Helene Cooper è una giornalista affermata in America
ha scritto questo romanzo per raccontarci la sua storia di vita in Liberia,
fino alla fuga dopo il golpe militare. Cominciamo a conoscere Helene Cooper dal
1973, quando suo padre decide che è arrivato il momento di elevare il suo
status sociale e di cambiare dimora, trasferendosi nella grande casa di Sugar
Beach. La Liberia, è uno stato costruito dagli schiavi di ritorno dalle colonie
americane, ora uomini liberi. Non proprio africani, molto più americani. La
Liberia è ancora da costruire, quando nel 1820, i primi schiavi liberati dagli
Stati Uniti, attraversarono l’Oceano e vennero riportati in Africa. All'inizio
del XIX secolo fu fondata negli Stati Uniti la American Colonization Society (ACS), una organizzazione privata che si proponeva di
"promuovere ed eseguire un progetto per la colonizzazione dell'Africa da
parte delle persone di colore libere residenti negli Stati Uniti". Nel 1822, la società fondò la Liberia sulle coste dell'Africa
Occidentale, e finanziò la migrazione dei neri americani verso questa
"terra promessa", ma soprattutto venne finanziata per sistemare i
neri ormai liberi, lontani dagli Stati Uniti. Quando misero piede a terra,
erano rimasti in sessantasei uomini del centinaio che erano partiti dal porto
di New York sull’Elizabeth, altri morirono poco dopo distrutti da un’epidemia
di malaria. Erano i padri fondatori della Liberia, terra degli uomini liberi.
Tra loro c’erano un antenato di Helene Cooper, l’autrice di questo libro. Si
chiamava Elijah Johnson, che finì sui libri di storia per aver fondato la
capitale Monrovia e aver rifiutato l’aiuto della Corona inglese per sconfiggere
le popolazioni indigene, che nulla volevano, per cedere la loro terra a questi
strani neri, figli e nipoti di altri neri come loro, partiti generazioni prima
come carico di schiavi e che ora rivendicavano non solo la terra, ma anche la
libertà. “C’è sempre qualcuno più nero di
te.” Ma la lotta con i nativi non era facile, gli inglesi si proposero di
aiutarli, ma Elijah Johnson non accettò. La frase che disse loro, e che passò
alla storia e lo consegnò ai posteri fu: “Non vogliamo bandiere qui. Ci
metteremmo più tempo ad ammainarle di nuovo che a spazzar via i nativi”. La
famiglia Cooper c’era allora, e ci sarebbe sempre stata. Dalla proclamazione di
indipendenza del 1947 fino al 1980, anno in cui il colpo di stato mise fine al
sogno di una terra di uomini liberi. Di lì a poco le guerre civili avrebbero
reso la Liberia un altro pezzo d’Africa devastato. Helene se ne andò in America
che era ancora una bambina per ritrovarsi non più americana, ma africana in
America. Cresciuta a metà tra le due culture, assimilando la nuova e cercando
di non dimenticare la vecchia, Helene divenne dopo gli studi giornalista per il
Washington Post. Conosceva le notizie sulla sua Liberia, ma non aveva mai
trovato il coraggio di tornare, ma soprattutto di tornare, per trovare la sua
sorellastra Eunice, cresciuta con lei, ma lasciata lì dopo la fuga della sua
famiglia. Quella bambina che era stata “adottata” per farle compagnia, e nel frattempo
aveva sofferto tutto quello che una donna può sopportare in un paese senza
nessuna legge, con la paura di vedersi rapire il figlio di cinque anni per
diventare un soldato. La vera eroina è forse proprio lei, Eunice. Sapremo cosa le è veramente accaduto nelle
ultime pagine del racconto, quando Helene, nonostante tutto vorrà
riappropriarsi della propria esistenza e della sua patria e tornerà in Liberia
a cercare il suo passato e soprattutto Eunice. Questo romanzo è il suo viaggio
di ritorno a casa e soprattutto per andare in cerca di una sorella perduta,
forse per sempre, o forse no. Voto: 7,5
Nessun commento:
Posta un commento