lunedì 11 aprile 2016

RECENSIONE – Città in fiamme di Garth Risk Hallberg



Libro d’esordio per questo autore. Ha avuto un discreto battage pubblicitario. In patria è stato addirittura paragonato a Tom Wolfe con il suo “Il falò delle vanità”. Non credo si arrivi a tanto, però il ragazzo ha sicuramente del talento, considerando che il periodo che racconta nel suo romanzo non l’ha proprio vissuto e soprattutto non ha mai abitato a New York. E’ un bel tomo, non c’è che dire. Parecchio scomodo da portarsi dietro perché abbastanza pesante, ma la storia in sé ci fa dimenticare la scomodità, perché è bella, struggente e triste. Forse la lunghezza del racconto, un migliaio di pagine e poco più, è un po’ eccessiva. Di molte pagine, descrittive, se ne sarebbe potuto fare a meno, snellendo la storia di orpelli quasi inutili. La storia scorre piacevolmente, il libro non è mai noioso. Fondamentalmente può essere catalogato come un poliziesco, ma si rifà anche a quei vecchi romanzi sulle famiglie d’epoca. Fa pensare un po’ un “Via col vento” in chiave moderna. Lo stile è quello dei romanzi di Dickens, dove un evento apparentemente casuale da il là alla storia. Siamo nella New York alla fine degli anni Settanta. Da una parte New York era vista come una città cosmopolita e liberale, dove tutti potevano trovare un posto, esaudire il classico sogno americano. Ma era anche un grandissimo calderone, pronto ad esplodere fatto di quartieri a rischio con un altissimo degrado urbano, popolati  di persone per lo più emarginate. E in questo contesto si inserisce la storia e l’antefatto da cui parte è l’aggressione, nella notte del Capodanno del 1976, di una studentessa universitaria, non ancora diciottenne, all’interno di Central Park. Samantha Cicciaro, diventerà, malgrado sia riversa in fin di vita in un letto di ospedale, il pretesto per una piccola rivoluzione: quel black out, realmente accaduto ma con altri motivi, del 13 luglio 1977, dove New York venne messa a ferro e fuoco dai suoi stessi abitanti. Nell’arco della narrazione incontreremo tutti gli altri protagonisti della storia, ognuno di loro ha in qualche modo un legame con la vittima, chi più, chi meno. Ogni capitolo avrà la voce di uno di questi personaggi, ognuno con il suo punto di vista, come se la storia fosse fatta a fette. Un poliziotto a fine carriera che indaga sull’aggressione, un giornalista d’inchiesta, un professore di colore, un punk-rocker e la sua famiglia, un fuochista pirotecnico, un assistente in una galleria d’arte, un banchiere-broker e un ragazzino ebreo punk dalle idee confuse. Nel bel mezzo della storia ci imbattiamo ogni tanto in “intermezzi” che possono essere lettere, documenti, articoli di giornali, e-mail (scritti in caratteri diversi), che ci aiutano a legare fatti e personaggi tra loro. Lo scrittore è abile nella caratterizzazione dei personaggi ed anche a legare una storia a dir poco complessa, dove alla fine ogni tassello andrà al suo posto, regalandoci un libro molto difficile in sé, ma molto bello. Leggendo il romanzo si ha l’impressione di tornare indietro nel tempo, con la sensazione di vivere nella città di New York in quegli anni, dove il movimento punk la faceva da padrone, dove il rumore dello scoppio delle molotov era una cosa normale, dove c’erano interi quartieri disabitati, negozi chiusi, abitazioni sprangate, edifici abbandonati, terra di nessuno. Una città con un rumore di fondo incessante, di uomini e donne insoddisfatti, sempre pronti ad accendere una miccia e a dar fuoco alla città, ma allo stesso tempo a sentirsi parte di una città aperta, libera e disponibile. Voto: 8

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