sabato 3 febbraio 2018

RECENSIONE – Canto della pianura di Kent Haruf




Canto della pianura di Haruf è probabilmente una delle cose più intense, liriche e reali che ho letto ultimamente. Lo è anche tra i molti romanzi contemporanei che affollano gli scaffali delle librerie. Seguendo il consiglio di chi lo aveva letto prima di me ho letto questo come primo libro, ne seguiranno altri due, Crepuscolo e Benedizione, che, secondo alcuni possono anche essere letti a sé. Però io, dopo il primo, non mi farò scappare il seguito della trilogia di Holt. Holt per l’appunto. Questo immaginario paesino americano dove si respirano anni 50/60, dove vivono, alle volte con difficoltà persone normali. E forse è questa la forza di questo libro, raccontare uno spaccato di vita normale, di quella di tutti  i giorni. Il romanzo è scritto a voci alterne di una manciata di personaggi. Un microcosmo di uomini e donne, con i loro drammi, i sogni e le speranze – semplici e misurate – con le passioni e le solitudini quotidiane. Haruf non eccede mai e nel rappresentare questo spaccato di vita, sceglie il dettaglio, lasciando al lettore lo sforzo di immaginare ciò che resta sotto la superficie, interpretare i silenzi e le paure.  Facciamo perciò la conoscenza di Ike e Bobby, hanno dieci e nove anni, sono i figli del professor Tom Guthrie, ma non per questo non si debbono in qualche modo guadagnare da vivere. Li troviamo che prima  della scuola, fanno il loro giro in bicicletta per il paese a consegnare i giornali. Sono una forza, sono speciali. Sono legati da una vera fratellanza, da una complicità incredibile, forse perché devono alleviare l’assenza della loro madre, che è una persona instabile e chiusa in se stessa, che passa le sue giornate chiusa in una stanza buia. Il loro padre Tom, è una persona per bene ed un professore che tende ad educare e pretendere che ognuno faccia il proprio dovere, non accetta compromessi. Anche per se stesso. Sa che una parte della colpa del fallimento del suo matrimonio è sua, ma lui è intenzionato ad andare avanti a non fermarsi. Canto della pianura è un inno alla vita. E’ carico di speranza e fiducia nelle possibilità di riscatto. E’ il racconto di chi è capace di accogliere, ma anche di escludere con la stessa intensità. E’ un luogo fuori dal tempo della provincia americana, bellissima e crudele, che per qualcuno significa casa ed affetti, e per altri è soffocomento e solitudine. E’ la storia di rapporti familiari, laddove la famiglia non è determinata dai legami di sangue. E’ la vita che inizia: delle nuove strade da prendere, dei nuovi rapporti e dei cambiamenti necessari. Come la storia di Victoria, sedici anni, ripudiata da sua madre perché incinta, senza un posto dove andare a stare, viene accolta da due vecchi fratelli, nella più improbabile delle situazioni, e vi trova casa e famiglia. Il rapporto tra Victoria e i Fratelli McPheron non è privo di difficoltà; all’inizio i due non sanno come comportarsi, sono solitari e taciturni, come sono sempre stati, ma lentamente si conoscono, mettendo in discussione tutto quello che è stata la loro vita fino ad allora. Nel legame che si crea tra loro c’è quasi tutto il romanzo. Non vorresti separarti mai da quei due vecchi fratelli. Due vite intrecciate da sempre, scandite dal duro lavoro, da ritmi e abitudini da tempo consolidate, in quella vecchia casa solitaria. Ogni giorno più o meno uguale a quello precedente, finché non arriva Victoria a sconvolgere ogni cosa e a darle un senso. L’atttenzione per i dettagli e per come vengono messi in parola diventano quasi poesia come per la descrizione del sole dorato che illumina la polvere sollevata da un furgone in movimento o diventa cruda e diretta quando rappresenta la cernita delle mucche gravide, il parto difficile della mucca o l’abbattimento e l’autopsia del cavallo, tutte scene descritte con dovizia di particolari, con brutalità, ma dove si riesce a cogliere bellezza e vita. Non aspettatevi colpi di scena ad ogni pagina, non ne troverete, o stravaganze o epici drammi. No, la grandezza di questo libro sta tutta nel potere della parola e di come vengono raccontate vite comuni, rese straordinarie dalla letteratura. Nella fittizia comunità di Holt, lo scrittore crea la vita e la carica di bellezza, anche quando è tragica e disperata. Celebra i sentimenti dell’uomo comune, le esistenze ordinarie; i giorni che passano lenti scanditi dal lavoro, dal passaggio delle stagioni, da felicità misurate. Nonostante tutto c’è speranza, fiducia nell’uomo e nei suoi istinti. Voto: 9

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