giovedì 23 ottobre 2014

RECENSIONE – Luci d’inverno di Nora Roberts

Sulle ali dell’entusiasmo del libro precedente (Il testimone) ho preso in mano questo altro crime-romance della Roberts. E la volete sapere una cosa? Quasi, quasi (anzi togliamo i quasi) la preferisco scrittrice di questo genere che dei romance veri e propri. Nonostante la trama non abbia nulla di così spiccatamente originale, è talmente ben costruita e ben scritta da tenere il lettore incollato alle pagine del libro. E per questo, nemmeno la mole, molto corposa (più di 600 pagine) di questo romanzo, riesce a spaventare. La storia è questa qui. Ignatius “Nate” Burke è un ex poliziotto della omicidi di Baltimora. Accetta un incarico come capo della polizia di Lunacy, piccola cittadina in Alaska, per fuggire dalla crisi causata dal recente divorzio e dal trauma, ben più grave, per la morte del suo partner sul lavoro, per la quale si sente in parte responsabile e non riesce a darsi pace. Dopo mesi di colloqui con psicologi e assunzione di farmaci, decide di allontanarsi da Baltimora e “seppellirsi” a Lunacy, sotto una routine fatta di scontri tra vicini, alci ed orsi che scorazzano nei cortili, liti domestiche, ubriachi di turno, scazzottate tra fratelli e problemi legati ad eventi atmosferici. I primi giorni nella cittadina sono talmente tranquilli che è attanagliato dai sensi di colpa e dalla depressione ed il freddo ed il buio in cui è immersa Lunacy in pieno inverno, non aiutano. In più deve cercare di evitare la focosa Charlene, padrona dell’albergo-ristorante che lo ospita, di non essere travolto dallo spazzaneve guidato dallo scontroso ed inospitale Bing, e di non urtare la sensibilità della sua segretaria Peach. Finché all’improvviso a trarlo d’impaccio e soprattutto a riaccendere in lui una fiammella di speranza, interviene Meg Galloway. Lei è una pilota di aerei da trasporto, bella e sfacciata, spericolata  al punto giusto e molto, molto indipendente. E’ capace di volare nelle zone più impervie dell’Alaska e nelle situazioni climatiche più difficili. Meg è anche la figlia di Charlene e di Pat Galloway, un hippie scomparso nel nulla sedici anni prima. Proprio il ritrovamento del corpo congelato di Galloway, in una grotta sulla montagna Senza Nome, con una piccozza per il ghiaccio conficcata ancora nel petto fa precipitare la situazione nella cittadina, scuotendola nel profondo e spingendo l’assassino, rimasto nascosto per tutto quel tempo, ad uccidere di nuovo. Questa seconda morte, nonostante tutto, viene catalogata dalla polizia di stato, come un suicidio, ma Nate non è convinto e soprattutto vuole esaudire il desiderio di Meg: trovare il vero assassino del padre; quindi inizia un’indagine solitaria contro tutto e tutti. E’ la scintilla che lo fa rinascere e lo rimette in gioco e anche l’attrazione iniziale per Meg subisce un notevole cambiamento diventando qualcosa di più profondo e stabile, nonostante le rimostranze iniziali di lei. Finale romantico  e scontato a parte, questa è la storia di un uomo a cui è data una seconda possibilità, ma sta a lui coglierla al volo e sciogliere il ghiaccio nel suo cuore come nel disgelo della primavera in Alaska, ritrovando la complicità di una donna e quella dell’intera comunità come in una grande famiglia, in un segnale di speranza, segno tangibile, che dopo le tenebre ci può essere sempre la promessa della luce. Bellissimi i paesaggi descritti dalla Roberts in un Alaska fredda e buia, con ghiaccio e neve dappertutto come il cuore di Burke, e la seconda Alaska quella del risveglio primaverile, con i fiumi che straripano e i ghiacci che si rompono, che descrivono oltre che la rinascita della natura anche la rinascita dello stesso Burke. Bellissima Meg, degna compagna. Donna forte, plasmata dall’ambiente ostile in cui è abituata a vivere, è pronta ad imbracciare il fucile per proteggere chi ama, come i suoi cani. Facile all’irritazione ma allo stesso tempo capace di notare la tristezza negli occhi di Nate. Attirata  anche dalla sua propensione al comando,  è l’unico che riesce a dargli degli ordini, si innamorerà di lui perché “è abbastanza folle da poter funzionare”. La Roberts, di nuovo, non mi delude. Voto: 7,5 

Nessun commento:

Posta un commento