lunedì 28 aprile 2014

RECENSIONE - STORIA D'INVERNO DI MARK HELPRIN

Questo gran tomo di ben 850 pagine avrebbe l’ardire di raccontare una storia su New York, una New York dalla fine dell’Ottocento, arrivando ai due nuovi millenni, quello del 1900, e quello del 2000. Una New York popolata di personaggi stravaganti che nel corso del racconto ritroveremo, quali il ladro Peter Lake, la sua nemesi Pearly Soams, la giovane e sfortunata Beverly Penn, la moderna Virginia, fino agli stravaganti Mootfowl e Craig Binky. Il narratore preso da un’estasi data da non so che cosa, tenta, di scrivere pagine (secondo lui) vibranti e travolgenti, ma che al lettore si rivelano complesse se non addirittura astruse, senza costrutto. Perché tra i vari fili narrativi del libro, l’autore fa dei salti temporali e interseca tra loro storie praticamente diverse, che tenteranno, di unirsi in un delirante finale. Nello stesso libro si mescolano il romanzo storico nella prima parte, la storia d’amore, la satira sociale, il racconto fantastico o meglio proto urban fantasy, la distopia fantascientifica, il romanzo sociologico e psicologico. Un libro difficilmente catalogabile proprio per la sua complessità, tanto da ricordarmi un altro tentativo simile, quello di Cloud Atlas, anche quello miseramente fallito. Il lettore si ritrova in un paesaggio di una New York aulica con foreste e laghi fuori dal tempo e dallo spazio, ma anche nera e brutale con bande, uccisioni, fuochi e disprezzo per la vita,  e l’immersione in queste pagine lascia spesso confusi. La storia è divisa in due filoni principali. Lo stravagante Peter Lake è un ladro alle prese con le vessazioni di una banda di criminali, i Coda Corta, capitanati da Pearly Soams che sembra una specie di Cappellaio Matto: bizzarro, infelice e deforme, che cerca rimedio nella relazione con i colori, deciso a farlo fuori a tutti i costi perché ha provato ad uscire dalla banda, ma prima si imbatterà in un imprevisto cruciale, che cambierà la sua vita, ossia innamorarsi di una delle vittime dei suoi furti, la povera e bella Beverly Penn, più strana di un oracolo, affetta da una malattia incurabile. Si denota in queste pagine una New York insolita, con una Manhattan fusa in liquide stratificazioni cromatiche, seducenti agli occhi dei personaggi, tant’è che la storia si apre con la danza di un cavallo bianco, immagine molto fiabesca, che non riesce a fare a meno di Manhattan. Il cavallo ha il compito di salvare Peter Lake dai Coda Corta.  Spropositato è l’odio che Soams ha per Peter, costretto a fuggire con il suo cavallo da una parte all’altra della città, finché non viene trasportato in un’altra dimensione di tempo e spazio, per inseguire il suo amore che credeva perduto. La vicenda si sposta così in una New York più recente, dove riappariranno i personaggi passati e ne appariranno di nuovi, intrecciando le storie, seppure in maniera non molto chiara. Alla fine ci sarà la resa dei conti tra Peter e Pearly, che in una New York incendiata, all’inizio del terzo millennio, daranno vita alla battaglia per la vittoria dell’amore su tutto il resto. E Peter, donando se stesso e sparendo, salverà la vita di Abby Marratta, nemesi in miniatura della bella Beverly Penn, che non era stato in grado di salvare ai suoi tempi. Voto di questo guazzabuglio: 4

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