venerdì 6 dicembre 2024

RECENSIONE - Omicidio in parrocchia di Rev. Richard Coles

 

L’autore ci porta a Champton, sonnacchioso paesino della campagna inglese. Siamo alla fine degli anni ’80, quando il clima, politico e anche religioso stavano subendo un cambiamento radicale che avrebbe mischiato molte carte in gioco.
David Clement è il rettore della parrocchia, ma fino ad ora si era diviso tra le chiese di St Mary, Lower e Upper Badsaddle. Ora è alle prese anche lui con un grande cambiamento, dopo tutto quello che era già successo l’anno prima, con i vari omicidi dei suoi parrocchiani (Omicidio all’ora dei vespri, il precedente romanzo), che avevano stravolto la sua esistenza, il vescovo ha deciso di dargli un aiuto. Infatti, è in arrivo il pastore evangelico Chris Biddle, con cui Daniel dovrebbe collaborare, ma per quanto si sforzi non riesce a digerirlo.

Poco tempo dopo l’arrivo della nuova famiglia, nel villaggio che aveva appena ripreso il suo normale tran tran, viene commesso un nuovo omicidio, e anche questa volta, Daniel, si vedrà costretto a seguire le indagini, insieme al suo nuovo amico, il detective della polizia criminale di Braunstonbury, Neil Vanloo.
Purtroppo l’omicidio riguarda proprio la famiglia del nuovo pastore. La vittima è il figlio Joshua, trovato ucciso in modo macabro, tanto da far pensare a un omicidio rituale, e per questo Daniel ne viene fatto parte.
Oltre all’omicidio di Joshua, Daniel dovrà tenere d’occhio la famiglia dei Tailby, che si sono accasati nella villa di Mrs Hawkins, che è in punto di morte, è molto ricca, e non ha nessun parente a cui lasciare la sua eredità. E i Tailby hanno la brutta fama di essere degli approfittatori senza scrupoli e di apparire, negli ultimi tempi, ogni qual volta un malato in fin di vita è ricco e senza eredi.
Quindi la vita del reverendo Clement è tutt’altro che facile. Non è solo passeggiate in campagna con i cani, non è solo dire messa, ma anche risolvere le grane che ogni parrocchiano gli racconta.
Anche Mrs Hawkins nascondeva molti segreti che verranno a galla dopo la sua dipartita, e dei quali si occuperà, Audrey, la madre del reverendo Clement, mettendo in serio pericolo anche la propria vita e la sua casa.

“Omicidio in parrocchia” è il classico giallo inglese, definito anche “cozy mistery”, che nasconde qualsiasi forma di crudeltà, anche se è presente un omicidio sul quale indagare. È un romanzo dove si parla molto, forse anche troppo, dei dettagli sulla vita nel villaggio, in particolare del modo di vivere di un canonico alla fine degli anni ’80, legato ancora al vecchio mondo delle canoniche delle famiglie nobili. Anche in questo romanzo ne abbiamo una la famiglia de Floures, che abita in Champton House ed è proprietaria di quasi tutto il villaggio e della canonica stessa.
Oltre a Daniel, Audrey e Neil Vanloo, conosceremo una girandola di personaggi che sono adatti in ogni modo a intersecarsi nella storia, Mrs Hawkins sia da viva che da morta, avrà la sua parte, Miss March che prenderà il posto, guarda caso, di una donna uccisa nell’altro capitolo, avrà anche lei, in qualche modo, il motivo per cui essere una sorta di protagonista. Gli abitanti della villa: Bernard, il capofamiglia, i figli Alex e Honoria, e anche il primogenito ed erede Hugh con la nuova fidanzata Michelle, che saranno motivo di discussione e anche loro avranno un ruolo fondamentale nell’intreccio giallo del romanzo.
E poi Cosmo e Hilda, i due bassotti del reverendo Clement. Anche loro avranno un ruolo molto fondamentale per la scoperta del vero omicida, soprattutto Hilda con il suo modo di fare un po’ strano e particolare.

Il libro è carino e leggibile. È un giallo leggero e non particolarmente cruento. Le indagini sono studiate molto bene. L’unica cosa che rimprovero al Reverendo Coles è quello di essere molto prolisso. Si allunga molto sul mondo religioso e le sue tradizioni, ma forse è proprio la sua professione che tenta di spiegare, e ce la propone inserendo un giallo al suo interno.
Il consiglio che vi do, è quello di leggere l’altro capitolo prima di questo, perché l’autore, molto spesso fa riferimento a fatti accaduti precedentemente.

Silvia Marcaurelio

RECENSIONE - La teoria dello spillo di Michele Brusati

 

Milano, 2015
“A tirar giù uno spillo da questo finestrino, ora, a farlo cadere su Milano, puoi stare certo di una cosa: lo spillo beccherà un tizio intento a fregare qualcun altro. In questa città tutti si fregano a vicenda. È il passatempo ufficiale. Se non freghi un merlo al giorno, non sei degno di viverci! O ancora peggio, non ci sopravvivi.”

La voce che ci racconta la storia è quella ‘dell’Avvocato’. Già l’Avvocato, perché il suo nome non è dato conoscerlo.
Lui non è il protagonista della storia, o almeno ci prova a non esserlo, perché alla fine la sua compartecipazione è essenziale.
Lui è l’avvocato di Gian Maria Strazzer, un omone grosso, di poche parole, dai modi abbastanza rudi, non propriamente uno stinco di santo, custode dei beni del notissimo e non proprio onestissimo Tony Ebola; è affetto da una zoppia a una gamba procurata da un incidente sul lavoro non riconosciuto, ed è proprio per questo che è suo cliente.
Strazzer lo conosceremo alle prese con la giustizia; e non poteva essere altrimenti vista la sua propensione a mettersi nei guai. Fermato dai carabinieri, che di lui non sanno che farsene; non sanno se indagarlo per tentato omicidio o se dargli una medaglia per aver sgominato una banda di zingari.
Nella confusione della caserma dei carabinieri Strazzer incontrerà per puro caso Leda Sabrini, show girl famosissima, alle prese con una denuncia per stalking.
I due usciti dalla caserma, invece di tornare sulla retta via, ruberanno (cioè ruberà Strazzer), un vecchio Ciao tenuto sotto sequestro, e andranno in giro nella notte milanese.
Diciamo che questo sarà l’elemento cardine di tutta la storia che ne seguirà.

Una storia noir, che ci porterà a conoscere la città di Milano, melting pot di vite, di ambizioni, di affari legali o illegali, uniti a stretto giro con la politica, sotto le guglie del Duomo.
Al protagonista si aggiungono altri personaggi un po’ sopra le righe: ricconi, un colonnello in pensione, vamp, politicanti, criminali, vescovi, e finti avvocati, naziskin stupidi, una portiera impicciona, insomma, chi più ne ha più ne metta.
L’autore ritrae la città con una vena umoristica e scanzonata, come lo è il suo stesso protagonista, Gian Maria Strazzer, che porta il lettore più e più volte a sorridere della sua ironia spiccia ma, a tratti, anche amara.
In clima di elezioni politiche il ‘nostro’ avvocato, si troverà a dover difendere Strazzer in una cosa complicatissima, un ricatto che potrebbe far saltare l’elezione del candidato sindaco. E per lui è un grosso problema, perché lo studio dove lavora, lo rappresenta.
Torneremo indietro nel tempo e ci sembrerà di rivivere la questione “Mani Pulite” in chiave romanzata, con tutte le connivenze scoperte in quegli anni.

In ogni caso, oltre a essere un libro alquanto scanzonato, è anche un buon giallo e non mancherà il colpo di scena finale, degno della tradizione del miglior mistery.
Lo consiglio moltissimo, vi strapperà qualche risata, che non fa mai male, e leggerete comunque un buonissimo libro con una trama noir ben congegnata e con dei personaggi che farete comunque fatica a dimenticare, perché a Gian Maria Strazzer ci si affeziona veramente.

Silvia Marcaurelio

RECENSIONE - Vita fra i giganti di Bill Roorbach

A diciassette anni David “Lizard” Hochmeyer è alto quasi due metri. È il quarterback della scuola, ed è richiesto dalle maggiori università degli Stati Uniti, tra le quali Princeton. Ha una sorella più grande, Kate, anche lei sportiva, una promessa del tennis dell’Università di Yale. Il loro sembra un mondo ordinato, fatto di successi, bei vestiti, serietà nello studio e nello sport, buone azioni e sorrisi solari.
Ma il mondo al di fuori, quello che conducono i “grandi” non è proprio così patinato come sembra e i due fratelli lo capiranno, forse, nella maniera più tragica in assoluto.
Intorno a loro girano personaggi carismatici e non, tra cui una ballerina di fama mondiale Sylphide, sposata con un rocker di successo Dabney Stryker-Stewart, e altri di dubbia moralità.

In un giorno quasi normale, dopo un pranzo in un ristorante, i genitori di David e Kate vengono uccisi e i due ragazzi sono soli, alla deriva.
Nonostante tutto, tra molti bassi e qualche alto i due riescono ad avere una certa carriera nello sport: David come quarterback di riserva nella NFL nei Miami Dolphin, sempre desiderato dalle donne più belle, ma legato con un rapporto ambiguo e quasi malsano con Sylphide, e sua sorella Kate nel circuito professionistico di tennis, seguendo il percorso di sua madre. Però la vita dei due, costellata da svariate conoscenze e frequentazioni, si scopre essere piena di segreti mai confessati.

I segreti dei loro genitori, una madre ex campionessa di tennis dedita ai Martini, il padre arrestato da un giorno all’altro dall’FBI per oscuri motivi, così come quelli di Kate, eccentrica, folle, bellissima e bipolare, innamorata di un professore con il doppio dei suoi anni. E quelli della stessa Sylphide, ballerina classica convivente con Dabney Stryker-Stewart, una famosissima rock star degli anni Settanta, morto in circostante drammatiche. Tutti e due vivono una vita fatta di perdite, e senza le coordinate giuste scelgono ciò che gli propone al momento la casualità degli eventi.

I segreti, come abbiamo detto, sono veramente tanti, perché sono quelli che ogni personaggio che è presente nella storia porta con sé e che fanno vivere il racconto strutturato in piani diversi ma convergenti.
Le vite di Kate e David sono legate irrimediabilmente con i disastri del marito rockstar della ballerina, in modi intimi e sorprendenti. Anche nei decenni successivi, Kate e David, cercheranno in ogni modo di scoprire i motivi dietro la morte dei loro genitori, tornando più volte a parlare dei suoi loschi affari, delle finanze instabili, e della ballerina che si è insinuata in qualche modo nelle vite di entrambi.

A David “Lizard” Hochmeyer, giocatore di football e poi ristoratore di successo, non basta una vita per mettere insieme i pezzi di un puzzle complicato e duro da digerire.
Roorbach ci porta in un’America un po’ sconosciuta ai più. Un paese di provincia, Westport, vicino alla grande città. Un’America ferita dalla morte di Kennedy e dalla guerra del Vietnam, ma anche un’America fatta di persone losche e malfamate, di giri di soldi sporchi, di mafia e omicidi, di vendette efferate, di persone famose legate a doppio filo con loschi individui, ma ce le fa vedere con gli occhi di un ragazzo diciassettenne prima e con quelli di un uomo che, forse, non vuole vedere quello che lo circonda.
David è un personaggio particolare. Nonostante la sua altezza, la sua mole possa incutere terrore, è un uomo molto buono e molto onesto. È uno che lascia andare piuttosto che creare caos. Soffre molto la morte dei suoi genitori, nonostante ne parli poco con chi lo frequenti, soffre per un amore che potrebbe essere solo sbagliato, quello con Sylphide, ma è l’unico che riesce a durare nel tempo. Soffre la malattia di sua sorella Kate, e ne fugge prima, per pentirsene dopo.
È la sua vita quella che racconta Roorbach in questo romanzo, anche se il gigante del titolo non è lui.

Silvia Marcaurelio