lunedì 15 giugno 2015

RECENSIONE – L’isola della Sacerdotessa dell’amore di Christopher Moore


Questa volta Moore ci porta in cielo … metafora del volo di un aereo e del nostro protagonista, uno sfigato pilota di aerei, nonché del suo ater-ego in modalità fantasma. Tucker Case, è “uno sfigato allo stadio terminale, messo a forza nel corpo di un gran figo”. Il suo lavoro è quello di pilotare l’aereo della Mary Jean Comestic Corporation. Ma Tucker non è molto intelligente e spesso a ragionare per lui è il suo pene. Spesso e volentieri è ubriaco e la sua “intelligenza” scende ad un livello minimo. Una sera come tante, annoiato e ubriaco seduto in un bar, conosce una bellissima ragazza. Questa lo sfida a fare sesso in volo e lui, annebbiato dall’alcool accetta. Mentre fanno sesso, qualcosa non funziona e Tucker precipita rovinosamente distruggendo il Gulfstream rosa della sua datrice di lavoro e mezzo aeroporto. Ricoverato in ospedale, con il suo pene ridotto in brutto stato, ricorda che qualcuno era al suo fianco, mentre l’aereo stava uscendo di pista … un uomo vestito da aviatore … Mentre è sul suo letto di dolore, Tucker riceve la proposta di un certo Dottor Curtis e da sua moglie, che gestiscono una missione umanitaria sull’isola di Alualu, un avamposto sperduto in Micronesia. Dovrà pilotare per loro un nuovo Learjet e potrà guadagnare moltissimi soldi. Visto che Mary Jane gli ha detto di scomparire per un po’, Tuck accetta la proposta, spinto a farlo anche dal suo unico amico Jake. Ma di cosa si occupano veramente i due medici su quell’isola abitata da una tribù di ex cannibali? Perché questa strana tribù venera un aviatore della Seconda Guerra Mondiale, tale Vincent Bennedetti? E chi è la misteriosa Sacerdotessa dell’amore, che ogni tanto sceglie un membro della tribù e se lo porta via? Mentre è sull’isola, Tuck cerca di trovare una risposta alle sue domande. A fargli da contorno ci sono un navigatore filippino vestito da donna, che si porta dietro un pipistrello della frutta di nome Roberto, con tanto di occhiali da sole e variegati personaggi come il capo tribù Malink, il cannibale Sarapul e la mispel Sepi. Ma a cosa servono tutti i viaggi segreti che Tuck e la moglie del dottore fanno dall’isola fino in Giappone e ritorno, senza che lui riesca a toccar terra nemmeno una volta? E cosa nascondono visto il numero elevato di guardie armate che circondano il villaggio dove abitano? Perché c’è addirittura un campo minato a separare il villaggio della tribù e le  abitazioni della missione?  Starà a Tucker scoprire tutte le risposte alle sue domande, aiutato dal fantasma di Vincent e soprattutto, da una dose di coraggio, che non avrebbe mai pensato di possedere. Questo libro è curioso e divertente, anche se parla di un argomento abbastanza serio. Non si ride sguaiatamente, si sorride. L’ironia dell’autore è sottile e si basa sulle bizzarre situazioni che arrivano al limite del grottesco e dell’assurdo. Moore è uno scrittore che ama giocare con i paradossi e a cui piace portare agli estremi la propria scrittura. Ma non è un comico. Delle volte la storia prende delle direzioni anche serie e può portarti a riflettere, quando meno te lo aspetti. Moore sa scrivere e bene anche se questo, essendo uno dei suoi primi libri, riproposto quest’anno, non è certamente all’altezza del famoso “Il Vangelo secondo Biff” o di “Fool”, con  protagonista il matto Taschino del Re Lear. Ma Tucker Case e il Pipistrello Roberto, sono dei gran personaggi, che ritroveremo (anzi li abbiamo già incontrati, almeno chi è un assiduo lettore di Moore) in “Tutta colpa dell’angelo”, già pubblicato in Italia con la Sperling & Kupfer, ma che la casa editrice Elliot sta riproponendo con il titolo diverso (Uno stupido angelo. Storia commovente di un Natale di terrore), e con un capitolo inedito. Voto: 7


giovedì 11 giugno 2015

RECENSIONE - Hunger Games. Il canto della rivolta di Suzanne Collins

In questo ultimo capitolo della saga pensavo di trovare tanta azione, tanta guerra e tanta gloria per i nostri eroi. Invece no. Dalle prime pagine si avverte il clima freddo e angosciante e una malinconia crescente, come in un’asfissiante prigione. Sì una prigione, quella che sembra a Katniss il Distretto 13, il luogo dove è stata portata dopo il “salvataggio” dall’arena dei Giochi della Memoria. Ma la “Ghiandaia Imitatrice” non è più la stessa e lo capiamo immediatamente. Le torture psicologiche, le lotte e le battaglie che ha dovuto affrontare l’hanno cambiata esteriormente, ma soprattutto psicologicamente. La prima parte del libro, un po’ come negli altri due volumi, parte un po’ lenta. E’ come sempre quella che la Collins dedica alla riflessione. Abbiamo modo di conoscere la nuova katniss. Quella impaurita, stanca e distrutta interiormente e fisicamente e al centro della narrazione ci sono i suoi pensieri. I maggiori esponenti del Distretto 13, Plutarch e la Coin, sembrano avere una doppia faccia, e si percepisce da subito qualcosa di sbagliato. Il ritmo diventa più serrato dopo la riapparizione di Peeta, che viene liberato da Capitol City, ma è profondamente provato e inesorabilmente diverso. Non c’è più il dolce ragazzo del pane, è stato spezzato. La guerra ci viene mostrata con lunghi flash che ci mostrano soprattutto i danni della stessa, che colpiscono sia i vincitori che i vinti, ma soprattutto la popolazione inerme, e mai come prima si ha uno spaccato reale della potenza che ha in Panem la televisione con la sua forza mediatica, e la Collins questo lo sottolinea in modo particolare, tanto potente da muovere le file della rivolta. E se da un lato ne emerge una critica alla società attuale, dall’altro ci fa capire l’importanza che un mezzo del genere può acquistare, e come l’uso delle parole può essere uno strumento per far muovere le masse. La parte avvincente e più ricca di azione inizia con la seconda parte del libro, ed è molto più cruda e drammatica e profonda che nei due precedenti capitoli. La corsa alla vendetta di katniss riporterà il lettore nell’arena degli Hunger Games, come se non ci si fosse mai allontanati abbastanza. Ne “Il canto della rivolta” l’autrice abbandona l’ideale eroico dei primi due volumi. Mette a nudo le mostruosità che può compiere l’essere umano dipingendo un chiaroscuro di eventi e personalità. Vengono mosse coscienze e sollevate discussioni. Tutti i personaggi principali, si spostano dalle loro posizioni iniziali, Katniss più di tutti. Perde il suo smalto da eroina impavida e diventa più umana fino a raggiungere un atteggiamento egoistico. Non è più la Ragazza di Fuoco, è il fantasma di ciò che è stata nei precedenti volumi, ha perso la sua purezza d’animo e si trova davanti a giochi di potere che le fanno capire che non c’è un vero nemico, perché in ogni essere umano c’è una parte malvagia. La ultime pagine del romanzo sono da togliere il fiato, a volte disturbano e agghiacciano. L’autrice vuole allo stesso tempo dare e togliere speranza. Non c’è possibilità di cambiamento, perché come dice Plutarch a katniss, “è l’essere umano è stupido e incostante, e ha la memoria corta e un grande talento per l’autodistruzione”. La ragazza che è sopravvissuta a due edizioni dei Giochi, che ha sfidato Capitol City è ormai una giovane donna, fredda e distante. Ha lottato e ha perso. L’unico motivo per cui si era offerta volontaria, che l’aveva spinta a combattere, sua sorella Prim, è morta. In effetti era forse l’unica ad aver avuto il suo amore incondizionato. Con la sua morte, tutto il mondo di Katniss è andato in frantumi, ma contro ogni aspettativa, come la Ghiandaia Imitatrice, Katniss sopravvive, anche se il suo universo interiore è ormai spento e perso per sempre. Katniss sembra senza anima, vuota, ma c’è sempre un piccolo frammento di vitalità che Peeta, tornato al distretto 12, riesce a tirare fuori. Entrambi non sono più “Gli sfortunati amanti del Distretto 12” del primo libro, sono adulti e sono distrutti dagli orrori che hanno vissuto. Il fatto che Katniss scelga Peeta non è frutto di un vero amore, ma il risultato di un ragionamento anche egoistico se si vuole. Lei vede in Peeta l’unica speranza di sopravvivere. Il finale è freddo. Il monologo di Katniss mentre racconta dei suoi figli, ci fa capire quanto lei, sia ormai vuota. Sembra che non riesca a provare nessuna emozione nemmeno nel veder crescere i propri figli, che sono nati solo per il desiderio di Peeta, non certo il suo. “Il canto della rivolta” è il finale perfetto per questa saga che non condivide la tradizione fantasy, dove il finale si chiude con un lieto fine ricco di buoni sentimenti. Al contrario la Collins non mente e nonostante la vittoria contro Capitol City, il racconto si sofferma sui dolori e sulle conseguenze che i combattenti hanno subito e che si porteranno dietro per il resto della vita. Questa è la conclusione migliore per questa saga, l’autrice si dimostra fino alla fine una narratrice in grado di sorprendere, esaltare e commuovere, spaventare e far riflettere. L’ultimo capitolo è straziante. Straziante perché vero e doloroso, ma perfetto! Voto: 8

RECENSIONE - Hunger Games. La ragazza di fuoco di Suzanne Collins



“La Ragazza di Fuoco” riprende dove il filo narrativo del primo volume Hunger Games. Peeta e Katniss sono tornati a casa dove li dovrebbe aspettare una vita finalmente tranquilla, da vincitori degli Hunger Games. Ma Capitol City e il suo presidente Snow, si sono veramente infuriati per il modo in cui Katniss ha forzato loro la mano. Durante quello che dovrebbe essere il Tour della Vittoria, Katniss deve dimostrare che tutta la storia dei due innamorati è vera, e dovrà essere molto convincente. Il presidente Snow  le fa sapere che  tiene la sua famiglia e Gale sotto costante minaccia. Lei deve diventare veramente l’innamorata di Peeta, e deve far sembrare che quello è accaduto nell’arena è stato per amore di Peeta! Quindi Katniss si ritrova di nuovo nell’angoscia di dover salvare la sua famiglia, in un modo o in un altro per lei gli Hunger Games non avranno mai fine. I suoi comportamenti, quelli avuti nell’arena con Rue e con Peeta, hanno destabilizzato Panem e alcuni dei distretti stanno iniziando a ribellarsi al controllo di Capitol City, quindi, secondo a come andrà il Tour della Vittoria, il presidente Snow l’avrà nelle sue mani. Ciò che attende Katniss e Peeta, all’insaputa di quest’ultimo, è ancora più spaventoso dei giochi stessi. Nuove sfide che nessuno vorrebbe accettare, minacce che mettono in pericolo qualsiasi forma di sicurezza i due abbiano mai avuto, un popolo che guarda a loro come due possibili leader contro il sistema, un primo vagito di rivoluzione che infiamma gli animi della gente allo stremo, una guerra all’orizzonte che non fa altro che riaprire per i nostri eroi le porte dell’Arena, in quella che dovrebbe essere l’edizione della Memoria che si tiene ogni venticinque anni, sotto lo scrupoloso controllo del presidente Snow, che vuole Katniss, la Ghiandaia Imitatrice, fuori dai giochi a tutti i costi. Per quanto asciutta e sferzante, la narrazione della Collins riesce a penetrarti dentro, regalando un crescendo di emozioni. La trama si arricchisce e si complica, i personaggi crescono nell’arco del racconto. Cresce Katniss, l’eroina che a stento si capacita delle responsabilità che ha acquisito con il gesto compiuto involontariamente; cresce Peeta, il ragazzo con un cuore grande, che farebbe di tutto per salvare katniss, anche se sa che il sentimento che lei prova per lui non è vero, ma solo una finzione. Questo cambiamento si nota fin dalle prime pagine. Gli Hunger Games hanno fatto cambiare molto Katniss. Se all’inizio è solo una ragazza spaventata che reagisce per sopravvivere, nel corso del libro diventa una combattente che decide di sacrificarsi per la causa. La trasformazione di Peeta è invece più disarmante. La sua determinazione a salvare Katniss, la sua devozione per lei e il destino a lui avverso, sono le cose che colpiscono di più. Per quanto Gale sia bello e combattivo e Finnick affascinante, è Peeta il vero uomo di questa serie. Un eroe senza gloria, ma con molto onore. Anche i co-protagonisti,  in questo libro, molto più che nel precedente, fanno sentire le loro voci e ci mostrano le loro emozioni. Uno fra tutti è Haymitch, uno dei personaggi che ho amato di più. Si capisce il perché del suo obnubilarsi la coscienza con il bere, fino allo sfinirsi. Lui è uno dei personaggi più complessi della storia, che nel primo libro è stato un po’ un’ombra, ma che in questo romanzo si mostra completamente. Ci fa capire quali sono i fantasmi che tormentano la sua anima, il modo in cui si deprime per i suoi sensi di colpa, rendendolo più umano agli occhi dei lettori. Molto vive e concrete sono le descrizioni che la Collins fa del suo stile di vita nel degrado più completo e ci fa capire il suo comportamento quando si scopre l’uomo dietro la facciata. Un altro dei co-protagonisti molto forte per presenza e carattere è Finnick Odair, che oltre ad essere bellissimo e sfacciato, colpirà i lettori con le sue confessioni e con dei segreti che sconvolgeranno. Sebbene alcune scelte della Collins possano sembrare prevedibili, non sono forzate o scontate. Sono perfette. Tutto va nell’unico verso possibile. Tutti gli ingranaggi girano per il giusto verso, per consentire il crescendo della storia e la sua esplosione. Non sono i colpi di scena a rendere il libro bello, bensì quello che causano: la crescita dei personaggi, l’evoluzione della ribellione, le svolte psicologiche di ogni scelta che i personaggi compiono, sia essi primari o secondari, e le ripercussioni che hanno sulla trama. “La Ragazza di Fuoco” non è più il romanzo di Katniss, bensì la cronaca di tutto ciò che succede intorno a lei e alle cause che le sue azioni portano. La Collins ha uno stile scorrevole, anche se in questo secondo libro la prima parte è decisamente più noiosa, con meno patos del libro precedente. Il personaggio di Katniss diventa sempre più complicato e difficile da comprendere. Il suo carattere è pieno di sfaccettature, che spesso vengono fuori in modo quasi crudo e freddo, quasi  fosse un’egoista. Delle volte sembra pensare solo a se stessa e delle volte troppo agli altri. Ma katniss è Katniss, nel bene e nel male. Voto: 7

lunedì 8 giugno 2015

RECENSIONE – Hunger Games di Suzanne Collins



Lo avevo tralasciato, quasi a non volerlo leggere, dopo l’uscita dei film, anche se non hanno ancora terminato la storia cinematografica. Ma poi l’ho visto occhieggiarmi dalla libreria e l’ho letto (tutti e tre i libri, visto che avevo la versione flipback) tutto d’un fiato. Però  le recensioni le dividerò per i tre libri, visto che sarebbe troppo lungo farne una unica, e si potrebbe cadere nel mero riassunto della storia. La trama penso che a grandi linee la conosciate un po’ tutti, ma comunque un riassunto non fa mai male, anche per chi ancora non lo ha letto. Il romanzo è ambientato a Panem, una sorta di Stati Uniti post-apocalittici in formato ridotto. Il potere è accentrato nella capitale, e il resto del territorio è suddiviso in 12 Distretti, ognuno con caratteristiche particolari. A seguito di una rivolta fallita, tutti i distretti sono costretti ad inviare, ogni anno, un ragazzo e una ragazza a partecipare agli Hunger Games, un reality show, in cui 24 ragazzi chiamati “tributi” si affrontano in una particolare arena, finché non resta un unico sopravvissuto. Il racconto si rifà al mito del Minotauro. Minosse, Re di Creta, pretendeva ogni anni 7 fanciulli e sette fanciulle dalla città sottomessa di Atene, per darli in pasto al Minotauro. Gli Hunger Games si rifanno ai giochi circensi dei gladiatori.  Katniss Everdeen, la nostra protagonista, ha sedici anni e vive nel Distretto 12, uno dei più poveri, e si ritrova ad offrirsi volontaria al posto della sua sorellina dodicenne, Prim, sorteggiata come tributo. L’altro tributo che viene scelto, è Peeta Mallark, l’incarnazione del bravo ragazzo. Katniss e Peeta vengono spediti nella capitale, viaggiando tra lussi mai visti, ma con l’animo distrutto, si dovranno uccidere tra di loro, ma soprattutto riusciranno a sopravvivere? In questo romanzo, che dovrebbe essere un New Adult, vista l’età dei protagonisti, è la brutalità della storia che sciocca il lettore, ma più che altro è la reazione che hanno i personaggi di contorno ad un programma dove si vedono morire altre persone in diretta. Gli Hunger Games, infatti, sono per gli abitanti di Capitol City un gioco, una festa spettacolare, in cui autori e produttori fanno a gara per creare rivalità tra i partecipanti e anche love story, come quella fasulla che si ritroveranno incollata addosso i nostri eroi. Stimolano i partecipanti all’azione, ad uccidere, e questo viene premiato con l’aiuto da parte di vari sponsor. Quello che sconcerta è anche la passività di tutti i partecipanti al “macabro rito”, perché è come se avessero un destino segnato e non si possa fare altrimenti. Gli Hunger Games, sono nel loro DNA, e per questo accettati. Ogni romanzo è figlio del proprio tempo, e il modo in cui Hunger Games pone l’accento sulla strumentalizzazione della violenza e della sofferenza realizzata dalla società per mero intrattenimento, è in un certo senso, un elemento innovativo. Diciamo che il romanzo è suddiviso nella prima parte nella critica della società in cui sono costretti a vivere i nostri protagonisti, e nelle altre due parti, dove tutto è un concentrato di azione e suspense che si legge tutta d’un fiato. Non manca, come già detto, la love story. Anche se all’inizio costruita a tavolino, avrà i suoi sviluppi, perché è impossibile per la nostra eroina dal cuore tenero, non accorgersi del ragazzo dagli occhi azzurri che è al suo fianco. Non è una storia perfetta. Ma in generale è ben scritta e la trama è ben congeniata. C’è un buon senso del ritmo e una buona gestione dei tempi narrativi. I personaggi sono ben  caratterizzati, soprattutto quelli di Katniss, di Peeta e di Haymitch. Katniss non è proprio un personaggio positivo, perché spesso è indisponente, contraria ad ogni forma di regola, egoista e disposta comunque ad uccidere a sangue freddo. Hunger Games è un buon romanzo d’avventura con un sottotesto non banale e che guarda con occhio critico alla società contemporanea. E’ angosciante e spietato, ma anche dolce e quasi commovente. Voto: 7/8