giovedì 11 giugno 2015

RECENSIONE - Hunger Games. Il canto della rivolta di Suzanne Collins

In questo ultimo capitolo della saga pensavo di trovare tanta azione, tanta guerra e tanta gloria per i nostri eroi. Invece no. Dalle prime pagine si avverte il clima freddo e angosciante e una malinconia crescente, come in un’asfissiante prigione. Sì una prigione, quella che sembra a Katniss il Distretto 13, il luogo dove è stata portata dopo il “salvataggio” dall’arena dei Giochi della Memoria. Ma la “Ghiandaia Imitatrice” non è più la stessa e lo capiamo immediatamente. Le torture psicologiche, le lotte e le battaglie che ha dovuto affrontare l’hanno cambiata esteriormente, ma soprattutto psicologicamente. La prima parte del libro, un po’ come negli altri due volumi, parte un po’ lenta. E’ come sempre quella che la Collins dedica alla riflessione. Abbiamo modo di conoscere la nuova katniss. Quella impaurita, stanca e distrutta interiormente e fisicamente e al centro della narrazione ci sono i suoi pensieri. I maggiori esponenti del Distretto 13, Plutarch e la Coin, sembrano avere una doppia faccia, e si percepisce da subito qualcosa di sbagliato. Il ritmo diventa più serrato dopo la riapparizione di Peeta, che viene liberato da Capitol City, ma è profondamente provato e inesorabilmente diverso. Non c’è più il dolce ragazzo del pane, è stato spezzato. La guerra ci viene mostrata con lunghi flash che ci mostrano soprattutto i danni della stessa, che colpiscono sia i vincitori che i vinti, ma soprattutto la popolazione inerme, e mai come prima si ha uno spaccato reale della potenza che ha in Panem la televisione con la sua forza mediatica, e la Collins questo lo sottolinea in modo particolare, tanto potente da muovere le file della rivolta. E se da un lato ne emerge una critica alla società attuale, dall’altro ci fa capire l’importanza che un mezzo del genere può acquistare, e come l’uso delle parole può essere uno strumento per far muovere le masse. La parte avvincente e più ricca di azione inizia con la seconda parte del libro, ed è molto più cruda e drammatica e profonda che nei due precedenti capitoli. La corsa alla vendetta di katniss riporterà il lettore nell’arena degli Hunger Games, come se non ci si fosse mai allontanati abbastanza. Ne “Il canto della rivolta” l’autrice abbandona l’ideale eroico dei primi due volumi. Mette a nudo le mostruosità che può compiere l’essere umano dipingendo un chiaroscuro di eventi e personalità. Vengono mosse coscienze e sollevate discussioni. Tutti i personaggi principali, si spostano dalle loro posizioni iniziali, Katniss più di tutti. Perde il suo smalto da eroina impavida e diventa più umana fino a raggiungere un atteggiamento egoistico. Non è più la Ragazza di Fuoco, è il fantasma di ciò che è stata nei precedenti volumi, ha perso la sua purezza d’animo e si trova davanti a giochi di potere che le fanno capire che non c’è un vero nemico, perché in ogni essere umano c’è una parte malvagia. La ultime pagine del romanzo sono da togliere il fiato, a volte disturbano e agghiacciano. L’autrice vuole allo stesso tempo dare e togliere speranza. Non c’è possibilità di cambiamento, perché come dice Plutarch a katniss, “è l’essere umano è stupido e incostante, e ha la memoria corta e un grande talento per l’autodistruzione”. La ragazza che è sopravvissuta a due edizioni dei Giochi, che ha sfidato Capitol City è ormai una giovane donna, fredda e distante. Ha lottato e ha perso. L’unico motivo per cui si era offerta volontaria, che l’aveva spinta a combattere, sua sorella Prim, è morta. In effetti era forse l’unica ad aver avuto il suo amore incondizionato. Con la sua morte, tutto il mondo di Katniss è andato in frantumi, ma contro ogni aspettativa, come la Ghiandaia Imitatrice, Katniss sopravvive, anche se il suo universo interiore è ormai spento e perso per sempre. Katniss sembra senza anima, vuota, ma c’è sempre un piccolo frammento di vitalità che Peeta, tornato al distretto 12, riesce a tirare fuori. Entrambi non sono più “Gli sfortunati amanti del Distretto 12” del primo libro, sono adulti e sono distrutti dagli orrori che hanno vissuto. Il fatto che Katniss scelga Peeta non è frutto di un vero amore, ma il risultato di un ragionamento anche egoistico se si vuole. Lei vede in Peeta l’unica speranza di sopravvivere. Il finale è freddo. Il monologo di Katniss mentre racconta dei suoi figli, ci fa capire quanto lei, sia ormai vuota. Sembra che non riesca a provare nessuna emozione nemmeno nel veder crescere i propri figli, che sono nati solo per il desiderio di Peeta, non certo il suo. “Il canto della rivolta” è il finale perfetto per questa saga che non condivide la tradizione fantasy, dove il finale si chiude con un lieto fine ricco di buoni sentimenti. Al contrario la Collins non mente e nonostante la vittoria contro Capitol City, il racconto si sofferma sui dolori e sulle conseguenze che i combattenti hanno subito e che si porteranno dietro per il resto della vita. Questa è la conclusione migliore per questa saga, l’autrice si dimostra fino alla fine una narratrice in grado di sorprendere, esaltare e commuovere, spaventare e far riflettere. L’ultimo capitolo è straziante. Straziante perché vero e doloroso, ma perfetto! Voto: 8

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