giovedì 19 giugno 2014

RECENSIONE - LE BAMBINE DI SUGAR BEACH DI HELENE COOPER

Helene Cooper è una giornalista affermata in America ha scritto questo romanzo per raccontarci la sua storia di vita in Liberia, fino alla fuga dopo il golpe militare. Cominciamo a conoscere Helene Cooper dal 1973, quando suo padre decide che è arrivato il momento di elevare il suo status sociale e di cambiare dimora, trasferendosi nella grande casa di Sugar Beach. La Liberia, è uno stato costruito dagli schiavi di ritorno dalle colonie americane, ora uomini liberi. Non proprio africani, molto più americani. La Liberia è ancora da costruire, quando nel 1820, i primi schiavi liberati dagli Stati Uniti, attraversarono l’Oceano e vennero riportati in Africa. All'inizio del XIX secolo fu fondata negli Stati Uniti la American Colonization Society (ACS), una organizzazione privata che si proponeva di "promuovere ed eseguire un progetto per la colonizzazione dell'Africa da parte delle persone di colore libere residenti negli Stati Uniti". Nel 1822, la società fondò la Liberia sulle coste dell'Africa Occidentale, e finanziò la migrazione dei neri americani verso questa "terra promessa", ma soprattutto venne finanziata per sistemare i neri ormai liberi, lontani dagli Stati Uniti. Quando misero piede a terra, erano rimasti in sessantasei uomini del centinaio che erano partiti dal porto di New York sull’Elizabeth, altri morirono poco dopo distrutti da un’epidemia di malaria. Erano i padri fondatori della Liberia, terra degli uomini liberi. Tra loro c’erano un antenato di Helene Cooper, l’autrice di questo libro. Si chiamava Elijah Johnson, che finì sui libri di storia per aver fondato la capitale Monrovia e aver rifiutato l’aiuto della Corona inglese per sconfiggere le popolazioni indigene, che nulla volevano, per cedere la loro terra a questi strani neri, figli e nipoti di altri neri come loro, partiti generazioni prima come carico di schiavi e che ora rivendicavano non solo la terra, ma anche la libertà. “C’è sempre qualcuno più nero di te.” Ma la lotta con i nativi non era facile, gli inglesi si proposero di aiutarli, ma Elijah Johnson non accettò. La frase che disse loro, e che passò alla storia e lo consegnò ai posteri fu: “Non vogliamo bandiere qui. Ci metteremmo più tempo ad ammainarle di nuovo che a spazzar via i nativi”. La famiglia Cooper c’era allora, e ci sarebbe sempre stata. Dalla proclamazione di indipendenza del 1947 fino al 1980, anno in cui il colpo di stato mise fine al sogno di una terra di uomini liberi. Di lì a poco le guerre civili avrebbero reso la Liberia un altro pezzo d’Africa devastato. Helene se ne andò in America che era ancora una bambina per ritrovarsi non più americana, ma africana in America. Cresciuta a metà tra le due culture, assimilando la nuova e cercando di non dimenticare la vecchia, Helene divenne dopo gli studi giornalista per il Washington Post. Conosceva le notizie sulla sua Liberia, ma non aveva mai trovato il coraggio di tornare, ma soprattutto di tornare, per trovare la sua sorellastra Eunice, cresciuta con lei, ma lasciata lì dopo la fuga della sua famiglia. Quella bambina che era stata “adottata” per farle compagnia, e nel frattempo aveva sofferto tutto quello che una donna può sopportare in un paese senza nessuna legge, con la paura di vedersi rapire il figlio di cinque anni per diventare un soldato. La vera eroina è forse proprio lei, Eunice.  Sapremo cosa le è veramente accaduto nelle ultime pagine del racconto, quando Helene, nonostante tutto vorrà riappropriarsi della propria esistenza e della sua patria e tornerà in Liberia a cercare il suo passato e soprattutto Eunice. Questo romanzo è il suo viaggio di ritorno a casa e soprattutto per andare in cerca di una sorella perduta, forse per sempre, o forse no. Voto: 7,5

Nessun commento:

Posta un commento