domenica 4 agosto 2019

RECENSIONE - Il rito del fuoco di John Hart (di Silvia Marcaurelio)


Che dire? Veramente una piccola meraviglia. Avrei voluto non finisse più. So che sentirò la mancanza di tutti i suoi protagonisti.
Ma partiamo dall’inizio.
Johnny Merrimon ha tredici anni, ma il suo sguardo sembra quello di un vecchio. Sua sorella Alyssa, la sua gemella, è scomparsa; rapita da non si sa chi e mai ritrovata, esattamente un anno prima.
La sua vita e quella della sua famiglia ne è uscita sconfitta. Suo padre, Spencer, è scappato, con sulle spalle l’onta della colpa. Sua madre Katherine è crollata e va avanti a psicofarmaci e antidepressivi procurati da Ken Holloway, ex socio di suo padre; uomo gretto, crudele e sbruffone. Uno che può tutto solo grazie alla sua ricchezza e alle mani in pasta in ogni dove. Ha subito approfittato della situazione per infiltrarsi in qualche modo nella famiglia Merrimon, roso dall’invidia.
Johnny ha quindi imparato che l’infanzia è un’illusione, che il Dio che ha tanto pregato, è un’illusione e il solo modo per sopravvivere è acquistare il potere: il potere del fuoco di un vecchio rito indiano.
Lui è l’unico che vuole ritrovare Alyssa e il motivo ce l’ha: vuole rimettere le cose al loro posto, vuole che la sua famiglia torni ad essere quella di un anno prima.
Quindi indaga per conto suo, rischiando molto, con la complicità del suo amico di sempre, Jack Cross.
Parallelamente alle indagini del piccolo Johnny, c’è un’altra persona che ancora cerca Alyssa e non ha mai smesso di farlo dal giorno della sua scomparsa. É il detective Clyde Hunt.
L’uomo è un poliziotto tutto d’un pezzo, molto triste e taciturno. Sembra cinico e duro, ma sotto quella scorza, c’è un uomo gentile, che ama il suo lavoro e sa che il caso di Alyssa è diventato qualcosa di personale. L’insuccesso di non averla riportata a casa gli pesa addosso come un macigno e ha minato e distrutto il suo matrimonio. Sua moglie se n’è andata, lasciandolo solo con il figlio adolescente.
La storia si svolge quindi su due piani. A capitoli alternati seguiremo le indagini di Johnny e quelle del detective Hunt.
Johnny salta la scuola o esce a notte fonda per visitare luoghi pericolosi, mettendosi alla guida dell’auto di sua madre, raccogliendo indizi, osservando persone considerate pericolose dal di fuori delle loro case, attraverso le loro finestre vedendo cose assurde, quando quelle persone pensavano di non essere osservate.
La scomparsa di un’altra ragazzina, Tiffany Shore, esattamente un anno dopo quella di Alyssa, metterà le indagini, ormai ferme da tempo, di nuovo in moto.
Stavolta Hunt vuole fare bene, vuole che la ragazzina torni a casa, sana e salva.
Sarà proprio Johnny a metterlo sulla giusta strada e le storie che correvano parallele avranno, finalmente, un punto d’incontro, completando un puzzle perfetto costruito dall’autore.
Altri personaggi con un grande carisma fanno da co-protagonisti a Johnny e al detective Hunt. Magistralmente descritti dalla penna di John Hart. Penso al gigante Freemantle, che ho immaginato come il Coffey di King ne “Il miglio verde”. Grosso, buono e un po’ stupido. Con la voce di Dio a fargli da guida. O il cattivo Holloway. Proprio un cattivo con i fiocchi. Cinico, bugiardo, crudele e sboccato. Uno che sa che può tutto perché tiene in mano i cordoni della borsa di politici corrotti. Insomma, uno che si fa odiare immediatamente.
La narrazione è scorrevole. A tratti lenta e descrittiva a tratti adrenalinica, ma con una trama ben congegnata e attenta ai particolari. E il finale che non ti aspetti è la ciliegina sulla torta di tutto il contesto.
Un thriller appassionante che vale veramente la pena di leggere. Consigliatissimo!

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