venerdì 24 gennaio 2020

RECENSIONE - Il gatto striato miagola tre volte. Un romanzo di Flavia de Luce di Alan Bradley

Alan Bradley ci riporta per la nona volta a Buckshaw, a casa de Luce. Flavia è tornata dall’esilio canadese, dopo essere stata espulsa dall’Accademia per signorine della Signora Bodycote, dove i parenti l’avevano relegata. Ad aspettarla il solo Dogger, il fido maggiordomo. Suo padre, il colonnello de Luce, nobile decaduto, è ricoverato per una brutta polmonite.
Ritroveremo anche le perfide sorelle Daffy (Dafne) e Feely (Ophelia) e la cuginetta pestifera Undine, ma nessuno sembra curarsi di lei.
Flavia si sente sola e come spesso succede si rifugia presso la canonica di Bishop’s Lacey, a casa del vicario, dalla moglie Cinthya.
Proprio per aiutare la moglie del vicario oberata di compiti, si offre di consegnare una lettera all’intagliatore del paese vicino, il signor Sambridge. Ma circostanza vuole che Flavia si imbatta di nuovo in un cadavere. Proprio quello del signor Sambrige, trovato ucciso e legato a testa in giù a imitazione dell’uomo vitruviano di Leonardo a un elaborato marchingegno ligneo.
“Ma come potevo raccontare che per me imbattermi nell’ennesimo corpo senza vita era tutto tranne che terribile? Al contrario: era emozionante; era eccitante; era inebriante; era tonificante; per tacere del fatto che era elettrizzante e soprattutto appagante”.
Come al solito Flavia non ci pensa su due volte. Il suo spirito da detective la “obbliga” ad indagare. Tutto nella stanza del morto riporta al celebre scrittore per bambini Oliver Inchbald, anche lui morto in circostanze misteriose. A Flavia non resta che scartabellare in varie biblioteche, parlare con vecchi editori e addirittura scomodare vecchie conoscenze tra i servizi segreti di Sua Maestà.
Flavia si fa un’idea di cosa può essere successo al Signor Sambridge, tutto questo sotto la sorveglianza, nemmeno così accurata, dell’ispettore Hewitt.
In questo capitolo assisteremo anche a una Flavia diversa, un po’ distratta dal fatto che, per un motivo o per un altro, non riesce ad andare in ospedale a far visita a suo padre.
Il libro come al solito è scritto meravigliosamente da Bradley. Condito del solito umorismo impertinente della protagonista e da un horror addolcito dalla giovanissima età (12 anni) della stessa Flavia. Arguta, intelligentissima, impertinente, che non riesce, quasi mai, a starsene zitta.
Il piacere di leggere le avventure di Flavia de Luce è sempre immenso. L’autore riesce a tenerti incollata alla storia, quasi desiderando di tenere compagnia a Flavia mentre sfreccia con la fidata Gladys (la sua bicicletta) per le strade di Bishop’s Lacey, anche se quest’ultimo volume è velato di un po’ di malinconia e forse la nostra Flavia sarà costretta a crescere ancora un po’. Consigliatissimo.
(a cura di Silvia Marcaurelio)

giovedì 16 gennaio 2020

RECENSIONE – La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante



Giovanna, detta Giannì, una ragazzina della Napoli borghese, crede di vivere in una famiglia felice, ma in realtà sta per scoppiare per una relazione extraconiugale del padre e, così, scopre che i genitori non sono perfetti innamorati ma nascondono i loro errori e istinti dietro una facciata di perbenismo. Il suo bel viso inizia a trasformarsi e a imbruttirsi (sebbene il corpo diventi sempre più oggetto di desideri maschili), assomigliando sempre più a quello della zia Vittoria, che da anni non ha più rapporti con il fratello, padre di Giovanna, e vive nella Napoli bassa. Spinta dalla curiosità di conoscere personalmente la zia, Giovanna viene attratta da questo mondo, fatto di povertà, disperazione e violenza. A contatto con la gente del Pescone, Giovanna cambia (smette di studiare, cede alle iniziative sessuali di Corrado, indossa abiti volgari e si trucca pesantemente) ma non smette di cercarsi. La vita bugiarda degli adulti è un romanzo di formazione, sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, che in Giovanna avviene in modo brusco ma logico. È un romanzo di ribellione, ma anche della sporcizia nascosta e delle menzogne degli adulti. Il tutto è narrato dal punto di vista delle donne, sempre al centro dell’universo della Ferrante.
(a cura di Maria Lombardi)

mercoledì 8 gennaio 2020

RECENSIONE - 1793 di Niklas Natt och Dag



Esordio in grande stile per lo scrittore svedese Niklas Natt och Dag, edito per questo suo primo libro da Einaudi. Siamo a Stoccolma nel 1793. La Svezia è appena uscita da una guerra sanguinosa contro la Russia. Il Re Gustavo III è stato assassinato, e la nazione è sotto il pugno di ferro del Lord reggente Gustaf Adolf Reutherlorm, corrotto all’inverosimile, che non si sa per come o per cosa ha dato incarico come commissario di Polizia a Johan Gustaf Norlin, incorruttibile, e quindi scomodo e da rimuovere immediatamente. La Svezia è allo stremo, affamata e sente da lontano il vento della rivoluzione che viene dalla Francia. La paranoia prolifera come un morbo e per i vicoli di Stoccolma si sussurra di cospirazioni e complotti.
In una fredda notte autunnale viene ritrovato nel fetido Fatburen il corpo orrendamente mutilato di un uomo. Il commissario Norlin affida il caso al procuratore Cecil Winge, uomo geniale ma quasi allo stremo delle forze, malato da tempo di tisi. Ad aiutarlo nelle indagini c’è l’uomo che ha ripescato il corpo, Mickel Cardell, facente parte della guardia civica, un reduce della guerra contro la Russia, dove ha lasciato il suo braccio sinistro e forse anche qualcosa d’altro.
Tra i due si crea una collaborazione insperata, vogliono dare un nome al morto del Fatburen. Uno ha la ragione e la pazienza, tanto da saper smontare e rimontare un orologio per intero, l’altro ha la forza bruta, nonostante il braccio mancante, sostituito da una protesi di legno di frassino. Con i pochi indizi che hanno i due cominciano a indagare su chi possa essere quell’uomo. Da una prima ricostruzione, visionando il corpo, capiscono che è stato torturato barbaramente. Qualcuno gli ha asportato un arto per volta, facendo però rimarginare le ferite prima di tagliare di nuovo. All’uomo mancano anche la lingua e gli occhi. Oltre che con i pochi indizi che hanno, Winge e Cardell devono anche lottare contro il tempo, Norlin è stato rimosso, e prima che il nuovo commissario, al soldo del reggente prenda possesso del suo posto, devono trovare l’assassino. Si troveranno a indagare tra i bassifondi e i palazzi del potere, dove gli innocenti spesso finiscono sulla forca al posto dei veri colpevoli, perché non hanno i mezzi per difendersi.
Tra i quartieri degradati e freddi di una Stoccolma di cui l’autore ci fa sentire anche gli olezzi dei fetidi fiumi e dei canali di scolo, il freddo inverno col vento che taglia la faccia. Conosceremo una Stoccolma diversa da quella che oggi conosciamo; una Stoccolma povera all’inverosimile, dove pochi possono permettersi di che vivere, e per farlo, sono costretti a lavorare come schiavi fino alla morte, che giunge relativamente presto. Veramente molto bella l’ambientazione del romanzo, scritto in maniera scorrevole e leggibilissima. Bella la trama storica, che come dice lo stesso autore nella postfazione, ha subito delle piccolissime variazioni, ma si vede il lavoro certosino che c’è sulla sua costruzione. Buonissima l’idea di inserire nel romanzo personaggi veramente esistiti come Norlin, da cui far partire la storia e nel proseguo anche quelli del custode sadico Petter Petterson, dell’ispettore Björkman e del suo acerrimo nemico, il presbitero Neander.
Molto belli e particolari anche i co-protagonisti come Anna Stina e Kristofer Blix che avranno tanta parte nella storia: la prima con una forza e un coraggio incredibili e il secondo che ritroverà la sua anima perduta in un’azione inaspettata. Molto consigliato, sia per chi ama il genere noir, sia per chi ama il romanzo storico. Ben scritto, ben architettato, ben strutturato. Spero che Niklas Natt och Dag, abbia per i suoi personaggi un bel seguito, perché dal finale potrebbero nascere nuove storie, forse non con il procuratore Winge, ma almeno con Mickel Cardell.
Silvia Marcaurelio