Negli
Stati Uniti è uscito con il titolo The Never List nel 2013, nonostante avesse
avuto luce molto prima dei fatti di Cleveland, la scoperta e liberazione di tre
donne sequestrate e tenute in schiavitù per dieci anni. Ci riporta indietro nel
tempo “Dopo” di Koethi Zan. Ci riporta alle storie raccapriccianti di Natascha
kampusch e di Elisabeth Fritzl. “Dopo” mette in scena un caso simile. Tre
ragazze sono scampate alle torture di un uomo che le ha tenute segregate per
più di tre anni in una cantina di una casa isolata nell’Oregon. L’uomo, Jack
Derber, è un professore universitario di psicologia e dedica la sua vita a
sperimentare su esseri umani la resistenza al dolore estremo. La vera
protagonista del libro è Sarah-Caroline, una persona maniaca del controllo che
insieme alla sua amica Jennifer avevano stabilito, con calcoli statistici, il
modo per star fuori dai pericoli della vita. Il titolo originale, The Never
List , la lista delle cose da non fare mai, si riferisce alle precauzioni
ossessive che Sarah e l’amica Jennifer avevano compilato durante gli anni di
scuola: mai salire in macchina con uno sconosciuto, non accettare inviti in
luoghi isolati eccetera. Purtroppo, queste regole non riuscirono a evitare
loro, dopo una festa con i compagni di università, di cadere nella trappola di
un finto tassista che le rapisce e le porta nella casa-prigione. Jennifer è la
prima a sparire, pochi giorni dopo la sua prigionia e Sarah crede sia morta,
anzi ne ha quasi la certezza, nonostante il cadavere dell’amica non sia mai
stato trovato. Dopo mesi e anni di prigionia, Sarah sfrutta una debolezza nella
metodica di Derber e riesce a fuggire e a far liberare le altre due ragazze
prigioniere, Christine e Tracy. A dieci anni di distanza si apre un dilemma per
tutte e tre, Derber si è convertito a una setta cristiana ed ha una buona
condotta in carcere e si è sposato. Tutto si può rivedere, il suo avvocato ha
infatti chiesto la libertà condizionata. Infatti, non è mai stato accusato di
omicidio, visto che il corpo di Jennifer non è mai stato ritrovato. A ciascuna
di loro, dalla prigione, Jack Derber invia delle lettere e la polizia,
periodicamente, gliele consegna. Lettere enigmatiche, minatorie, il cui
messaggio è uno solo: siete riuscite a scappare una volta, ma io vi sto dietro
e non vi lascerò più. Ma per Sarah dicono qualcos’altro, ma soprattutto lei
pensa che possano aiutarla a chiudere il cerchio, ritrovare il cadavere di
Jennifer e mettersi tutto quello che le è successo alle spalle. Quindi per
Sarah la prima cosa da fare è ricercare le altre compagne di quegli anni di
orrore. Con l’andamento di un thriller, compreso un finale a sorpresa (le
ultime dieci pagine sono chiuse: sta al lettore decidere se vuol conoscere la
conclusione, o magari, prima, immaginarsi una possibile soluzione e poi andare
a verificare), “Dopo” è il romanzo d’esordio di una avvocatessa di New York, lettrice
di grandi classici come Tolstoj e Jane Austen, Henry James e Nabokov, cita per
il genere poliziesco psicologico tre autori: Thomas Harris (Il silenzio degli
innocenti), Ruth Rendell e Henning Mankell. Ma il tributo di ammirazione più
grande è per Shirley Jackson, autrice di racconti del terrore molto amata da
Stephen King. Nel romanzo, poi, elenca i titoli della biblioteca dello
psicologo sadico: Foucault, Nietzsche, Octave Mirbeau (Il giardino dei
supplizi), Georges Bataille e naturalmente Sade. Curiosamente tutti autori
europei, quasi a suggerire che il Male proviene sempre dal Vecchio Continente,
che è stata l’Europa a contagiare il Nuovo Mondo. Per l’edizione italiana si è
scelto il titolo “Dopo”, forse più giusto perché il cuore del romanzo è proprio
la descrizione di come, a molti anni di distanza, la mente delle ragazze ha
saputo e potuto reagire a quell’esperienza da incubo. Tutte e tre,
naturalmente, hanno cambiato nome, ma non sempre questo è servito a chiudere davvero
con quanto hanno subito. Se Christine ha cancellato tutto (sposata con un
banchiere, due figlie, vive la vita di una signora dei quartieri alti e nessuno
intorno a lei sa niente del suo passato), Tracy, invece, ha scelto di dedicarsi
alla lotta contro la violenza sulle donne: dirige una rivista femminista, è una
militante impegnata. La più fragile è Sarah, la più insicura, che continua a
difendersi dal mondo esterno, non riesce neppure ad avere un minimo contatto
fisico con le persone, ha lasciato la casa dei suoi per New York dove lavora,
da casa, con il computer. In parte Koethi Zan si adegua alle leggi del
thriller: l’indagine che può diventare molto pericolosa; la moglie dello
psicologo che è scomparsa; una setta cristiana che ha strani legami con un club
sadomaso di cui fa pure parte - «per scopi di ricerca scientifica» - la ex
assistente di Jack Derber. E, inevitabilmente, le tre ragazze finiranno per
ritornare nella casa dove furono tenute prigioniere. E qui... Ma ciò che rende
interessante il romanzo sono i lampi di memoria, i flash improvvisi che
assalgono Sarah, brandelli di quello che ha vissuto nella cantina del suo
carceriere: quali pensieri la abitavano, come passava il tempo interminabile
della sua prigionia, oltre quale soglia di paura e dolore si è potuta spingere.
Qui la finzione romanzesca sembra sospesa, la voce che racconta sembra
appartenere a una delle vere vittime, ed è in grado di farci apparire davanti,
seppure per brevi momenti, cosa realmente deve provare una persona resa schiava
da un maniaco, quali abissi si spalancano nella coscienza in un tempo di cui si
è perso il controllo. L’unica pecca di questo libro: il finale scontato… Dalla
terza pagina si capisce chi è il personaggio misterioso che aiuta Jack Derber
nel continuare a minacciare le ragazze… Nonostante l’autrice, con “la trovata”
delle pagine chiuse e la possibilità data al lettore di trovare lui una
soluzione, abbia voluto creare una particolarità il finale non decolla, anzi
sminuisce il resto del libro. Voto: 7
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