martedì 16 luglio 2019

RECENSIONE – Sabbie mobili. Tre settimane per capire un giorno di Malin Persson Giolito (di Silvia Marcaurelio)



Questo romanzo è la storia di Maria “Maja” Norberg. Non proprio la storia della sua vita, ma la storia di tre settimane che potrebbero cambiarla per sempre. Maja è sotto processo per strage. Tutti i suoi compagni di classe sono morti, anche un suo professore è morto, lei è l’unica ad essere rimasta viva e non sa perché. La storia inizia con il prologo che ci fa intuire quello che è successo, ma non completamente. Il vero romanzo è il processo che ne conseguirà e che vedrà Maja come unica imputata. Maja ha diciotto anni appena compiuti, è una brava studentessa, molto popolare e proviene da una buona famiglia. Ma questa non può essere una prova della sua innocenza. Chi è Maja veramente? Una vittima o una fredda sociopatica bugiarda? Cosa è successo veramente in quella classe? A raccontarcelo è lei stessa, in prima persona. Sentiamo quello che prova, quello che pensa delle persone che l’analizzano. Dal procuratore che l’accusa, ai suoi genitori, al suo stesso avvocato. Sa quello che pensano di lei le persone al di fuori del contesto, giornalisti e media, persone normali, ma effettivamente cosa sanno? Nulla. A mano a mano che procediamo con le varie udienze, conosciamo effettivamente quello che è accaduto prima del massacro. Il ritmo è lento, ma è voluto. La scrittura è scorrevole e appassionante. La vita di Maja dovrebbe essere tutta rosa e fiori, visto il contesto idilliaco da dove viene. Ma non tutto è come nei film, il mondo idilliaco al di fuori, al di dentro è pieno di ipocrisia, molto più cruento di quello che si possa immaginare, in contrasto con quello che ci viene raccontato della “felice” Svezia, quella “politically correct” che vediamo dal di fuori. Tutto è più cupo e molto più crudele. Ma questa è anche la storia dove gli adulti non sono presenti ed i ragazzi si trovano spiazzati e soli. Maja incontra Sebastian, figlio di un ricco, ricchissimo manager svedese. La loro storia, all’inizio, sembra proprio quella degli innamorati di Peynet. I genitori di Maja sono contenti, il padre di Sebastian pure. Ma a mano a mano che va avanti, la loro storia si rivela per quella che è. Sebastian vive alla grande, da ragazzo ricco e sfrutta la sua ricchezza per aprirsi tutte le porte, e questo fa felici anche gli amici di Maja, Amanda e Labbe, Samir e Dennis.  A tutti “Sebbe” piace, perché spalanca porte che altrimenti sarebbero chiuse. A tutti piace la notorietà che porta, essere sotto i riflettori, frequentare posti fichissimi, fare quello che si vuole e quando si vuole. A lui tutto è permesso: feste, alcol, droghe pesanti, tutto sbagliato, ma tutto per coprire e accettare il menefreghismo di un padre che non crede e non ha mai creduto in lui. Ma Sebastian oltre che a scendere verso l’inferno trascina con sé anche Maja, che con il beneplacito di chi pensava di avere vicino, genitori e amici, si ritrova da sola a combattere una battaglia più grande di lei: salvare Sebastian. Sarà davvero possibile dimostrare che lei è innocente? Che con l’attentato non c’entra nulla? Sarà possibile uscire dalle sabbie mobili che la trattengono? Bello questo romanzo che tratta veramente argomenti scottanti. I genitori che pensano solo all’apparenza, e la loro assenza. La superficialità degli adulti che ruotano intorno ai ragazzi che, non solo non capiscono i disagi, ma li amplificano. L’indifferenza e la freddezza della società svedese, che aggrava i problemi dei giovani, dovuti ai ritmi che vengono imposti per riuscire ad emergere. Tutti problemi che si pensano possano accadere solo alle classi disagiate, ma che toccano tutti, senza esclusione. Voto: 7,5

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