domenica 30 luglio 2023

RECENSIONE - Mostri di Emerald Fennell

Questa è la storia di una vacanza cosiddetta “alternativa”. Due ragazzini si incontrano sulle spiagge di Fowey, un paesino della Cornovaglia. Lei è orfana e sta passando le vacanze con gli zii Maria e Frederick, che la ignorano bellamente, a meno che a zio Frederick non venga voglia di andare nella sua stanza. Lei ha una passione morbosa per tutto ciò che riguarda gli omicidi sia in letteratura sia in televisione. Lui, il ragazzino, è un sociopatico e vive con la mamma che lo tratta come un bambino piccolo, tant’è che ogni volta che cresce gli ricuce i vestiti un po’ più grandi ma con le stesse fantasie di elefantini di quando era piccolo. Miles è suo, nemmeno fosse il suo innamorato, lo isola, lo tiene per sé e qualche volta ci fa anche il bagno insieme. I due hanno tredici anni, svariati problemi e si sfogano facendo scherzi atroci. Quindi l’incontro li porta immediatamente a provare una certa sintonia.

Ma non è tutto. Fowey sta attraversando il peggior momento dalla sua fondazione. Tre ragazze sono state ritrovate morte in acqua, e quindi non si possono rilevare tracce.
Ad essere incolpato degli omicidi e il “matto” del villaggio, proprio per la sua vita un po’ al di fuori della normalità. Ma i due ragazzini non ci credono e pensano bene di unirsi e di indagare sul vero assassino che è ancora in circolazione.
Il paese è nelle mani del signor Podmore, un uomo che non esce mai di casa, ma che scrive a tutti i compaesani se c’è qualcosa che non lo convince e che non tollera. Tutti devono fare quello che lui dice e tutti lo fanno, visto che è il padrone delle loro case, dei loro negozi, delle loro vite, quindi.

C’è il venditore di dolciumi, Peter Queen, un solitario vedovo, che pensa alla sua sposa morta pochi minuti dopo il suo matrimonio. C’è il dipendente dell’acquario di Fowley, niente di meno che Albert Fish, che vive solamente per le anguille custodite al museo.
E poi c’è l’agente Nodder, difficile non capire perché i due ragazzini preferiscano trovare l’assassino per contro proprio.
E poi c’è il povero George, quello matto, quello che parlava di Sirene, quelle che è bene metterlo dentro e dargli la colpa, tanto era un rompiscatole da togliere di mezzo, quindi perché non incolparlo degli omicidi?

È un mondo strano quello in cui ci trasporta la Fennell, strano e destabilizzante. C’è una vena di un “non detto” nell’arco di tutta la storia. Leggeremo cose, ma faremo fatica a capire se sono vere o meno, se è frutto di fantasia, o se è proprio così che stanno le cose.

È un giallo inquietante che da voce a due ragazzini, ma che parlano con voce da adulti, perché sono cresciuti in fretta e furia, non hanno “sviluppato” il senso di infanzia. Genitori assenti da una parte, troppo presenti dall’altra, ne hanno fatto due esseri sì senzienti, sì intelligenti e anche molto, ma carenti dal punto di vista emotivo, tanto da farli arrivare ad essere due tredicenni molto crudeli, a volte.

È un mondo dove tutti sembrano essere qualcosa, ma sono ben altro e sta al lettore, attraverso le parole dell’autrice, non proprio volutamente chiare, a sfidarlo a cercare.
Dissociante, a volte stonato, a volte crudele, a volte inquietante e non proprio per bambini, dove si mescolano ambienti in cui regnano l’ordine e la profonda cattiveria, la familiarità e la freddezza e una domanda, che è la più importante: Chi siamo? E qualche volta la risposta è una sola: Mostri.

È un romanzo quasi cattivo, meno giallo del previsto e più psicologico.
Da leggere.

Silvia Marcaurelio


domenica 16 luglio 2023

RECENSIONE - Il metodo del becchino di Oliver Pötzsch

Dopo il successo della saga del Boia di Schongau, Oliver Pötzsch torna a deliziarci con una delle sue storie legate a figure non propriamente in vista all’epoca di cui ci racconta, come già il boia, stavolta lo fa con un becchino, quello del cimitero centrale di Vienna, Augustin Rothmayer.
Nel 1893, data della nostra storia, il cimitero centrale di Vienna è ancora in costruzione, nonostante le file e file di tombe che già contiene. Qui vive e lavora Augustin Rothmayer, il becchino del camposanto che dei suoi inquilini conosce tutti i segreti.

Augustin è testimone oculare di un tentativo di trafugare un corpo appena seppellito. Di solito i furti nei cimiteri di corpi appena seppelliti avvenivano spesso, perché c’erano persone disposte a tutto pur di rimediare dei soldi, e quindi anche a rubare un corpo non ancora decomposto da mettere a disposizione delle ricerche degli scienziati. Ma questo corpo è quello di un cadavere un po’ scomodo, che ha già fatto parlare molto i giornali scandalistici, quello del fratellastro di Johann Strauss, Bernhard.

L’agente Leopold von Herzfeldt viene mandato, per punizione, a ispezionare la tomba aperta. D’altronde lui è un agente in prova, anche se ha un buonissimo curriculum ed ha come mentore niente meno che Hans Gross, il padre della scienza forense, autore del Manuale di criminalistica; ma il commissario capo Stehling e l’ispettore capo Leinkirchner pensano che tutto quello che è nuovo, sia solo una grande buffonata, soprattutto quando il giovane ispettore tende ad essere un po’ troppo saccente.
Così questo incarico “inferiore” gli permette di incontrare il becchino e il suo mondo. Nel frattempo, in città, nella culla del valzer, alcune donne vengono brutalmente uccise e sodomizzate, e lasciate al Prater. Le ricerche che Leopold e gli altri suoi colleghi faranno li condurrà in un mondo sommerso al di sopra di ogni sospetto.

Questo libro, oltre che a regalarci una bella e travolgente storia, ricca di personaggi, sia inventati che veramente esistiti, ci parla del cimitero centrale di Vienna, di presunti morti viventi e vampiri, ma soprattutto è un giallo su un’epoca in cui ebbero inizio tante cose che ci segnano ancora oggi, soprattutto nel campo della tecnologia: telefoni, elettricità, automobili, fotografia, cinema …
Allora tutto questo si sviluppò in un susseguirsi talmente rapido che per molti era eccessivo.
In questo senso, l’epoca attorno al 1900, ricorda un po’ da vicino i nostri tempi odierni, dove l’evoluzione è considerata da molti troppo veloce e confusa.
Questo vale anche per la lotta al crimine. Proprio in quel periodo nacquero nuovi metodi di indagine che avrebbero cambiato per sempre il mondo dei detective, dei commissari, dei delinquenti e degli assassini.
Per ammanettare il colpevole non si usavano più soltanto l’acume e il celebre fiuto, ma anche la fisica, la psicologia e la chimica e l’autore è bravissimo a raccontarcelo pagina dopo pagina, unendo verità e fantasia in un mix perfetto.
Belli i personaggi di Leo e Julia, i due giovani che uniranno le forze per cercare di venire a capo di un bell’intrigo. Bello anche il personaggio di Andreas Jost, la recluta della polizia con tanta voglia di imparare. Perfettamente tracciato il personaggio di Leinkirchner, fatto apposta per farlo risultare da subito antipatico, anche se … Non vi resta che leggerlo!

Silvia Marcaurelio



mercoledì 24 maggio 2023

RECENSIONE - I leoni di Sicilia. La saga dei Florio vol. 1 di Stefania Auci (di Maria Lombardi)

 


È una saga familiare che narra, attraverso le vicende che vedono coinvolte tre generazioni, settanta anni di storia locale e nazionale.

Il racconto è incentrato sulla famiglia Florio, senza dimenticare i fatti storici che ruotano attorno ai protagonisti; anzi, talvolta proprio gli eventi storici influenzano le vicende della narrazione e le vite dei personaggi.
Tutto ha inizio nel 1799, quando gli ambiziosi fratelli Paolo e Ignazio, decisi a migliorare le loro condizioni di vita, lasciano Bagnara Calabra, i loro affetti e la società con il cognato e sbarcano a Palermo.
In poco tempo, grazie alla loro ostinazione e al lavoro duro, rendono la loro aromateria la migliore della città e gettano le basi di un impero che comprenderà il commercio dello zolfo, l’acquisto di case e terreni degli ormai squattrinati nobili palermitani, le compravendite di merci, le tonnare, le produzioni vinicole e le flotte di navi per gestire i trasporti.
I Florio, tuttavia, faticano a essere accettati dalla società palermitana, nella quale una nobiltà decaduta e squattrinata si oppone ostinatamente alla nascita di una borghesia commerciale e imprenditoriale: i due fratelli sono visti come facchini, “putecari”.
Il romanzo rende omaggio al coraggio delle donne, in un'epoca in cui la loro sorte era “mischina”: il loro compito, infatti, si limitava a procreare possibilmente figli maschi, gli unici a ereditare, mentre il maschio comandava e incuteva timore e rispetto.
Più che romanzo storico, “I leoni di Sicilia” può essere considerato un documentario romanzato: numerosi, infatti, sono i rimandi alle vicende politiche dell’epoca che influirono sullo sviluppo economico e sociale della Sicilia. I capitoli sono introdotti da una breve premessa storica che inquadrano gli eventi più salienti del periodo narrato e che giustificano realisticamente il vissuto dei protagonisti.
Non mancano detti popolari ed espressioni dialettali che rendono più reali e umani i protagonisti.
La struttura della trama è semplice e la lettura è piacevole. I personaggi sono ben caratterizzati e le scene descrittive sono piene di profumi, colori e oggetti che trasportano il lettore nei luoghi e nei tempi narrati.

lunedì 1 maggio 2023

RECENSIONE - Delitti d'élite. Un crimine letterario di Philip Wylie e Bernard A. Bergman

Prima pubblicazione per la nuova giovanissima casa editrice viterbese Settechiavi.
Il debutto tra gli editori è con l’uscita di un romanzo pubblicato solo negli Stati Uniti nel 1935 a opera del duo Philip Wylie e Bernard A. Bergman. Nella sua prima uscita negli Stati Uniti, il libro uscì in pochissime copie e in forma anonima. Ricevette diverse recensioni molto positive su rubriche di giornali e riviste dedicate alla narrativa poliziesca, ma in tutto vendette 2.984 copie tra l’11 marzo 1935 e il 30 giugno 1937.
Altre recensioni vennero scritte anni dopo fino ad arrivare al 1969, dove a Jerry Ward fu commissionata la stesura di una sceneggiatura per farne un film, che non verrà mai alla luce. Però questo diede modo a Ward di scoprire l’identità dell’autore. Acquistando una copia del libro, quasi introvabile, il suo libraio ne scovò uno usato con un autografo sul frontespizio.

Il libro è piccino, poco più che un racconto. Infatti è di poco sotto le duecento pagine. È un giallo molto ben fatto e ha decisamente una trama molto originale.
Quando il critico di gialli Wendell Hyat viene trovato morto, riverso in una doccia, con un ghigno gelido, in occasione di un tè letterario che serviva da presentazione del suo ultimo libro, Da Poe alla pletora (sottotitolo: Quando G.K. Chesterton, S.S. Van Dine, Sax Rohmer e Dashiell Hammett si ritrovarono alle prese con un omicidio), il sergente della polizia Michael “Mike” O’Casey, si ritrova con una lista infinita di sospettati.
Ma non solo. Fra gli invitati del tè letterario vi figurano quattro grandi famosi giallisti che si intestardiranno a voler a tutti i costi indagare sull’omicidio.

I personaggi in questione sono niente meno che G. K. Chesterton autore dei libri di Padre Brown, S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright) autore dei libri di Philo Vance, Sax Rohmer (pseudonimo di Arthur Henry Sarsflield Ward) autore dei libri sul criminale Fu Manchu, e Dashiell Hammett autore dei libri sui personaggi di Continental Op e Sam Spade nominati proprio dal critico letterario nel sottotitolo del suo libro.
Come è prevedibile, ogni scrittore vuole svolgere la propria indagine personale, utilizzando il “modus operandi” del personaggio in cui si identifica. Quindi per Chesterton sarà padre Brown, per Van Dine sarà Philo Vance, per Sax Rohmer Fu Manchu e per Hammett, oltre che scrittore anche investigatore, sarà quello di tirare fuori la sua pistola in ogni momento.

La trama si evolve grazie all’interazione dei quattro detective con il detective O’Casey e con l’attore John Ballantine, che è anche il narratore della storia.
Nella casa, tra gli invitati, figurano anche altri personaggi di spicco del mondo reale riconoscibili. Alcuni Vanderbilt, qualche Astor, George Gershwin e altri inventati di sana pianta come lo stesso John Ballantine e il detective O’Casey.
Ci troveremo così a rincorrere eventuali assassini che ogni scrittore penserà di riconoscere, utilizzando i metodi investigativi delle loro creazioni, arrivando al colpo di scena finale, che farà crollare il muro di carta creato dagli stessi scrittori.
Per essere un romanzo del 1935 devo dire che ancora funziona, e molto, molto bene. L’intreccio costruito dai due autori è piacevole. Si passa da una storia all’altra, da un indizio all’altro, che poi si rivelano insufficienti, oppure vengono soppiantanti da altro. Ognuno degli scrittori rincorre la sua verità, pensando che la “sua” sia quella vera e giusta. Ognuno avrà modo di accusare qualcuno e gli altri penseranno a smontare le accuse dicendo la propria. Fino all’epilogo finale, con il colpo di scena, che nei gialli seri non manca mai.

È una vera parodia, escogitata benissimo dai due autori che ci fa pensare che conoscessero bene le opere dei quattro grandi autori di gialli.
Le loro caratterizzazioni sono esasperate, ma accurate. Il libro è una lettura piacevole, e la sua attrattiva sta nelle situazioni intriganti e divertenti che si vengono a creare durante le investigazioni, piuttosto che in qualche elemento di suspense.
Consigliato!

Silvia Marcaurelio


 

giovedì 6 aprile 2023

RECENSIONE - L'imprevedibilità del bene di Angelo Longoni

 

Da bravo sceneggiatore qual è, Longoni ha “tirato” su un thriller dal ritmo spasmodico, una serie tv mozzafiato. Ti capita di pensarlo con decisione, sfogliando le pagine del suo ultimo romanzo, L’imprevedibilità del bene.
L’inizio è strano, per più di cinquanta pagine non sappiamo dove l’autore sia intenzionato a portarci e lo fa presentandoci una serie di personaggi da una parte all’altra del mondo. Alcuni moriranno, altri no.
Tra tutti ne spiccano due, che capiamo essere i protagonisti del romanzo.
Il primo è Franco Rocchi, o come ormai tutti lo chiamano quando lo vedono, Zippo alias il commissario Cardone. Franco è un attore. È il protagonista di una famosa serie di assoluto successo. È talmente calato nella parte che ormai anche la sua vita si è trasformata in quella del suo personaggio e lui stesso non riesce più a capire dove sia la finzione e dove la realtà, anche se ben presto lo scoprirà. Sconclusionato come pochi, con un matrimonio al capolinea, sempre sotto l’effetto di stimolanti o benzodiazepine; per lui è tutto un “eccesso”. Reagisce malissimo quando gli comunicano che la serie tv è stata cancellata. La sua rabbia è alle stelle.

Il secondo protagonista è Daniele Lucci, regista della serie tv del commissario Cardone e amico di Franco. L’unico a essergli stato vicino e ad aver lottato per lui quando aveva scoperto di avere il cancro. Anche lui è stato fatto fuori, ma almeno può gioire per l’esito della TAC che lo dichiara in remissione. Lui, a differenza di Franco, è un uomo di sani principi, con i piedi per terra. Ama moltissimo sua moglie Elena ed è a sua volta riamato; adora le sue figlie e farebbe di tutto per la sua famiglia. Perdere il lavoro lo ha rattristato, ma le cose importanti della vita sono altre, quindi non si è abbattuto come il suo amico Franco.

I due in un tragico giorno finiranno per fare qualcosa di terribile e si troveranno invischiati in un gioco più grande di loro. Dal nulla si troveranno a doversi difendere, e a difendere i loro affetti, da criminali incalliti veri e non quelli presunti che interpretavano il ruolo e che venivano diretti in tv. Ma non saranno soli. Ad aiutarli un manipolo di uomini e donne che lavorano segretamente a un grande progetto. Un progetto che porterà ai due mille dubbi, a farsi mille domande sulla moralità, su quello che stanno vivendo e facendo.
Il libro ha un ritmo incalzante, da thriller televisivo. È dinamico e veloce con continui cambi di scena. É incalzante e pieno di suspence.
L’azione è descritta dai diversi personaggi che in quel momento la interpretano. Una volta Franco, una volta Daniele, altre i loro congiunti. Ognuno con la propria visione dei fatti.
L’argomento che tratta è inaspettato, destabilizzante ma molto attuale, delle volte atroce e crudele.

L’autore è bravissimo a trattare questi temi, creando dei personaggi carismatici a tratti cinici, ma profondi, schietti nel parlare e molte volte ambigui nell’essere.
Infatti, come già detto, uno dei temi principali del romanzo è proprio la morale dei due protagonisti che viene continuamente messa alla prova, e l’autore in questo modo ci sfida a riflettere, a fare una scelta per puro istinto conservativo, senza pensarci troppo, senza ascoltare il cuore.
Franco e Daniele saranno due protagonisti che, nel bene e nel male, sapranno farsi valere e volere bene. Con tutta la loro imperfetta umanità, la loro vita normale, viste senza nessun filtro del cinema e della tv. Con la paura per le loro vite e quella dei loro affetti, che durante tutto il romanzo vengono messe sotto pressione. Perché combattere il male, fare ciò che si può, dove non c’è alternativa, e nemmeno i risultati possono essere garantiti come in un film, fa una grande differenza.
Molto, molto, molto bene! Consigliatissimo!

Silvia Marcaurelio

https://contornidinoir.it/2023/04/angelo-longoni-limprevedibilita-del-bene/?fbclid=IwAR0IVuTVq-Lw75O1XEBHoTVwERACGZE0jmNsdJV7Kfb1Dg1vJD_Bb6nKXq8

lunedì 27 febbraio 2023

RECENSIONE - Miss Merkel e l'omicidio al cimitero di David Safier

Secondo volume di Angela Merkel investigatrice. La ex cancelliera, dopo aver risolto l’omicidio al Castello di Freudenstadt, si ritrova di nuovo senza far niente, se non portare a passeggio il figlioletto della sua amica Marie, insieme al suo inseparabile carlino, ormai non più Putin ma Puzzy.
Ma Angela si annoia e pensa che un altro bell’omicidio non sarebbe poi così male, pentendosi immediatamente dei suoi malevoli pensieri. D’altronde il suo Achim ha i suoi passatempi, e si trova nei Pirenei con un suo amico a fare trekking, cosa che lei odia a morte. Come Churchill, anche lei odia fare movimento.
Durante una delle sue passeggiate con Adrian, il figlio di Marie, Angela cerca frescura al cimitero del paese e nel mentre passa con la carrozzina e l’immancabile carlino, fa la conoscenza di un uomo, che assomiglia ad un attore del cinema francese di altri tempi e per questo viene immediatamente soprannominato Aramis, anche se il suo vero nome è Kurt Kunkel e fa l’impresario funebre.

Angela comincia a conversarci e scopre che l’uomo, è un amante come lei di Shakespeare, soprattutto del fatto che il bardo non sia il vero scrittore dei famosi testi. Ma mentre parlano, vengono interrotti da un uomo che urla di volere i suoi soldi e non solo a lui, ma che litiga anche con un altro uomo a cui viene consegnata una polaroid, di cui non sembra affatto contento.
Angela non si è mai sentita così coinvolta da un uomo, nemmeno dal suo Cicci. Sente che con Aramis può parlare di qualsiasi cosa e poi è un uomo molto bello e quindi da lì ad essere invogliata a passeggiare per il cimitero il tempo è molto breve. Ma è proprio durante una di queste passeggiate con Puzzy, che i due scoprono il cadavere di un uomo, sepolto a testa in giù con i piedi che fuoriescono dal terreno e che indossano stivali di gomma.
Con il commissario Hanneman alla guida delle indagini Angela sente che non riuscirà mai a capire chi è l’assassino e quindi è ora di tornare in campo come detective.
Mano a mano che la storia si dipana conosceremo i vari personaggi che prenderanno parte a questo secondo episodio della Merkel trasformata in detective dalla penna sapiente di Safier.

Come sempre c’è una storia passata che incombe sul presente, e che è l’elemento principale su tutto ciò che ruota intorno.
Due impresari funebri, una morte che non è proprio accidentale, una donna, un segreto, tre figli. Nonostante la faccenda si faccia ingarbugliata, l’unica che può sbrogliare la matassa è proprio Angela Merkel. A proteggerla come sempre c’è Mike, anche se in questo episodio è un po’ deconcentrato.
La trama è ben orchestrata, anche se il libro è più umoristico che noir. Ci sono infatti delle scene che strappano più di qualche risata. Lo stile dell’autore è semplice e chiaro e non manca di fare riferimento a un suo grande successo, Il Karma della formica, con una semplice frase:
Era una situazione surreale, tanto che le vennero in
mente i pensieri più assurdi: se Aramis fosse stato davvero
un eroe dei film di azione con scatto felino sarebbe saltato
sulla mucca e l’avrebbe energicamente bloccata. Ma l’impresario
non fece nulla del genere.
Quindi lei sarebbe morta, pensò. Angela. Calpestata da
una mucca di nome Luise. C’erano dipartite più eleganti. Ma
almeno non era lontana dalla tomba.
E se si fosse reincarnata in una mucca?
Oppure il suo karma non le consentiva di andare oltre la
formica?

Libro adatto a chi ama i gialli sì, ma con molta, molta leggerezza.

Silvia Marcaurelio

 

venerdì 10 febbraio 2023

RENCENSIONE - Sindrone cinese a Genova. La nuova indagine dell'investigatore Astengo di Andrea Novelli

Genova, giorni nostri.
L’investigatore privato Michele Astengo è alle prese con il tentativo da parte di Dalia, sua segretaria, compagna di tango e “fidanzata”, di modernizzare la loro immagine, per cercare di vendere il “prodotto”. Anche se in poche parole, lui è l’unico ad eseguire quell’elenco di compiti brillantemente esposti sul nuovo sito internet appena creato, non contando Corrado, il suo fido collaboratore, che anche se affetto da nanismo, mangia come uno scaricatore di porto, soprattutto quando si tratta della famosa focaccia genovese.
Mentre sta scegliendo tra le foto fatte per inserirle nel sito ed una chiacchiera con Corrado, sempre alla ricerca di qualche lavoretto da fare, di punto in bianco, Astengo vede planare nel suo studio un ragazzino dai tratti orientali, balzato all’interno dalla finestra aperta.
Poco dopo, alla sua porta, si presentano due bruttissimi ceffi, anche loro dai tratti orientali, uno con un’orecchia mozzata e l’altro con una coda di cavallo, chiedendogli se avesse visto un ragazzino cinese di nome Peng.
Dal nulla ad avere un caso, anche se non retribuito, conoscendo Astengo, il passo è breve.
Infatti, l’investigatore capisce subito che la situazione del ragazzino è delicata, viste le facce dei due ceffi che lo cercano e soprattutto perché, dall’altra parte della strada, c’è il suo amico ed ex collega Bazzano, chiamato per l’omicidio di un cinese.

Dagli episodi precedenti, si conosce la mania di Astengo per il lavoratore cinese che osserva sempre dalla finestra del suo studio e in questo episodio, riusciremo finalmente a venirne a capo.
La faccenda del ragazzino e del pericolo che corre comincia a sembrare un po’ più chiara, anche se la difficoltà della lingua rende le cose più complicate.
Astengo si troverà ben presto, senza volerlo, implicato in un caso delicato che riguarda la comunità cinese in Italia, con i loro interessi e profitti, non proprio tutti alla luce del sole.
I suoi avversari sono temibili perché molto potenti e soprattutto protetti e la sua esperienza e il suo intuito potrebbero non bastare.

Come sempre la città di Genova fa da sfondo alle imprese di Astengo, e in questo episodio assume anche un ruolo da protagonista assoluta, come porto strategico in Europa per la Nuova Via della Seta.
Riuscirà Astengo, aiutato dai suoi fidi amici Dalia, Corrado e l’ispettore Bazzano, più il 4 zampe Banksy ad aiutare Peng? Astengo dovrà combattere con i demoni più oscuri, quelli che rendono quasi impossibile o anche solamente illusoria e velleitaria, la scoperta della verità.
Devo ammettere che l’investigatore Astengo, in questo quinto episodio risulta essere più cupo, più scontroso, rispetto alle precedenti avventure.
Forse l’autore, prima in coppia con il compianto Giampaolo Zarini, ha voluto dare una impronta tutta sua dell’investigatore, anche se già lo conoscevamo come persona abbastanza diretta, suscettibile e irritabile.

Adoro invece il personaggio di Corrado, continuamente vessato per il suo handicap, anche se in maniera molto scherzosa. Ma in questo episodio scopriremo che botte piccola, contiene un vino molto buono.
Dell’autore adoro in particolare la parte descrittiva della città di Genova. Si vede che la conosce a menadito, in tutte le sue vie e vicoli. Sembra di esserci dentro e di muoversi insieme ai protagonisti.
Nell’insieme un bel giallo, con una trama ben congegnata con una scrittura di facile comprensione, che rende la lettura piacevole. Il più delle volte si riesce anche a sorridere, soprattutto quando Astengo e Corrado si lasciano andare e se ne sentono delle belle.

Silvia Marcaurelio

 

lunedì 23 gennaio 2023

RECENSIONE - Un'altra storia di Luca Ongaro

In un passato distopico l’Italia non ha mai perso la battaglia di Adua del 1896 e nel 1956 si ritrova ancora ad essere un regno sotto i Savoia, a non aver mai partecipato alle guerre mondiali, ad avere al governo Pella e Fanfani, dopo un ventennio di governo Matteotti e Mussolini è ormai soltanto un patetico ministro delle Colonie.
La vita del Commissario Campani, passata tra Macallé e Wukro, è una vita molto ordinaria. Nato a Wukro da genitori italiani, mandato a studiare in patria quando ne ha avuto l’età ha preso una laurea in Giurisprudenza, ma è tornato in Eritrea per nostalgia. Francesco Campani ama la sua “casa” dove ha tutto quello che può desiderare. Un paesaggio stupendo, che si affaccia sull’altopiano, un fiumiciattolo che scorre vicino casa, uno splendido frutteto pieno di bontà e soprattutto un albergo, una stazione di servizio e quanto altro l’acume imprenditoriale di suo nonno gli avevano fatto sviluppare, con quel pezzo di terreno ricevuto dopo la vittoria di Adua.

Una mattina di caldo afoso come molte altre, mentre è alle prese con le solite scartoffie, viene interrotto dal suo fido secondo, ispettore Araya, che gli comunica che un certo dottor Amurri, un archeologo che sta lavorando sul sito di Romanat, gli vuole parlare.
Il dottor Amurri si presenta con una scatola contente un teschio. Spiega a Campani che non è un teschio antico, e che sicuramente la persona che era, è morta ammazzata.
Da questo antefatto comincia l’indagine per niente facile per Francesco Campani che si dovrà dare da fare per dare un nome a quel teschio che per ora riposa in una scatola sulla sua libreria.
Nel corso dell’indagine il simpatico commissario è aiutato da tre figure fondamentali: l’ispettore Araya con cui ha un rapporto molto confidenziale e Salvatore e Kokeb, i due dipendenti del suo albergo, che per lui sono più di una famiglia.
Oltre al cold case, Campani dovrà anche affrontare una sorta di rigurgito nazionalista da parte del governo italiano e delle sovversioni da parte degli eritrei che lottano per la loro indipendenza.

L’autore caratterizza Francesco Campani come un lupo solitario, che non si accontenta di ciò che gli viene proposto dai suoi amici, tutti propensi a farlo sposare. Pensa che l’amore arriverà quando se ne renderà conto. Ed è proprio mentre indaga che appare sulla sua strada la Dottoressa Emma Giusti, una donna indipendente che lotta in un mondo lavorativo prettamente maschile, senza farsi mettere i piedi in testa.
E questo lo scoprirà anche il bel Campani, che rimarrà folgorato sulla via di Damasco tra simpatici scontri verbali visto la caparbietà di entrambi.
Tra chiese rupestri, paesaggi sconfinati e i primi fermenti dell’indipendenza eritrea, riuscirà Campani a portare a termine ciò che ha promesso a quel teschio nella scatola?

Divertente giallo che ci riporta in un contesto storico particolare, anche se fittizio. Romanzo in parte vero, in parte no e come ci spiega lo scrittore alla fine, molte connotazioni storiche geografiche sono state piegate e distorte per far funzionare il romanzo e la narrazione. L’autore ha creato qualcosa di nuovo e ideato, altresì, dei personaggi simpatici e divertenti, che parlano di argomenti comunque importanti, ma con una sorta di leggerezza, tra i quali l’oppressione di un popolo sottomesso o la mancanza di un bene importante quale può essere l’acqua.
La trama gialla è perfetta, l’intreccio tra storia e personaggi e pure qualche risata ci risollevano anche l’anima. La scrittura è di facile comprensione, c’è sempre la voglia di continuare a leggere per vedere effettivamente come la storia vada a finire.
Spero di ritrovare presto il Commissario Campani alle prese con la sua Emma e con altri casi da risolvere.

Silvia Marcaurelio

 

venerdì 13 gennaio 2023

RECENSIONE – Viaggiando mi sento a Casa di Alessandro Nicoloso

É proprio vero. Il viaggio non inizia quando parti, ma quando cominci a programmarlo, a fare sogni, pensieri. Cosa mi porto? Che gente incontrerò?

É già questo un viaggio, anche solo nella fantasia di quello che sarà, e l’autore è un mago dei sogni.

Alessandro Nicoloso in questo suo secondo libro svela un altro pezzo di sé stesso. Quello che fa di lui l’uomo che è diventato, restando appeso ai sogni e alle passioni di quando era bambino prima, ragazzo poi, uomo adesso.

É la storia di un po’ tutti noi viaggiatori, che appena torniamo da un viaggio, già pensiamo al prossimo.

É una storia intima, perché l’autore si mette a nudo, e non ha paura di farlo.

Svela sentimenti, ansie e angosce, soprattutto quando ci parla del periodo del lockdown, con noi viaggiatori ancora più ansiosi perché costretti in casa a viaggiare solo con la mente, perché di viaggi veri non se ne parlava. E il mondo sembrava impazzito, e quello che conoscevamo non esisteva più.

Allora quello che ci descrive nelle sue pagine diventa un viaggio fantastico, fatto esclusivamente di sogni e di musica (Quella non manca mai. Idea geniale la playlist su Spotify e il collegamento con il codice QR alla fine di ogni racconto). Ed è per questo che cita spesso Salgari, un altro viaggiatore dei sogni, che pur non avendo mai viaggiato, ha raccontato storie di posti strabilianti, facendo sognare milioni di ragazzini.

L’autore ci dice che se uno viaggia un posto se lo crea da solo. Può essere una vera città o una città che si sogna. Non sia mai che poi quel sogno diventi reale e quella città diventi “casa”.

Viaggiare è un sogno, essere a casa ovunque ci si trovi è la cosa più affascinante che c’è del viaggio in sé. Assaporare cibi, incontrare gente diversa da noi, culture diverse, ma sentirsi comunque parte del mondo che ci ospita.

Poi ci sono i viaggi fantastici, quelli del cuore, quelli che faresti con le persone che ci sono e con quelle che non ci sono più. Siano parenti, calciatori, cantanti e attori, tutti sullo stesso scuolabus con una meta precisa, il posto più bello del mondo, il cuore dell’autore.

Ci sono viaggi di lavoro, quelli di piacere e quelli fantastici … l’importante è sempre sentirsi a casa ovunque si vada.

Diario intimo di una persona perbene, che non ha mai smesso di sognare e mai lo farà. Di una persona che preferisce la notte per la sua intimità, per quella solitudine che ti aiuta a pensare, con i rumori attutiti e le luci artificiali a creare piccole oasi di pace e pensieri leggeri.

Grazie Ale!

Silvia Marcaurelio

martedì 3 gennaio 2023

RECENSIONE - CIAO CIAO COMMISSARIO di Giacomo Faenza


 «E allora lascia perdere, Pirrone, che te ne fotte?»

«Ho promesso alla mano di renderle giustizia.»

«A chi?!» strabuzzò gli occhi l’avvocato Cacace.

Pirrone svuotò il bicchiere di rosso tutto d’un fiato:

«Alla mano che faceva ciao ciao».

«Pirrone, tu sei tutto matto!»
È proprio da una mano che saluta il commissario Pirrone che nasce tutta la storia narrata in questo romanzo.
Pirrone è un letterato mancato. La vita non lo ha trattato benissimo, almeno fino a ora. Sua moglie è morta giovanissima lasciandolo da solo con una bimba piccola e quindi, il nostro, ha dovuto rimboccarsi le maniche e prendere ciò che gli veniva proposto: un posto da commissario.
Ormai sono passati venticinque anni. Anna, sua figlia è grande, e ha preso il suo posto. É una letterata in gamba e insegna in America da anni, continua a studiare per realizzare il suo sogno e un po’ anche quello del padre, insegnare ad Harvard.
Pirrone invece si barcamena, alla meno peggio, tra la vita del commissariato Roma Nord, e quella privata con la sua fidanzata Paola, attrice di spot, che non vede quasi mai.
In una giornata di torrida estate, Pirrone e i suoi fidi scudieri, ironicamente parlando, Lo Cascio ed Esposito, sono chiamati per un delitto. Un cadavere di una donna è stato ritrovato semi-sepolto a Monte Gelato.

Arrivati sul posto, il commissario nota la mano della morta che è come se lo salutasse, e gli chiedesse nel frattempo di farle giustizia, di trovare chi l’ha ammazzata.
Pirrone è un uomo particolare e nella sua mente rivivono i filosofi, i condottieri di cui parla la letteratura antica e qualche volta questi, gli appaiono e gli rivelano dettagli importanti per sbrogliare le situazioni più complicate, sebbene sia un segreto che lui custodisce gelosamente.
Da subito l’indagine sembra complicata, di indizi non ce ne sono, la morta non ha nome e nessuno la reclama. In più la nuova PM, la dottoressa Righi, sceglie solo di portare avanti casi facili, che la facciano vincere e le diano notorietà. E una donna morta senza nome non lo può fare di certo.
Pirrone e i suoi uomini si trovano di fronte a un sacco di muri e appena scoprono qualcosa che sembra portare alla soluzione del mistero, subito questo si infittisce di nuovo. Come se ci fosse qualcuno a muovere delle pedine e che sia sempre un passo avanti.

Il commissario è un uomo che crede fermamente nella vera giustizia e non in quella dei tecnicismi dei tribunali, dove spesso i colpevoli vengono assolti per dei cavilli. É innamorato della sua terra, appassionato di storia e letteratura antica, tanto da rivivere nelle opere dei grandi filosofi o parlare di strategie con i grandi condottieri.
Ma in questo romanzo la farà da padrone soprattutto il tradimento. Tutti i personaggi che Pirrone incontrerà sulla sua strada, che gli parleranno per dargli delle “dritte” per risolvere il caso gli parleranno di tradimento.
Importanti personaggi del passato lo metteranno sul chi vive, soprattutto sulle persone a lui vicine, che mai penserebbe lo potrebbero tradire.

La morale della storia è proprio questa, l’accettazione da parte di Pirrone che non tutti possono accettare le conseguenze delle loro azioni e che non tutti si fanno scrupoli a non rispettare la legge e a costruirsi un loro ideale di giustizia.
A parte i personaggi storici di cui parla questo romanzo, che non sto nemmeno a commentare, vista la loro grandezza, ci sono i protagonisti come il commissario Pirrone. Grande morale, grande personalità un po’ offuscata dagli eventi della vita, elevata cultura e quel piccolo particolare di essere un supereroe un po’ super partes (visto le citazioni latine di cui è intriso il romanzo, mi sono presa la briga di citarne una anche io). E poi il duo … I nuovi Totò e Peppino? Stanlio e Ollio? No, troppo intelligenti. Lo Cascio ed Esposito sono il prototipo dello Scemo+Scemo. I classici personaggi che pensano che a delinquere siano solo i migranti; che loro possono sporcare la città, basta che siano loro a farlo e non uno straniero; ignoranti che ignorano, e che usano la divisa per sentirsi forte col più debole. Insomma proprio due stro… E l’altro fine personaggio, che a dire la verità, ho forse amato più di Pirrone, è l’avvocato Cacace. Personaggio creato ad arte da Faenza, forse il più riuscito.

Quello che con Pirrone fa le battaglie a colpi di citazioni latine e greche, che lo introduce al simposio dei letterati, che lo tratta da amicone, ma mai alla pari. Avvocato di Cassazione, ricco e con i boss della malavita come clientela, che non si fa scrupolo a dire a Pirrone che la giustizia vera non esiste, la giustizia è solo quella dei tribunali che decidono chi è colpevole e chi no.
Il romanzo si legge bene, nonostante sia intriso di famose citazioni latine e greche, perlopiù tradotte nella riga che segue. L’idea nel contesto è molto buona, a tutti ci piacerebbe poter incontrare certi personaggi storici famosi, figuriamoci poi se ci potessero dare delle dritte.
E poi sullo sfondo Lei. Roma che osserva il tutto dall’alto con la noncuranza di una dea.

Silvia Marcaurelio