Questo romanzo è, forse, uno dei
libri più belli che ho letto negli ultimi 5 anni e di libri ne ho letti
parecchi. Prima di leggerlo avevo sentito e letto pareri molto discordanti. Chi
lo aveva trovato bellissimo, un capolavoro della letteratura moderna, molto
pochi e chi, tanti, lo avevano tacciato di essere noioso, lungo e addirittura
una “furbata” commerciale. Io, da parte mia, l’ho trovato struggente, dolce,
malinconico, entusiasmante e crudele, tanto crudele, ma bellissimo. Molti lo
considereranno un romanzo sull’amicizia, ma non è solo questo, è molto di più. É anche
una storia sull’accettazione di sé, sulla psiche umana, sui maltrattamenti, sull’autolesionismo,
i sensi di colpa e la vergogna, e sul
dolore fisico e dell’anima. Il romanzo
ha per protagonista Jude St. Francis e gran parte della sua vita. Lo conosciamo
intorno ai vent’anni, età in cui si apre il romanzo, mentre vive e studia
all’Università di Boston insieme a tre inseparabili amici: Willem Ragnarsson,
aspirante attore, Malcolm Irvine aspirante architetto e JB Marion aspirante
pittore. Ancora al di là dall’affermarsi professionalmente, sempre a contare
gli spicci per andare avanti a parte Malcolm ricco di famiglia, ma forti della
loro amicizia. Ma Jude ha una storia che nasconde a tutti anche ai suoi amici,
nonostante gli voglia bene. Una storia di traumi indelebili di un’infanzia
violata, un corpo malato di cui deve tener conto e la sua incapacità di
instaurare un rapporto di fiducia con gli altri e di accettare e prendere per
veri i pochi momenti di felicità che la vita gli riserva. La storia è
raccontata a capitoli alternati dai vari protagonisti di cui ascolteremo tutte
le voci, le impressioni, le emozioni, ma saranno incentrati tutti sul rapporto
che hanno con Jude, che è uno dei personaggi più belli che ho incontrato nei
libri di letteratura contemporanea. É un uomo lacerato sia nel fisico che
nella psiche, ha un dolore incurabile di cui si prende tutte le colpe, ma nonostante questo risulta essere un
personaggio bellissimo ed è difficile non rimanerne conquistati, anche se delle
volte ho sopportato a fatica il suo autolesionismo. Forse il titolo in italiano
non rende molto ed è distante dalla trama del libro, il titolo originale tradotto,
“Una piccola vita” avrebbe forse reso meglio il senso della storia. Anche se la
scrittrice è una donna, la storia è tutta al maschile, le donne restano sullo
sfondo, molto sfumate. Uomini che risultano essere vittime e carnefici, capaci
delle peggiori bassezze e crudeltà, ma anche della più umana gentilezza. La
Yanagihara fa una profonda esplorazione dell’universo maschile: le paure, la
vergogna di esporsi soprattutto per rispettare i canoni imposti dalla società.
Una vita come tante affronta, insieme ai suoi protagonisti, tutte le sfumature
della psiche umana: gli abusi subiti in età infantile, il trauma che accompagna
l’età adulta, i sensi di colpa, la vergogna, l’autolesionismo, fino al
desiderio di morire. L’autrice riesce a raccontare tutto con estrema
delicatezza e sensibilità. É un bel tomo di millecento pagine che mi
hanno conquistata. Un libro che ha vita propria e che da vere sensazioni di
claustrofobia, gioia, affetto, sofferenza, nausea e libertà. Bellissima la
caratterizzazione di quelli che sono i co-protagonisti, Willem, Malcolm e JB.
Non dimenticando Harold, Julie, Andy e Richard, più sfumati, ma con una parte
fondamentale nella storia. “Essere amico di Jude significava spesso non porsi
le domande che ci si sarebbe dovuti porre, per paura delle risposte”. Consigliatissimo.
Voto: 10
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