mercoledì 18 aprile 2018

RECENSIONE – Girl in snow di Danya Kukafka



Questo è il romanzo d’esordio di questa autrice Danya Kukafka. All’estero hanno molto parlato di questo romanzo, soprattutto per cercare in inserirlo in una categoria ben precisa. É un thriller, ma non lo è, è soprattutto, secondo me, un romanzo psicologico. I fatti si svolgono a Broomsville, una piccola cittadina americana in Colorado, sormontata da grosse ed eterne montagne innevate. Dove d’inverno fa veramente freddo e d’estate si trasforma in un deserto caldissimo. L’uccisione della ragazzina della porta accanto, Lucinda Haley, bellissima, biondissima, perfetta in ogni suo modo di fare, sconvolge la piccola comunità, che come sempre succede, nasconde sotto la sua patina moralista, più di qualche scomodo segreto. Le indagini portano subito a diverse ipotesi su chi possa essere l’efferato assassino: l’ex ragazzo della vittima, il ragazzo strano suo vicino, il guardiano notturno che ne ha trovato il corpo. I narratori della storia sono tre, che alternano le loro voci e le loro impressioni su quello che saranno le indagini della polizia per scoprire il l’omicida della  ragazzina. Cameron è un ragazzino di quindici anni, compagno di scuola di Lucinda. Ne è ossessionato. Cameron non è propriamente normale, lo capiamo subito dalla descrizione che l’autrice ne fa. É in costante lotta con sé stesso, “Aggrovigliato” o “Sbrogliato”. Bravissimo disegnatore, che disegna solo ciò che vede e fino a quel momento, quello che lui vedeva era solo Lucinda. É stato spesso visto a fissare la sua casa immobile come una statua. Ha un’eredità poco edificante, suo padre, un poliziotto è stato processato per omicidio, dopo la sua assoluzione, ha abbandonato moglie e figlio. Il ragazzo ne sente la mancanza, nonostante sappia che il genitore non è proprio una persona per bene. L’altro protagonista, è Jade. Ragazza difficile, soprattutto per ammortizzare le violente crisi della madre e l’indifferenza paterna. Jade ci narra sé stessa, o quello che vorrebbe essere, attraverso delle sceneggiature immaginarie, dove scrive quello che vorrebbe veramente dire o fare, ma non può farlo senza risultare una stronza. É l’unica a raccontarci che della morte di Lucinda non le interessa, perché in fondo lei era una rivale e ne era gelosa, tanto da aver tentato una stregoneria per farla sparire.  Infine c’è Russ, l’unico adulto. É un poliziotto, è stato amico fraterno di Lee, il padre di Cameron, oltre ad essere il cognato della guardia notturna che ha trovato il corpo. É un uomo con tantissimi problemi e limiti caratteriali che a poco a poco, ci verranno svelati da lui stesso nel corso della storia. L’omicidio di Lucinda, quindi, è utilizzato dall’autrice come mero espediente per raccontare una storia diversa, più grande, quella dell’emotività umana. Come apertura del romanzo l’autrice ci invita ad osservare il corpo della ragazzina morta. Può sembrare violento e inquietante, ma è il mezzo utilizzato per sovvertire i preconcetti, destabilizzare i pregiudizi verso le malattie mentali, l’immigrazione, la percezione della sessualità e l’applicazione della legge. Anche se le storie sembrano slegate, è la loro congiuntura a dare al lettore i particolari per risolvere il delitto, a suggerire come stanno veramente le cose, inserendosi nella mente di Cameron e nei suoi traumi, vagando nei tarli della mente di Russ e nella vita complicata di Jade. Nonostante tutto, non mi ha convinta fino in fondo. Ben scritto, con una lirica fluida e scorrevole, mi ha lasciata però con un senso di incompiuto. Quella sensazione di: “Voleva dire, voleva fare, ma non ha detto né fatto”. Non c’è mai stato un vero climax coinvolgente da dare il “là” finale alla storia. Voto: 6,5

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