Ma non è tutto. Fowey sta attraversando
il peggior momento dalla sua fondazione. Tre ragazze sono state
ritrovate morte in acqua, e quindi non si possono rilevare tracce.
Ad essere incolpato degli omicidi e il “matto” del villaggio, proprio
per la sua vita un po’ al di fuori della normalità. Ma i due ragazzini
non ci credono e pensano bene di unirsi e di indagare sul vero assassino
che è ancora in circolazione.
Il paese è nelle mani del signor Podmore, un uomo che non esce mai di
casa, ma che scrive a tutti i compaesani se c’è qualcosa che non lo
convince e che non tollera. Tutti devono fare quello che lui dice e
tutti lo fanno, visto che è il padrone delle loro case, dei loro negozi,
delle loro vite, quindi.
C’è il venditore di dolciumi, Peter
Queen, un solitario vedovo, che pensa alla sua sposa morta pochi minuti
dopo il suo matrimonio. C’è il dipendente dell’acquario di Fowley,
niente di meno che Albert Fish, che vive solamente per le anguille
custodite al museo.
E poi c’è l’agente Nodder, difficile non capire perché i due ragazzini preferiscano trovare l’assassino per contro proprio.
E poi c’è il povero George, quello matto, quello che parlava di Sirene,
quelle che è bene metterlo dentro e dargli la colpa, tanto era un
rompiscatole da togliere di mezzo, quindi perché non incolparlo degli
omicidi?
È un mondo strano quello in cui ci trasporta la Fennell, strano e destabilizzante. C’è una vena di un “non detto” nell’arco di tutta la storia. Leggeremo cose, ma faremo fatica a capire se sono vere o meno, se è frutto di fantasia, o se è proprio così che stanno le cose.
È un giallo inquietante che da voce a due ragazzini, ma che parlano con voce da adulti, perché sono cresciuti in fretta e furia, non hanno “sviluppato” il senso di infanzia. Genitori assenti da una parte, troppo presenti dall’altra, ne hanno fatto due esseri sì senzienti, sì intelligenti e anche molto, ma carenti dal punto di vista emotivo, tanto da farli arrivare ad essere due tredicenni molto crudeli, a volte.
È un mondo dove tutti sembrano essere
qualcosa, ma sono ben altro e sta al lettore, attraverso le parole
dell’autrice, non proprio volutamente chiare, a sfidarlo a cercare.
Dissociante, a volte stonato, a volte crudele, a volte inquietante e non
proprio per bambini, dove si mescolano ambienti in cui regnano l’ordine
e la profonda cattiveria, la familiarità e la freddezza e una domanda,
che è la più importante: Chi siamo? E qualche volta la risposta è una
sola: Mostri.
È un romanzo quasi cattivo, meno giallo del previsto e più psicologico.
Da leggere.
Silvia Marcaurelio