lunedì 23 gennaio 2023

RECENSIONE - Un'altra storia di Luca Ongaro

In un passato distopico l’Italia non ha mai perso la battaglia di Adua del 1896 e nel 1956 si ritrova ancora ad essere un regno sotto i Savoia, a non aver mai partecipato alle guerre mondiali, ad avere al governo Pella e Fanfani, dopo un ventennio di governo Matteotti e Mussolini è ormai soltanto un patetico ministro delle Colonie.
La vita del Commissario Campani, passata tra Macallé e Wukro, è una vita molto ordinaria. Nato a Wukro da genitori italiani, mandato a studiare in patria quando ne ha avuto l’età ha preso una laurea in Giurisprudenza, ma è tornato in Eritrea per nostalgia. Francesco Campani ama la sua “casa” dove ha tutto quello che può desiderare. Un paesaggio stupendo, che si affaccia sull’altopiano, un fiumiciattolo che scorre vicino casa, uno splendido frutteto pieno di bontà e soprattutto un albergo, una stazione di servizio e quanto altro l’acume imprenditoriale di suo nonno gli avevano fatto sviluppare, con quel pezzo di terreno ricevuto dopo la vittoria di Adua.

Una mattina di caldo afoso come molte altre, mentre è alle prese con le solite scartoffie, viene interrotto dal suo fido secondo, ispettore Araya, che gli comunica che un certo dottor Amurri, un archeologo che sta lavorando sul sito di Romanat, gli vuole parlare.
Il dottor Amurri si presenta con una scatola contente un teschio. Spiega a Campani che non è un teschio antico, e che sicuramente la persona che era, è morta ammazzata.
Da questo antefatto comincia l’indagine per niente facile per Francesco Campani che si dovrà dare da fare per dare un nome a quel teschio che per ora riposa in una scatola sulla sua libreria.
Nel corso dell’indagine il simpatico commissario è aiutato da tre figure fondamentali: l’ispettore Araya con cui ha un rapporto molto confidenziale e Salvatore e Kokeb, i due dipendenti del suo albergo, che per lui sono più di una famiglia.
Oltre al cold case, Campani dovrà anche affrontare una sorta di rigurgito nazionalista da parte del governo italiano e delle sovversioni da parte degli eritrei che lottano per la loro indipendenza.

L’autore caratterizza Francesco Campani come un lupo solitario, che non si accontenta di ciò che gli viene proposto dai suoi amici, tutti propensi a farlo sposare. Pensa che l’amore arriverà quando se ne renderà conto. Ed è proprio mentre indaga che appare sulla sua strada la Dottoressa Emma Giusti, una donna indipendente che lotta in un mondo lavorativo prettamente maschile, senza farsi mettere i piedi in testa.
E questo lo scoprirà anche il bel Campani, che rimarrà folgorato sulla via di Damasco tra simpatici scontri verbali visto la caparbietà di entrambi.
Tra chiese rupestri, paesaggi sconfinati e i primi fermenti dell’indipendenza eritrea, riuscirà Campani a portare a termine ciò che ha promesso a quel teschio nella scatola?

Divertente giallo che ci riporta in un contesto storico particolare, anche se fittizio. Romanzo in parte vero, in parte no e come ci spiega lo scrittore alla fine, molte connotazioni storiche geografiche sono state piegate e distorte per far funzionare il romanzo e la narrazione. L’autore ha creato qualcosa di nuovo e ideato, altresì, dei personaggi simpatici e divertenti, che parlano di argomenti comunque importanti, ma con una sorta di leggerezza, tra i quali l’oppressione di un popolo sottomesso o la mancanza di un bene importante quale può essere l’acqua.
La trama gialla è perfetta, l’intreccio tra storia e personaggi e pure qualche risata ci risollevano anche l’anima. La scrittura è di facile comprensione, c’è sempre la voglia di continuare a leggere per vedere effettivamente come la storia vada a finire.
Spero di ritrovare presto il Commissario Campani alle prese con la sua Emma e con altri casi da risolvere.

Silvia Marcaurelio

 

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