giovedì 21 maggio 2020

RECENSIONE - L'amore molesto di Elena Ferrante



Opera prima della scrittrice italiana del momento, il romanzo è ambientato in una Napoli cupa e degradata, soprattutto da un punto di vista umano. Il romanzo ricostruisce una vicenda familiare dalla quale emerge la storia ambigua di una madre e di una figlia. Il cadavere della madre Amalia riaffiora dal mare e la figlia Delia si immerge nelle viscere di una Napoli legata ai confusi ricordi dell’infanzia. Non c’e nessuno a indagare su questo suicidio, nessuno dei parenti viene interrogato e tutti hanno a disposizione le chiavi di casa; la stessa Delia non vuole indagare ma vuole fare chiarezza sui tanti punti oscuri. Al funerale, la figlia non versa lacrime ma sangue, con tanto di descrizione morbosa del ciclo mestruale; sembra vivere un lutto composto ma pieno di sensi di colpa. La madre muore il 23 maggio, giorno del compleanno di Delia: quasi un regalo macabro e ambiguo, così come la valigia piena di vestiti e di biancheria di lusso della taglia della figlia. La figura di Amalia è ambigua: giovane e vecchia, con il ventre cascante e le gambe giovani, con le mutande rattoppate e il reggiseno sexy… I rapporti famigliari sono distorti: Amalia, per anni, viene picchiata dal marito geloso, artista fallito, ma lei continua a essere solare. La gelosia del padre continua in Delia, che non perdona alla madre la probabile vita segreta che la escludeva, con un amante, Caserta padre, a rubarle l’affetto. Molesto è l’amore della madre per la figlia e viceversa (paura dell’abbandono, gelosia), molesto è l’amore del padre per la madre, moleste sono le attenzioni del vecchio, Caserta nonno, nei riguardi di Delia, bambina di 5 anni. Anche Delia è ambigua: Delia ha un corpo magro e muscoloso, quasi androgino; la sua femminilità non viene fuori neanche con il rapporto sessuale, molesto, con il Polledro, Caserta figlio. Il romanzo vorrebbe recuperare e riscattare la figura materna. Delia analizza il passato per cercare le ragioni del gesto oscuro della madre. Si identifica ed è in conflitto con la madre mentre è il genere maschile a interpretare le molestie. Da leggere anche perché sono presenti tematiche sviluppate nei romanzi successivi.
(a cura di Maria Lombardi)

mercoledì 20 maggio 2020

RECENSIONE - La misura del tempo di Gianrico Carofiglio



Dopo 27 anni, Guido Guerrieri incontra di nuovo Lorenza, con la quale aveva avuto un breve ma intenso rapporto. La donna è molto diversa da quella passionale e trasgressiva conosciuta in gioventù: è invecchiata e, soprattutto, preoccupata per la sorte giudiziaria del figlio, condannato in primo grado per omicidio volontario di uno spacciatore. Lorenza, ormai senza soldi, si rivolge a Guido per l’appello, dopo la morte del suo avvocato. Da qui inizia un continuo alternarsi tra passato e presente: l’avvocato Guerrieri ricorda la storia con Lorenza e cerca di costruire un quadro di ragionevole dubbio, delineando scenari alternativi possibili, visto che tutto indica che Iacopo, il figlio di Lorenza, sia l’unico probabile colpevole. Carofiglio, ex magistrato, conosce perfettamente la giustizia e i suoi meccanismi: la scrittura è chiara, elegante, colta, precisa, scorrevole, intrisa di tecnicismi ben noti a chi ha frequentato l’ambiente dei tribunali. La trama è ben costruita, ma non interessano i colpi di scena, quanto piuttosto un epilogo dal retrogusto amaro che invita alla riflessione. Il protagonista fa continuamente i conti col tempo che passa veloce mentre, cambiando, siamo occupati a vivere. Accanto alle vicende narrate, infatti, lo scrittore dispensa pillole di saggezza, citazioni dotte, riflessioni. Consigliatissimo!
(a cura di Maria Lombardi)