martedì 15 luglio 2014

RECENSIONE - L'ARTE PERDUTA DELLA GRATITUDINE di Alexander McCall Smith

Se le vicende di Precious Ramotswe ci portano a sognare l’Africa, dove l’autore è cresciuto, quelle di Isabel Dalhousie ci trascinano inevitabilmente nelle atmosfere scozzesi gridando al mondo l’orgoglio delle sue origini. Isabel è una donna moderna, direttrice di una rivista filosofica, indipendente, sempre pronta a combattere contro gli uomini presuntuosi del suo mondo accademico, madre ineccepibile e compagna di un uomo molto più giovane. Tutte queste caratteristiche si armonizzano bene con l’anima antica della filosofa e accidentale investigatrice. E’ un’amante di antichi dipinti, delle ballate scozzesi e delle poesie di Auden. Anche in quest’ultimo romanzo ripete il solito cliché delle storie di Isabel: la filosofa nella sua vita quotidiana incappa incidentalmente in situazioni che richiedono la sua etica riflessiva o completi estranei a cene e party la preoccupano con questioni personalissime e sospette. Così, la poco celata curiosità di Isabel, rafforzata dalla sua intrinseca necessità di conoscere l’animo umano e metterlo alla prova, si ritrova anche in questa occasione di fronte a un mistero, ben costruito, a suo uso e consumo. Isabel, dopo alterne vicende, riesce finalmente a godersi tutto quello che ha conquistato, Charlie, Jamie, la Rivista di filosofia, riesce a godere anche del fidanzamento di Cat, sua nipote, con un tipo non proprio normalissimo. Ma durante un pranzo di famiglia, incontra una vecchia conoscenza (un personaggio di secondo piano presente in uno dei primi libri della serie), che la coinvolge senza possibilità di replica in una sua questione personale: la donna infatti ha anche lei un figlio, ma è preoccupata perché il padre biologico, che non è suo marito le sta facendo pressioni, anche attraverso atti sgradevoli. Nonostante la non troppa simpatia che trova per la donna Isabel si ritroverà invischiata nella sua storia. Ma come al solito, ciò che racconta una persona, può essere raccontata diversamente da un’altra. La narrazione di Alexander McCall Smith è di quelle allettanti: fluida e originale. Isabel Dalhousie poi è proprio l’esempio di etica applicata del quale francamente si avverte bisogno nella nostra vita. A tratti quasi maniacale ma disperatamente affascinante.  D’accordo, quel pizzico di ansia che il comportamento corretto e l’analisi morale, riportati nella quotidianità, possono talvolta dare al racconto un tono vagamente “ossessivo”. Ma la verità è che un personaggio così riconcilia con la buona volontà e la speranza. L’intensità della storia in fondo è tutta lì, in quella continua ricerca di sostenere l’onestà intellettuale, di reggere sincerità e generosità anche quando il prossimo le mette a dura prova. La filosofa Dalhouise è moglie e madre, conduce un’esistenza “normale” e si imbatte in scivolose circostanze unicamente per quella personalità aperta, sensata e profonda. Non sono gesta clamorose a scaldare la trama, ma il volo dei pensieri e delle parole sui piccoli o grandi nei dell’umanità, sul terreno incerto delle relazioni, sui meccanismi del comportamento tra interesse personale e senso di responsabilità. Fa sorridere e riflettere l’avventura spirituale di Isabel Dalhousie. E Alexander McCall Smith ha la capacità di farcela esplorare tra leggerezze e sguardi intensi nelle pieghe più complicate di uomini e donne nell’ordinario cammino quotidiano. Con Isabel che non può fare a meno di interrogarsi su tutto e tutti e un geniale e delicato fidanzato musicista che sa battere il tempo con poetico spessore. Una lettura molto gradevole. Voto: 7,5

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