martedì 30 maggio 2017

RECENSIONE – La bambina di neve di Eowyn Ivey



Alaska, 1920. Qui in questa terra aspra e al tempo stesso ricca, si sono rifugiati Mabel e Jack. Rifugiati è la parola giusta, perché sono proprio fuggiti dalla loro casa e dai loro cari. Soprattutto Mabel aveva voluto cambiare vita e ambiente dopo aver perduto quella che pensasse fosse la sua bambina durante il parto. Sembrava la guardassero tutti con una certa ostilità, come se non fosse stata capace a far nulla, e fuggire da loro era stata la sua unica possibilità. Ormai lei e Jack si avviano verso una vecchiaia dura e senza figli. A Mabel sembra una cosa innaturale, ma le cose tra di loro sono piatte e la loro vita incompleta. Jack ritorna a casa stanchissimo e lei non sa mai come comportarsi. La vita è dura e tirare fuori da quella terra  brulla è difficile, e l’inverno è vicino. In una serata magica, con la neve che cade, si scoprono a giocare come bambini, come non accadeva da tempo. Dopo essersi tirati palle di neve, decidono di farne un pupazzo. Mano a mano che viene su, le danno le sembianze di una bambina piccola e Mabel completa perfettamente il pupazzo con un paio di guanti, una sciarpa. Il succo di alcune bacche per colorarne le labbra e alcuni fili di paglia per farne i capelli. Il mattino dopo Jack scopre che il pupazzo non c’è più, sono rimaste delle strane orme sulla neve e sono scomparsi anche i guanti e la sciarpa. Nei giorni seguenti Jack e Mabel si accorgono di sentirsi osservati e vedono fuggevoli ombre tra gli alberi nei boschi. Mabel rammenta un vecchio libro che suo padre le leggeva quando era piccola. Un libro illustrato con le figure che lei amava dove si parlava di una bambina di neve. E proprio una bambina compare al limitare del bosco. Il suo nome è Pruina. Di primo acchito la bambina non è così socievole come loro vorrebbero, non vuole vivere con loro. Non sopporta di stare troppo a lungo nella casa riscaldata, ma per Mabel e Jack sarà un ritorno alla giovinezza, a quello che non hanno mai avuto, ma voluto con tutta l’anima. Mabel rifiorisce, e da donna sensibile e chiusa in se stessa, si rivelerà essere una donna forte, intelligente e creativa. La sua abilità con il disegno e con l’ago le permetteranno di  creare con Pruina un rapporto particolare. Diventerà ancora più forte, quando Jack  avrà un incidente che lo terrà incollato al letto per un po’ e lei dovrà prendere il suo posto, con l’aiuto dei Benson, i vicini con cui hanno fatto amicizia. Jack, d’altro canto, è un uomo  caparbio e forte, con i suoi principi morali. Ama tantissimo sua moglie e vorrebbe non farle fare quella vita di quasi stenti in cui sono costretti. Pruina sostituirà nell’affetto di Jack e Mabel quel figlio che non hanno mai avuto modo di avere. Il loro amore per questa bimba che, alla soglia di ogni primavera scompare per poi riapparire con la prima neve, è grande.  Mabel ha un sospetto che le viene dall’antico libro di favole di suo padre, che si è fatta mandare da sua sorella. Pruina è veramente una bambina di neve? Anche lei si scioglierà e li lascerà per sempre? I due fronteggiano con difficoltà la separazione che avviene ogni primavera, ma assaporano l’arrivo della neve con la sicurezza che Pruina torni da loro. Fino a che, Pruina ormai diciassettenne conosce il figlio più piccolo dei Benson, aiutante di Mabel e Jack. Mabel e Jack sono ormai guariti, sono anziani e sanno che Pruina, nonostante l’amore, non può rimanere segregata in una casa normale, prima o poi dovrà andare. Bello questo libro, quasi una favola. Ci incanta con i suoi paesaggi duri, ma magici. Gli animali, i luoghi, i panorami. Sembra quasi di sentire il vento freddo sulla pelle, che brucia. La dolcezza di Mabel che si sente incompiuta, la praticità e la caparbietà di Jack che si sente incapace di salvare chi ama, ma soprattutto l’amore disincantato della favola che è stata Pruina e che sarà il suo bambino. Voto: 7 

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