per tutti.
Consiglio:
adatto per un pubblico dai 13 ai 16 anni.
Voto: 7,5
lunedì 9 dicembre 2013
RECENSIONE – LETTO DI OSSA DI PATRICIA CORNWELL
Non vorrei mai stroncare un libro della Cornwell
della serie della anatomopatologa Kay Scarpetta. Non lo vorrei fare perché mi
ricordo ancora i primi libri, belli, appassionanti che non avresti mai voluto lasciare un attimo se non quando li avessi finiti. Ci ho passato nottate,
insieme a Kay Scarpetta, a Pete Marino, ho visto crescere Lucy, ho visto l'evolversi dell’amore per Benton Wensley, che continua a non starmi per niente
simpatico nonostante tutto … Eppure, eppure quando è troppo, è troppo.
E’ ormai troppo tempo che Patricia Cornwell “sforna”
best seller giusto per accontentare il suo editore, senza tenere in nessun
conto la qualità di ciò che si spaccia per un romanzo thriller e senza timore
alcuno di poter deludere i suoi assidui lettori.
Libri come questo “Letto di ossa” con la Dottoressa
Scarpetta che arranca e ci fa arrancare per stare dietro al filo del racconto,
tra i soliti problemi di Marino, il tran tran familiare con il marito profiler
dell’FBI e le vicende amorose della nipote Lucy, hacker che gira in elicottero.
Non ci si meraviglia che in poco meno di trecento pagine di libro non si parli
neppure una volta del serial killer, del quale ci si ricorderà giusto per due o
tre frasi nelle pagine finali, dove si approfondiscono le motivazioni di tutta
la storia.
Il confronto con le prime opere con protagonista l’intelligente
coroner di origini italiane non regge nemmeno dopo un minuto. Pertanto ne
sconsiglio la lettura, soprattutto ai fans della Cornwell che ne rimarrebbero
delusi.
La storia è noiosa, macchinosa e a tratti insensata.
Ci sono personaggi inutili, che distraggono, e non danno niente alla storia. Il
recupero del cadavere in mare è la parte più interessante, anche se risulta
essere inutilmente troppo lunga ai fini del racconto. Magari si poteva fare a
meno della descrizione degli interminabili viaggi in macchina, andata e
ritorno, con dialoghi ramanzina A e DA Marino.
Dico solo che dopo tutte le promesse di “sostanza”
che fanno capolino nelle prime cinque pagine, la vicenda si risolve (senza capo
ne coda) nell’ultima decina, perdendo di vista i canoni elementari di qualsiasi
storia “gialla” e tirando fuori un assassino che più macchietta non si può. Si
ha quasi la sensazione che l’autrice stanca anche lei del libro abbia voluto
farci la grazia e abbia chiuso il tutto in fretta e furia.
Il personaggio più simpatico risulta essere il Capo
Maximum di tutte le operazioni, il generale Briggs, che in una lunghissima
riunione a detta di tutti importante, vede bene di alzarsi e andarsene.
E poi che dirvi … anche lo stesso personaggio di Kay
… diventata così lamentosa, così insicura, così paranoica … Non mi piace
proprio …. Lei nonostante tutte le cose brutte che vedeva ed era costretta a
vedere, era una che infondeva coraggio … Così proprio no. Risulta piagnucolosa,
se non addirittura noiosa, sempre con questa sensazione di essere accerchiata
da persone che vogliono prevaricarla, farle del male, per il suo raggiunto
successo. Alla fine un po’ stanca!
Voto: 5 (e sono buona!)
mercoledì 4 dicembre 2013
RECENSIONE – THE COUNSELOR, IL PROCURATORE DI CORMAC McCARTHY
Un altro capitolo della saga del Male di Cormac McCarthy,
stavolta in forma di soggetto cinematografico sceneggiato, in omaggio a Tony
Scott, per un film diretto dal fratello Ridley Scott (con un cast d'eccezione,
da Michael Fassbender a Brad Pitt da Penélope Cruz ad Javier Bardem a Cameron
Diaz, che arriverà a gennaio nei nostri cinema).
Logicamente non è un libro, ma una sceneggiatura, quindi lo
scritto non sempre fa capire fino in fondo quello che si dice. Ci si sofferma
molto più sulla spiegazione dei paesaggi come dovrebbero essere nel film, le
pose delle persone. E’ scritto a forma di dialogo con le battute che dovrebbero
essere quello del film stesso.
Gli episodi restano distaccati tra di loro, ma non troppo,
non da non farci capire la trama del libro.
La vittima, il protagonista è “il procuratore” del titolo, un
uomo capace di sedurre donne e fortuna, ma inetto e con poco coraggio, anche se
ciò non gli permette di fuggire alla
cieca ambizione e dall’avidità. Eppure il suo socio in affari sporchi, Westray,
con modi da filosofo cerca di metterlo in guardia sulla strada che vuole
intraprendere e che dovrà percorrere poi, fino in fondo. Un affare multimilionario
di spaccio di droga.
L’affare andrà in fumo per un sfortunata coincidenza e per
uno strano collegamento. Il procuratore diventerà sospetto agli occhi della
gente con cui è in affari, che di “quelle coincidenze hanno sentito parlare ma
non ne hanno mai vista una”, come gli suggerisce Westray.
Così scatterà un meccanismo infernale che stritolerà vite e
morti, speranze e peccati portando al centro del palco il vero protagonista,
Malkina, una donna cacciatrice, che ama la caccia e i suoi due ghepardi, che
sguinzaglia a caccia di conigli. Una dark lady dura e tosta a cui McCarthy
concede l’onore di chiudere la narrazione con un monologo degno di un eroe
antico e puro.
Voto: 7
martedì 3 dicembre 2013
RECENSIONE – IL BACIO RIVALE DI LARA ADRIAN
“Il bacio rivale” è l'undicesimo volume
della saga di Lara Adrian: “La stirpe di mezzanotte”.
In questo volume ritroviamo i nostri
eroi vent’anni dopo la Prima Alba, vent’anni dopo l’annuncio della loro
esistenza al mondo. E’ quasi come se fosse un nuovo ciclo, e la storia è tutta
nuova, tanto che si potrebbe leggere senza aver nemmeno letto gli altri dieci
libri.
Lo stile della Adrian è sempre lo
stesso, molto scorrevole, leggibile, per quello che deve essere un libro di
intrattenimento.
Come ho già detto la storia prende avvio
vent'anni dopo gli eventi letti ne "Il bacio ribelle" e troviamo
umani e membri della stirpe che cercano di convivere pacificamente.
Ma la pace non sembra essere molto
stabile, continui attacchi da parte di cittadini umani ai danni di membri della
stirpe e manifestazioni più o meno pacifiche sembrano minare questa difficile
alleanza.
I vertici del potere sono equamente
divisi tra umani e vampiri e nella fazione dei vampiri troviamo al vertice
Lucan Thorne, sostenuto da tutti i suoi ex compagni dell'Ordine.
L'Ordine che conoscevamo noi lettori non
esiste più, ora tutti i membri incontrati in ognuno dei precedenti volumi sono
a capo di una frazione degli Stati Uniti e Canada, non vivono più tutti insieme,
ma non mancano comunque le occasioni per riunire la loro grande famiglia o per
condurre indagini top secret.
Essendo trascorsi vent'anni troviamo
moltissimi nuovi e giovani guerrieri, figli delle coppie conosciute nei
precedenti romanzi. Ed è appunto su di
loro che si fonderà questa nuova era come sottolineerà più volte Lucan nel
corso del romanzo. Quindi largo ai giovani!
Credo che piano piano i “vecchi” membri
della stirpe verranno sempre più relegati ai margini della storia lasciando
spazio agli eredi.
In questo volume i protagonisti sono Mira
Nikolai e Kellan Archer. La ragazzina dal potere incredibile di far vedere il
futuro nei suoi occhi specchiandosi e il ragazzino musone, che aveva perso
tutta la sua famiglia nella battaglia precedente.
Mira e Kellan, due storie che si
separano e tornano ad incontrarsi in un modo quasi del tutto casuale.
Troveranno alla fine il modo di non separarsi mai più, il “per sempre” che
caratterizza tutti questi romanzi della Adrian.
La stranezza è il trovarli cresciuti,
avendoli letti bambini, ora sono una donna ed un uomo con tante amarezze e
tanti interrogativi da risolvere.
Il personaggio di contorno, già conosciuto anche lui bambino, salvato dal
laboratorio dove era stato prodotto, sarà Nathan, il figlio della compagna del
guerriero Hunter, e che sicuramente sarà il protagonista del prossimo romanzo.
Alla fine di tutto scopriremo che l’Ordine
dovrà rimettersi in guardia. C’è un nuovo nemico da combattere, e non c’è tempo
da perdere, e i nemici sono già molto più avanti a loro.
I romanzi della Adrian hanno il dono di
essere dei piacevoli romanzi di intrattenimento, scritti bene, scorrevoli, da
leggere tra un libro impegnativo e l’altro…
Voto: 6,5
lunedì 2 dicembre 2013
RECENSIONE – IL BIZZARRO INCIDENTE DEL TEMPO RUBATO DI RACHEL JOYCE
L’autrice di
questo libro, Rachel Joyce, è una scrittrice le cui mani abili hanno saputo
scrivere una storia che qualche tempo fa mi ha fatto emozionare dopo tanto
tempo, facendomi piangere e ridere nello stesso tempo, lasciandomi un piacevole
sorriso sul viso dall'inizio alla fine: "L'imprevedibile viaggio di Harold
Fry”. E' bastato leggere questo suo romanzo, per farmi scattare la scintilla e
farmi aspettare con il fiato sospeso la sua nuova opera. Non è un sequel, sia
chiaro, ma io l'ho aspettato come se lo fosse, con lo stesso entusiasmo!
“Il bizzarro
incidente del tempo rubato” inizia con la storia di Byron Hemmings, un bambino
di dodici anni, precisamente nell’anno 1972. Anno bisestile.
Il mondo si
accorge che proprio per questo la rotazione della terra non corrisponderà più
al tempo indicato sugli orologi e che l’unica cosa da fare è quella di
aggiungere al tempo 2 secondi in più.
Ma Byron non è
convinto di questa cosa, gli sembra piuttosto pericolosa. In due secondi può
succedere di tutto: “Puoi fare un passo in più e cadere in un burrone.” Byron
non si spiega come tutti possano
rimanere tranquilli e che quei due secondi imprevedibili, significano un
momento in più in cui può succedere qualsiasi cosa, mentre per lui inizia una
continua ricerca, un'osservazione attenta di tutto quello che gli sta intorno
per carpire il momento esatto
dell'aggiunta.
Mai si sarebbe
potuto immaginare che proprio l’osservare tutto con occhio diverso avrebbe
potuto cambiare per sempre la sua vita e quella della sua famiglia “quasi”
perfetta.
La sua mamma, da
sempre scrupolosa ed attenta, in una mattina in cui si è in ritardo, come se
fosse una cosa impossibile per loro, prende una scorciatoia che non avrebbero
mai dovuto prendere ed investe con la macchina una bambina con una bicicletta
rossa.
Solo Byron però
sembra essersi reso conto del dramma, nemmeno Lucy sua sorella che aveva gli
occhi chiusi, nemmeno la sua mamma. Nessuno ha visto la ragazzina con la
bicicletta rossa finire sotto la macchina. Ma Byron si fa prendere dal panico e
vuole trovare un modo per rendere sua madre consapevole di quello che ha fatto,
senza sapere che la sua buona azione scatenerà delle conseguenze terribili.
In parallelo
alla storia di Byron, torniamo ai nostri tempi e leggiamo della vita di Jim,
uomo con una strana vita, ricoverato più e più volte in gioventù in un ospedale
psichiatrico, in preda a disturbi ossessivo-compulsivi, che lo portano ad
eseguire dei rituali ogni giorno per essere sicuro che non accada niente di
brutto. L'imprevisto che sconvolge le sue giornate così metodiche, si chiama
Eileen, una donna tutt'altro che metodica e tranquilla e che, forse proprio per
questo suo essere l'opposto di Jim, lo attrae a tal punto da accettare di avere
qualcuno al suo fianco, vivendo una storia d'amore quasi adolescenziale, sia
nei sentimenti che nelle problematiche. Le storie dei due protagonisti sono
apparentemente distaccate ma si capisce immediatamente che c’è una connessione
tra loro. Lo si scoprirà alla fine, ma lo si intuirà immediatamente.
Ma la morale del
libro, non è ne la storia di Byron, né quella di Jim. Quello che il libro ci
vuol far capire è che siamo schiavi di qualcosa che solo un insieme di regole
fissate da qualcuno. Se una cosa si chiama come si chiama e non con un altro
nome, se ci svegliamo alle 6 e 30, se si va a scuola alle 8 e 30 e in ufficio
alle 9, e si pranza in un determinato orario è perché se non lo facessimo ci
sarebbe il caos. Ci sarebbe gente che va al lavoro e gente che pranza e gente
che va a letto. Nessuno capirebbe più cosa è giusto e cosa non lo è. “A volte è stupefacente guardare una cosa e
sapere che, se solo si cambia punto di vista, potrebbe significare altro.”
Ci troviamo
davanti ad una storia diversa da quella raccontata ne "L'imprevedibile
viaggio di Harold Fry" eppure, la Joyce assolutamente non ha perso il suo
tocco magico che sa rendere tutto quasi ovattato, pur essendo estremamente
schietta nella scrittura. Non so spiegarlo ma, ancora una volta, nel leggere
una sua opera, mi sono sentita come sprofondare in un mare di cuscini morbidi,
cullata come in un abbraccio, in una tenerezza senza fine. Ecco, questo è
l'effetto che mi fa Rachel Joyce. E' una carezza, anche quando tratta argomenti
difficili, è sempre e comunque una carezza.
Voto: 8,5
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