Inizio dicendo che questo libro non è certamente un giallo.
Sì, c’è un morto, anzi una morta assassinata, e c’è anche un assassino,
ma non c’è un commissario o un ispettore ad indagare, a scoprire, a
cercare indizi per arrivare a prendere lo sfuggente assassino.
No. Qui l’assassino lo scopriremo subito e sarà per giunta un reo confesso.
Siamo alla fine degli anni ’80 a Perzeghetto Olona, nella nebbiosa
pianura padana. Nebbia che ricopre l’intero paese, ma che permette
comunque alla Irma, sulla sua bicicletta, diretta in chiesa per la
messa, di notare qualcosa di strano nel lavatoio del paese, dismesso da
tempo e dichiarato bene storico.
Sembra, di primo acchito, un mucchio di stracci o un animale morto. Ma la Irma è talmente curiosa che si ferma a guardare.
Tra vicini curiosissimi, perché i pettegolezzi volano, si scoprirà ben
presto che quello è il corpo di una giovane paesana, Nadia Bignami,
appena diciottenne e che il suo assassino è il ventunenne Andrea Costa,
migliore amico del fratello Guido.
Qui finisce praticamente il giallo e l’autrice inizia un romanzo di
introspezione con l’aiuto di un piccolo sotterfugio: “il paese è piccolo
e la gente mormora”.
Ci porterà a conoscere piano piano le storie di Andrea e Nadia e delle
loro famiglie prima e dopo “l’incidente”, e di tutto il paese di
Perzeghetto Olona. Perché ogni abitante del paese avrà qualcosa da dire
sull’accaduto. E le storie del presente si intrecciano con storie o voci
del passato.
Andrea Costa è all’apparenza un bravo e
tranquillo ragazzo, molto studioso e amico fidato del fratello della
vittima. Confesserà immediatamente l’omicidio di Nadia, assicurando però
che non ci sia stata nessuna premeditazione, ma semplicemente una lite e
da parte sua, una spinta, nemmeno troppo violenta, che ha fatto
incespicare Nadia sul pavimento sconnesso e che questa sia caduta
sbattendo la testa sulla vasca di pietra del lavatoio.
Andrea, interrogato più volte dagli inquirenti, non rivelerà mai il
motivo di quella lite, accettando anche di prendere una condanna più
dura.
Nel paese si susseguono pettegolezzi su pettegolezzi, maldicenze,
ingigantimenti, bugie, false notizie. Tutti a rimestare nel torbido.
A rimetterci non sarà soltanto Andrea, ma anche la sua famiglia che
verrà, in qualche modo, accusata in blocco dello stesso omicidio.
La madre di Andrea, Giovanna, è da sempre una persona che cerca di far
parlare poco di sé. Ne hanno già parlato abbastanza in passato, visto
che sua madre l’ha partorita a quindici anni e che non ha mai rivelato
chi fosse suo padre. É stata cresciuta dai suoi nonni materni.
Insomma, sua madre Manuela, detta la “slandra” (la donnaccia, la
mangiauomini) è sempre stata considerata una poco di buono ed è normale,
per la gente del paese, che la mela non può cadere tanto lontano
dall’albero. Marcia la nonna, marcia la madre, marcio anche il nipote.
Con Giovanna si instaurerà facilmente un rapporto di empatia perché è
l’unica con cui Andrea si confiderà, a cui dirà la verità sull’accaduto,
ma che manterrà il segreto perché suo figlio vuole che sia così. É
nell’insieme una donna forte e debole, una donna colta che si è repressa
per non far sentire il marito barbiere non all’altezza. Ha svolto con
costanza e amore il suo lavoro di mamma, anche se avrebbe potuto
aspirare a ben altro. Ma per suo figlio farebbe di tutto, tranne
mentire.
La Emilitri ci farà notare la differenza
tra le due famiglie coinvolte nella tragedia, quella dei Bignami e
quella dei Costa, e le loro reazioni. La prima obnubilata dal dolore
della perdita reagirà sfaldandosi. La seconda, addolorata sia per la
morte della ragazza, sia per la colpa del figlio e la sua
incarcerazione, si stringerà su sé stessa per parare i colpi avversi,
ritrovando una unità mai avuta prima.
Molti personaggi secondari, che si muovono attorno ai protagonisti, ci
regalano dialoghi a volte anche umoristici nell’insieme, ma anche il
disprezzo, le bugie e i segreti.
Tanti.
Tutti a Perzeghetto Olona hanno dei segreti, ma nessuno guarda in casa propria, meglio parlare di quelli degli altri.
Bello, a parte i protagonisti, il personaggio della custode del
cimitero, Bianca Butti, pettegola sì, ma fino ad un certo punto e
propensa ad ascoltare chi ha bisogno di sfogo come le due madri,
Giovanna e Filippa, che grazie a lei troveranno una sorta di
riconciliazione e pace interiore. “Il dolore non ha peso né misura”.
Forse i personaggi che mi son piaciuti meno sono quello della vittima,
Nadia Bignami e quello di suo fratello Guido. Ma non perché non siano
ben costruiti, ma per l’esatto contrario. Sono personaggi costruiti alla
perfezione, ma che per il ruolo che hanno nella vicenda, non si sono
fatti amare.
Protagonista, ma non secondario, è il
paese di Perzeghetto Olona, che con la sua nebbia copre e attutisce
tutto: gioie e dolori, segreti e invidie, maldicenze, storie ambigue,
retaggi del passato, paure presenti, odio e pacificazione. Dove il tempo
scorre lento o veloce a seconda di quello che l’autrice, con maestria,
ci vuole raccontare.
Bello il finale, che ci farà capire, che tutti possiamo avere speranza in un futuro diverso.
Insomma, come detto, un romanzo di introspezione che sa emozionare e
commuovere, e ammetto di aver versato qualche lacrimuccia, ma anche
indignare.
Consigliato!
Silvia Marcaurelio