venerdì 28 marzo 2014

RECENSIONE - LA STRADA PER VIRGIN RIVER DI ROBYN CARR

Mel decide, dopo aver perso il marito in una sparatoria, di allontanarsi dalla pericolosissima Los Angeles e accettare un lavoro da infermiera/ostetrica in un piccolo paesino, Virgin River. Bellissimo dalle foto. Quello che trova però le fa cambiare immediatamente idea. Pioggia, un cottage (che dalle foto era bellissimo), cadente, un dottore scontroso che non la vuole lì. Piano, piano però riesce a districarsi con le priorità della cittadina e tra un parto e l'altro decide di rimanere, soprattutto per via di Jack, il barista/ristoratore del luogo. Uomo dai mille aspetti, tutti nobili. Soprattutto un bellissimo uomo. E chi altri non lo farebbe. Beh la storia è tutta qui. Una storia d'amore semplicissima, qualche colpo di scena qua e là e nient'altro. Scritto bene per carità... però in effetti è quello che è, un libro d'evasione e non diventerà, rileggendolo più volte, un premio pulitzer.

lunedì 24 marzo 2014

RECENSIONE - CI RIVEDREMO LASSU' DI PIERRE LEMAITRE

Il romanzo di Pierre Lemaitre ci fa rivivere il periodo storico, disastroso della Grande Guerra. Una devastazione che non riguarda solo le morti e le distruzioni sul campo di battaglia, ma anche quella dei rapporti umani sul fronte del conflitto mondiale combattuto in trincea, ma che ha coinvolto e sconvolto tutta la Francia. Le prime pagine immergono subito il lettore in una trincea francese negli ultimi giorni della Prima Guerra Mondiale, quando il chiaro avvicinarsi dell’armistizio spinge il tenente Pradelle a lanciare i suoi uomini in un’azione inutile e sconsiderata, allo scopo di guadagnarsi un po’ di gloria personale prima che arrivi l’ordine di cessare il fuoco. A farne le spese saranno due soldati, Albert e Edouard, che rischiano entrambi di morire nell’azione. Ma se Albert se la cava senza danni, Eduard ne esce gravemente colpito e sfigurato per sempre. Tra i due nasce uno stretto rapporto d’amicizia: Albert assiste Eduard nel suo lento e faticoso ritorno a una vita che, per vari motivi, non potrà mai più essere come quella vissuta prima della guerra mondiale, mentre il destino li porta a incrociare ancora la strada di Pradelle, in un crescendo di emozioni fino a un finale liberatorio. Il tema principale del libro è il difficile reinserimento dei reduci nella società francese dell’epoca. Drammi familiari, amicizie profonde, rapporti di potere politico, affari che si consumano tra tradimenti e corruzione, costituiscono trama e ordino di un grande romanzo storico che, sulla base di una documentazione accurata, ricostruisce una delle vicende più scabrose del dopoguerra francese: lo scandalo delle esumazioni militari che scoppiò nel 1922. La storia nasce da questo rocambolesco salvataggio e con uno scambio di identità prima del rientro a Parigi, che fa cementare l’amicizia tra i due commilitoni. Sarà anche l’origine di un sodalizio che, tra sensi di colpa e riconoscenza, darà vita ad una truffa. Ed è sempre dopo le trincee che l’ambizioso e sfrenato capitano Pradelle, autore dell’ultimo attacco ad armistizio già firmato, usa quell’ambizione che sfocerà nella realizzazione di un’altra truffa, con intrighi di palazzo  nelle stanze del potere parigino. Le vicende dei protagonisti, legati tra di loro da sangue e matrimoni, si intrecciano in una Parigi che sta cercando di ricostruire gli equilibri della pace e di tornare alla normalità anche nelle relazioni umane. Dove un padre cerca, attraverso la memoria, di recuperare il suo rapporto col figlio perduto per sempre, mentre questo, ritornato dal fronte sfigurato e sotto falsa identità, nasconde se stesso e la propria faccia devastata con maschere stravaganti. Ma le loro vite sono destinate ad incrociarsi di nuovo mentre una Parigi imbandierata si prepara a festeggiare la vittoria della Francia. Bellissimo scorcio di una Francia dopo la Prima Guerra Mondiale. Una Francia tutta composta da una parte, quella rimasta in patria, e dall’altra  i soldati che hanno lottato per loro al fronte, sono tornati “vivi” e visti come dei “paria” e non si sa cosa farne di loro. Non si riesce di nuovo ad inquadrarli in un sistema lavorativo normale, non si riesce a dargli una pensione di invalidità o di guerra, anzi li si ripudia, si tenta di dimenticare il prima possibile quel periodo bruttissimo, salvo poi inventarsi commemorazioni memorabili fatti dai vivi per i morti. E la truffa di Albert ed Eduard è un po’ un riscatto verso questo modo di vedere la guerra che hanno ritrovato tornando a casa. Soprattutto è una rivincita per Eduard che ha perso tutto e tutti, anche se stesso, ma ha forse ritrovato l’unica cosa che cercava, l’amore di un padre. Anche se non lo saprà mai. Voto: 7,5/8

lunedì 17 marzo 2014

RECENSIONE – LA VERSIONE DI BARNEY DI MORDECAI RICHLER



Barney Panofsky è un ricco ebreo canadese, figlio di un poliziotto corrotto, produttore di serial TV molto molto commerciali, ma che rendono bene. Ha un passato da raccontare di una vita dissoluta, che continua nonostante abbia sessantotto anni. L’opportunità di scrivere la sua autobiografia gli viene dall’uscita del libro del suo amico-nemico Terry McIver, “Il tempo, le febbri”, dove lo stesso racconta la storia della loro vita dissoluta a Parigi, della loro compagnia dissennata, dedita all’alcool, all’abuso di droghe, senza un soldo, sempre a vivere di stenti e poco altro. Della compagnia facevano parte oltre a Terry e Barney, Clara Charnofsky, pittrice e poetessa, che diventerà in seguito la moglie di Barney e avrà una sua grande notorietà, anche se postuma, e Bernard “Boogie” Moscovitch da tutti considerato un astro nascente, ma che non riuscirà mai a scrivere nulla se non storielle. Sul libro di McIver vengono tutti messi alla berlina, soprattutto Barney, che si vedrà costretto, quindi, a dare una sua “versione” dei fatti. Nel corso della stesura delle sue memorie tuttavia, i ricordi di Barney diventano via via confusi: gli episodi del suo passato si intrecciano indissolubilmente con gli avvenimenti del suo presente, così che l’intero romanzo risulta essere una serie di flashback disordinati: i racconti delle giornate del “vecchio” Barney (acciaccato, abbandonato dalla moglie e alcolista irrecuperabile), si mescolano alla girandola dei ricordi di una vita ricca di avvenimenti e incontri straordinari. Il romanzo è strutturato in tre parti, una per ognuna delle mogli di Barney, anche se a causa delle continue digressioni, episodi concernenti a tutte e tre le donne saranno presenti in tutte e tre le parti. La prima moglie, la pittrice e poetessa Clara Charnofsky, morta suicida a Parigi (verrà incolpato anche di questo), la ciarliera seconda Signora Panofsky, di cui non conosceremo mai il nome, che Barney sposa senza troppa convinzione e dalla quale divorzierà presto, e Miriam, il suo unico grande amore, la madre dei suoi figli Mike, Saul e Kate, con cui ha un rapporto conflittuale. Barney non ha rispetto per nessuno, soprattutto per se stesso. Tutti verranno presi di mira. Dagli ebrei, che sono messi alla berlina, ai francofoni, agli scrittori celebri, a svariati altri gruppi etnici, e anche i lifting verranno collaudati con una ditata sulla guancia: “volevo vedere se restava l’impronta!”. Ma soprattutto il libro, che verrà pubblicato postumo dal figlio Mike (con le sue note a piè di pagina a correggere gli errori paterni), deve spiegare al mondo intero il più grande cruccio di Barney, quello per cui nessuno è disposto a giurare sulla sua innocenza. La morte del suo amico Boogie, secondo molti ucciso in un impeto di gelosia (lo ha trovato a letto con la seconda signora Panofsky), di cui il cadavere però non è mai stato ritrovato. In trent’anni nessuno è riuscito a far luce sulla verità e Barney alle sue bugie ci tiene: “La prima volta che ho detto la verità sono stato accusato di omicidio. La seconda ci ho rimesso la felicità.” Il suo motto è negare, negare sempre, ma quando si mette a scrivere la sua versione dei fatti Barney, arruffone e logorroico, giura che sarà affidabile e sincero. A minare le sue buoni intenzioni c’è però l’Alzheimer che costringe il poveretto a faticose ricerche per la parola giusta, si ripete in continuazione chi sono i sette nani senza mai ricordarlo, scorda spesso i nomi di semplici attrezzi, come il mestolo e via dicendo. Disincantato, arruffone, pieno di parolacce, ma bello e vero, come risulta essere il suo protagonista. Ho amato Barney Panofsky per quello che era da giovane, e per come aveva preso la sua vita da vecchio, gli ho voluto anche un po’ bene. Alla fine si è goduto la vita molto più di altri. Un protagonista irriverente, per un libro altrettanto irriverente. Voto: 8,5

venerdì 14 marzo 2014

RECENSIONE - AI PIANI BASSI DI MARGARET POWELL

Molto prima dello sceneggiato televisivo Dontown Abbey, uscì in Gran Bretagna, nel 1968, un libro di memorie scritto da una cuoca, Margaret Langley Powell, dal titolo emblematico “Ai piani bassi”. Era un ritratto impietoso di un mondo rigidamente diviso in classi contrapposte. Da una parte gli aristocratici, ricchi e privilegiati e dall’altra la servitù. “Ai piani bassi” ci permette di farci un’idea di quanto accadeva dietro le quinte di una casa aristocratica, dove ogni giorno sembrava si recitasse una commedia. Quella della classe dominante, in cui l’etichetta, le tradizioni, il ferreo cerimoniale, congelava e mascherava un intrecciarsi di vizi e tensioni sotterranee e quella delle classi meno abbienti, dove il lavoro era l’unico motivo di decoro e vita. Vi erano delle ingiustizie nel sistema sociale in cui a quel tempo si lavorava e dove alcuni, gli aristocratici, i ricchi, avevano il permesso di non farlo, di vivere in case riscaldate, eleganti, nutriti con pasti vari ed abbondanti. Dove invece gli altri, i lavoratori, erano gravati dall’amaro compito di fungere da servi, sottopagati, umiliati, senza alcun tempo libero da dedicare a se stessi. Emergono ancora più nette le differenze grazie al fatto che l’autrice non enfatizza i toni rendendoli drammatici o cattivi. Infatti, Margaret Powell, si limita a descriverne il mondo dal suo punto di vista, dal basso, dalla cucina, permettendo di avere una visuale personale e allo stesso tempo obiettiva. La sua è un’analisi molto lucida, a tratti ironica o divertita, come quando ad esempio riporta la stranezza che i suoi primi padroni la costringevano a stirargli le stringhe delle scarpe, ma è anche dura e impietosa. Oltre al valore oggettivo di documento storico, di affresco di un mondo, quello degli anni Venti e Trenta e poi Quaranta del secolo scorso, testimone di cambiamenti, “Ai piani bassi” è un libro ben scritto, con un linguaggio colorito e spontaneo, dotato di verve e umorismo. L’immediatezza e la facilità con cui il lettore si trova a condividere i pensieri e a patteggiare per l’intraprendente testimone silenziosa di un mondo, che in fondo non disprezza, ma di cui non ignora le debolezze e le disuguaglianze, elevate a rango di privilegi acquisiti, è sicuramente la dote maggiore di questo libro, ricco di umanità. Non è un manifesto politico contro le ingiustizie e le disparità, sebbene la protagonista fantastichi al riguardo, ma è una voce autentica e personale, una forza silenziosa che espone le sue riflessioni con limpida oggettività, e non è priva di una potente carica critica e accusatoria. La giovane sguattera, che prima di diventare cuoca e poi scrittrice di successo ha dovuto provare sulla sua pelle le più dolorose contraddizioni e fatiche dell’ultimo scalino della classe sociale, emerge da questo ritratto come una vittoriosa eroina, capace di piegare la sorte, facendo emergere e trionfare i suoi meriti. Un bellissimo ritratto femminile. Voto: 7,5/8

mercoledì 12 marzo 2014

RECENSIONE - POLVERE DI PATRICIA CORNWELL

Ventunesimo romanzo della serie della anatomopatologa Kay Scarpetta. La ritroviamo in casa, malaticcia e preoccupata. Benton suo marito non c’è è impegnato nella caccia di un serial-killer. E’ un po’ “acciaccata”, sia per la salute malferma, sia per il dramma da poco vissuto, una strage in una scuola elementare in Connetticut. Ma a svegliarla (alle cinque del mattino) ci pensa Pete Marino, da poco licenziatosi dal CFC per riprendere il suo lavoro in polizia. Un cadavere di una donna è stato ritrovano in prossimità dei campi sportivi dell’MIT, il Massachussetts Institute of Technology. Si suppone sia Gail Shipman, ingegnere informatico, che aveva intentato una causa milionaria ad una società di intermediazione finanziaria che aveva mandato in fumo tutti i suoi risparmi. Ma la posa del cadavere, ed altri indizi portano Kay Scarpetta a pensare che non è un delitto “per caso”, ma è collegato ai delitti su cui sta indagando suo marito, e che conosce bene per avergliene parlato e per aver visto della documentazioni sul caso, anche se non avrebbe dovuto. Il caso di Benton è relativo ad un serial Killer a cui è stato dato il nome di Capital Killer. Lo stesso Benton è convinto che qualcuno di molto potente lo stia proteggendo e non lo voglia catturare. La stranezza del caso, sta nel fatto che le vittime siano tutte ricoperte da uno strato di polvere iridescente che ai raggi UV diventa rossa sangue, verde smeraldo e blu elettrico. kay si troverà al cospetto di qualcosa di ben più grosso di un caso di omicidi seriali: crimine organizzato, alte sfere governative corrotte, droghe sintetiche e nuove tecnologie. Uno scenario di dimensioni immani, imprevisto, pericoloso. Non sono molto entusiasta di questo romanzo, come del resto mi capita spesso con gli ultimi romanzi della Cornwell. Troviamo una Scarpetta trasfigurata. Paurosa, lagnosa, isterica quasi. Io che l’avevo idealizzata come una persona abbastanza fredda, atletica, quasi algida. Che non si faceva scuotere da nulla e nessuno. Non mi è piaciuto il libro organizzato in una sola giornata. In sole 24 ore. Mi sembra quasi assurdo che indagini così si svolgano con questa velocità. Ogni tanto una pausa umana a questi personaggi bisogna pur farla fare. Insomma troppo tutto insieme, in un miscuglio che delle volte si fa fatica a comprendere. Ottima, comunque la caratterizzazione dei personaggi. Sono stanchi, oppressi forse dal mestiere che svolgono. Sembrano snaturati. Come se le vicende terribili di cui sono sati protagonisti avessero tolto loro una parte di umanità. Li ho sentiti al limite della patologia mentale. Mi sono detta che la salvezza, se per Pete Marino può arrivare da una certa ruvidità di carattere, per Key e Benton può scaturire solo dal profondo legame affettivo che li unisce. Voto: 6 -

lunedì 10 marzo 2014

RECENSIONE - CONTRATTO FINALE DI JENNIFER PROBST

Con questo quarto volume siamo giunti alla conclusione (?) della serie dei romanzi dei "contratti". Come al solito il romanzo è pieno di luoghi comuni sulla vita in Italia, sulla mentalità vecchio stampo della Signora Conte, sulla inverosimiglianza della location bergamasca della villa di famiglia e sul mistero della lingua parlata dalla famiglia e dai loro amici (sarà l'inglese o l'italiano? Non ci è dato sapere!).  Comunque, come avevo presagito nella precedente recensione, i protagonisti di questa "puntata" sono Giulia Conte e Sawyer Wells (che avevamo incontrato nella precedente storia, di sfuggita, ma nemmeno troppo!). Guarda caso Sawyer decide di lasciare la direzione dell'albergo di Las Vegas per dare vita alla sua creatura, "Purity", catena di alberghi di lusso lifestyle con tutto quello che il cliente può sognare di avere lontano da casa, tra cui una buonissima pasticceria come quella de "La dolce famiglia" della famiglia Conte, e perché non iniziare proprio in Italia, da Milano? E da qui il passo è breve! Giulia e Sawyer si incontreranno e tra loro saranno subito scintille. Lui (guarda un po'!) è ossessionato dai suoi diavoli interiori, lei da una vita sessuale scadente (ma mamma Conte dov'è? Non vigila su tutte le sue figliole in egual modo? Questa non è più vergine da un bel po' anche se è parecchio insoddisfatta dei suoi partner sessuali). Insomma oltre al know-how manageriale tra i due scoppierà un'intensa passione. Come al solito ci sarà lui con una storia di abusi subiti quando era un ragazzino, tanti sensi di colpa per non aver salvato il "fratellino" e la "sorellina" trovati nella famiglia affidataria, cresciuto a suon di cinghiate, riesce a trovare il buon samaritano che gli insegna tutto e nonostante sia solo un custode d'albergo è ricco come Creso e gli lascia tutti i suoi averi alla sua morte. E lui riconoscente, nonostante tutto non è privo di sentimenti, "adotta" un giovanissimo se stesso, Vincent detto Wolfe, diciannove anni di rabbia e lo mette a capo del progetto "Purity". Nessuno lo capisce, ma Giulia sì. Il problema più grosso di Sawyer (ma guarda un po'!) è quello di legarsi con qualcuno, ha paura di provare dei sentimenti, ha paura di amare perché ha paura di perdere le persone amate e per questo cerca di nascondere a tutti, compresi Wolfe e Giulia, ciò che prova. Giulia invece ha questa situazione psicologica da risolvere. Si crede frigida, ma è solo che lei, abituata al comando, non riesce a lasciarsi andare con persone che pensa siano più deboli di lei. Ma con Sawyer logicamente sarà diverso, lui è più forte e riuscirà a sottometterla e a farle avere i suoi agognati orgasmi. Comunque ci sarà sempre lo zampino di mamma Conte che li costringerà a sposarsi per forza. Lui deve accontentarla per forza per un'antica promessa e lei deve fare ciò che la mamma le chiede. Beh alla fine la signora Conte avrà ragione, e libro come al solito si concluderà con il solito: E vissero tutti felici e contenti ... beati loro! Voto: 5

RECENSIONE - AMBER di Kathleen Winsor

Non è facile riuscire a riordinare i mille pensieri che affollano la testa dopo aver portato a termine una lettura di quasi novecento pagine. Un romanzo così voluminoso porta con se, col suo procedere, riflessioni, considerazioni e opinioni sempre nuove, al punto che una volta arrivati alla fine ci vuole un po’ di tempo per riuscire a raccoglierle tutte. Amber appartiene alla categoria di romanzi che spaventano a prima vista. Si presenta come un bel mattone: pesante e temibile. Uno di quei mattoni di fronte ai quali il lettore penserà: “lo leggerò quando avrò un po’ più di tempo”. Ecco, questo è un errore. E’ un falso mattone. La lettura è così scorrevole che nel giro di pochi giorni la si porterà a termine senza intoppi e senza rallentamenti. Amber deve essere letto considerando diversi aspetti. Innanzi tutto va preso in considerazione il periodo reale in cui il romanzo è stato scritto e pubblicato. Siamo nella metà del ‘900, le donne iniziano a rivendicare i propri diritti e la propria indipendenza, e le scrittrici fanno dire e fare alle loro eroine tutto ciò che vorrebbero dire o fare loro stesse. E’ il periodo della capricciosa, orgogliosa, viziata Rossella O’Hara, che con il suo carattere e la sua forza rivoluzionerà l’America, soprattutto al femminile. La Francia sarà travolta dalla passione per la bella Angelica, la marchesa degli Angeli e Amber è la risposta inglese (come ambientazione, non come luogo di nascita) di Kathleen Winsor. Amber è indipendente, spregiudicato, arrivista, approfittatrice, innamorata. Rappresenta la possibilità delle donne di arrivare dove gli uomini non avrebbero mai ritenuto possibile. Amber è il riscatto della donna attraverso l’astuzia, la bellezza, l’ingegno. Una donna viva, che non si arrende, che ottiene, quasi sempre, ciò che vuole. Osservata da questo punto di vista, si comprende la necessità in quell’epoca di aver dato vita ad una donna forte e risoluta. Leggendo questa storia oggi, Amber risulta molto più debole e a tratti irritante di quanto si vorrebbe. Innanzitutto non è simpatica al lettore. Le sue scelte sono costantemente dettate dall’opportunismo e dalla rincorsa al potere, al titolo nobiliare. Amber è una donna senza scrupoli, senza valori pronta a vendere tutto e tutti pur di arrivare al proprio scopo, quasi mai onesto. Una donna senza orgoglio, con una sola debolezza: amare da sempre e per sempre un uomo che non la vuole e non la vorrà. Ma non sarà certo l’amore ad impedirle di sposarsi più volte, per approfittare di varie situazioni. La sua vita si svolge nell’Inghilterra seicentesca e se quella di Amber è una figura inventata, sarà affiancata da personaggi realmente esistiti, quali Re Carlo II e la sua corte. Per tutta la prima metà del volume, la storia della nostra protagonista sembra non intrecciarsi mai con quella della corte. I capitoli procedono paralleli senza mai incontrarsi, al punto che ci si chiede il motivo per cui si sta dando spazio a due storie così diverse. Quando poi, finalmente, la storia inizia ad avere punti di intersezione, per poi diventare quasi una sola verso la fine, al lettore sembra quasi troppo tardi, si ha l’impressione di una forzatura nell’unire due storie che potevano procedere tranquillamente separate. Ricapitolando: protagonista odiosa, storia che zoppica, lì dove si cerca di unire i due binari, volumone troppo pesante. Mi rendo conto che la mia valutazione potrebbe sembrare negativa. Ecco non lo è per nulla. Ok, Amber è detestabile ma leggere le sue avventure è piacevole, a volte uno spasso. Non ci si annoia mai, c’è sempre un buon ritmo, la storia presenta tanti sviluppi diversi e il lettore si ritrova a seguirla con passione. La Winsor è una brava storyteller racconta, racconta e non stanca mai nessuno di noi, che siamo lì a chiedere ancora. Non sarà stata in grado di creare una nuova Rossella O’Hara, ma ha dato vita ad un personaggio che difficilmente dimenticherò. Voto: 7,5