venerdì 14 marzo 2014

RECENSIONE - AI PIANI BASSI DI MARGARET POWELL

Molto prima dello sceneggiato televisivo Dontown Abbey, uscì in Gran Bretagna, nel 1968, un libro di memorie scritto da una cuoca, Margaret Langley Powell, dal titolo emblematico “Ai piani bassi”. Era un ritratto impietoso di un mondo rigidamente diviso in classi contrapposte. Da una parte gli aristocratici, ricchi e privilegiati e dall’altra la servitù. “Ai piani bassi” ci permette di farci un’idea di quanto accadeva dietro le quinte di una casa aristocratica, dove ogni giorno sembrava si recitasse una commedia. Quella della classe dominante, in cui l’etichetta, le tradizioni, il ferreo cerimoniale, congelava e mascherava un intrecciarsi di vizi e tensioni sotterranee e quella delle classi meno abbienti, dove il lavoro era l’unico motivo di decoro e vita. Vi erano delle ingiustizie nel sistema sociale in cui a quel tempo si lavorava e dove alcuni, gli aristocratici, i ricchi, avevano il permesso di non farlo, di vivere in case riscaldate, eleganti, nutriti con pasti vari ed abbondanti. Dove invece gli altri, i lavoratori, erano gravati dall’amaro compito di fungere da servi, sottopagati, umiliati, senza alcun tempo libero da dedicare a se stessi. Emergono ancora più nette le differenze grazie al fatto che l’autrice non enfatizza i toni rendendoli drammatici o cattivi. Infatti, Margaret Powell, si limita a descriverne il mondo dal suo punto di vista, dal basso, dalla cucina, permettendo di avere una visuale personale e allo stesso tempo obiettiva. La sua è un’analisi molto lucida, a tratti ironica o divertita, come quando ad esempio riporta la stranezza che i suoi primi padroni la costringevano a stirargli le stringhe delle scarpe, ma è anche dura e impietosa. Oltre al valore oggettivo di documento storico, di affresco di un mondo, quello degli anni Venti e Trenta e poi Quaranta del secolo scorso, testimone di cambiamenti, “Ai piani bassi” è un libro ben scritto, con un linguaggio colorito e spontaneo, dotato di verve e umorismo. L’immediatezza e la facilità con cui il lettore si trova a condividere i pensieri e a patteggiare per l’intraprendente testimone silenziosa di un mondo, che in fondo non disprezza, ma di cui non ignora le debolezze e le disuguaglianze, elevate a rango di privilegi acquisiti, è sicuramente la dote maggiore di questo libro, ricco di umanità. Non è un manifesto politico contro le ingiustizie e le disparità, sebbene la protagonista fantastichi al riguardo, ma è una voce autentica e personale, una forza silenziosa che espone le sue riflessioni con limpida oggettività, e non è priva di una potente carica critica e accusatoria. La giovane sguattera, che prima di diventare cuoca e poi scrittrice di successo ha dovuto provare sulla sua pelle le più dolorose contraddizioni e fatiche dell’ultimo scalino della classe sociale, emerge da questo ritratto come una vittoriosa eroina, capace di piegare la sorte, facendo emergere e trionfare i suoi meriti. Un bellissimo ritratto femminile. Voto: 7,5/8

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