Mosca, 1905. Il conte
Aleksandr Il’ic Rostov, membro della vecchia aristocrazia russa, viene scortato
in Cremlino per un faccia a faccia con il Comitato d’Emergenza del Commissario
del popolo. Verrà condannato dal Tribunale del Popolo, senza nessun appello,
agli arresti domiciliari presso l’Hotel Metropole. Non potrà mai lasciare
l’albergo, perché il solo sorpassarne la porta potrebbe condannarlo alla
fucilazione. Il conte è un uomo fiero, un gentiluomo molto colto e molto arguto
e non è affatto intenzionato a lasciarsi scoraggiare dalla sfortuna. Non è un
uomo vendicativo come l’Edmond Dantes di Dumas, ma è un uomo che sa governare
le circostanze, e decide di affrontare la sua prigionia mantenendo la propria
determinazione. La pena in effetti non è così grave. Il Metropole è il migliore
Hotel di Mosca, anzi tra i più sfarzosi di Russia. In stile art déco, ha al suo
interno rinomati ristoranti, punto di ritrovo delle persone ricche, influenti
ed erudite. Certo il conte è un uomo di mondo, abituato a viaggiare in lungo e
in largo, con una intensa vita sociale, la reclusione, anche se in un albergo
di lusso, sembra essere un gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. E mentre nel
mondo al di fuori dell’albergo imperversa la politica di Stalin, che ha preso
il controllo del paese, e vede assottigliarsi i rapporti con i paesi
occidentali, il conte decide di vedere i lati positivi della prigionia e di
considerarsi l’uomo più fortunato della Russia.
Nonostante, i cambi di direzione dell’albergo che lo fanno diventare
sempre meno di lusso e sempre più un ramo della burocrazia russa, Rostov
reinventa se stesso e questo lo fa sopravvivere. Da uomo abituato a non avere
nessuna occupazione si ritrova a servire a quegli stessi tavoli dove poco prima
mangiava lui, servito e riverito. A distrarlo e a tenerlo su di morale ci pensa
anche una piccola e curiosa inquilina che come lui, vive al Metropol, Nina
Kulikova, figlia di un uomo di governo, che la lascia sempre e costantemente da
sola. I due vivono l’albergo, riescono a farlo espandere, scovando passaggi
nascosti e stanze segrete, forse solo reinventandole. Sarà Nina che si occuperà
della rieducazione del Conte, che lo porterà a comprendere quando sia vasto il
mondo e affascinanti i personaggi che lo popolano, anche solo tra le quattro
pareti di un albergo. Con un linguaggio ricco di umorismo, un cast di
personaggi scintillanti, tra rivoluzionari intransigenti, stelle del cinema, e
intellettuali disillusi, la storia si snoda, tramite la scrittura quasi poetica
di Towles, donandoci un protagonista che ha il pregio di rendersi
indimenticabile. Bellissimi anche i co-protagonisti Sofia, figlia di Nina,
Marina la sarta dell’Hotel, Vasily il portiere, Emile lo chef del ristorante
Boyarsky, Andrey il maitre, senza dimenticare Anna, Osip e Mishka, che
diventeranno tutta la sua famiglia. Il personaggio del conte è ben costruito,
ha una sua personalità, che subirà cambiamenti nell’arco della narrazione.
Subirà un’evoluzione con il ribaltamento della sua posizione sociale. Dalla
camera extra-lusso al sottotetto dell’albergo, dall’essere un nobile, al
divenire un cameriere. Ma quello che sarà la svolta della sua vita ha solo un
nome: Sofia. Un gentiluomo a Mosca è un libro composto da molti elementi tutti
ben legati tra di loro. Dramma, commedia, riflessione politica resi con stile
dalla narrativa dell’autore. Vi consiglio la sua lettura, perché oltre ad
essere un romanzo piacevole, vi rimarranno nel cuore i protagonisti, e vi
farete anche qualche sana risata. Voto: 8+
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