lunedì 6 maggio 2019

RECENSIONE – Vincoli di Ken Haruf di Silvia Marcaurelio



Ritorniamo ad Holt, dopo aver letto la trilogia della pianura. Quella che leggiamo in Vincoli, è una Holt molto molto antica, una Holt in costruzione. Siamo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900.  I protagonisti della nostra storia fanno, quasi, tutti parte della famiglia Goodnough. Roy Goodnough, agricoltore, è la sola cosa che sa fare nella vita. Uomo molto duro. Pur di non rimanere sotto lo stesso tetto dei suoi genitori, non esita a partire per le ignote terre del Colorado, con la sua esile moglie appena sposata, Ada, che nonostante non volesse lasciare la sua terra e la sicurezza della vicinanza della sua famiglia, parte al seguito del marito in un lunghissimo viaggio verso l’ignoto. La terra promessa di Roy non è altro che una terra brulla e sabbiosa. Ma Roy è ostinato e determinato a restare e a creare qualcosa dal nulla. La prima vittima della sua ostinazione è proprio sua moglie Ada, che muore per la fatica e la depressione. La sua morte segna anche la vita dei suoi due figli, Edith e Lyman. Soprattutto quella di Edith che a diciassette anni si ritroverà a fare la “mamma”. Molte cose nel romanzo vengono come sottaciute, non rivelate, se non con brevi frasi messe nel discorso. Come ha fatto con la moglie, Roy continua ad esercitare la stessa violenza con i suoi figli, che sono costretti a vivere una vita di privazione e in una continua monotonia, con il tempo scandito dal raccolto, dalla pulizia della casa e dalla mungitura delle vacche. Roy, che diventerà sempre più violento, dopo che un incidente gli porterà via entrambe le mani, e darà l’occasione a Lyman di affrancarsi dalla famiglia e fuggire via lontano. Rimarrà Edith, che nonostante esprima tutta la sua disperazione per la sua solitudine, rimarrà fedele a quel padre padrone, che la costringe a infinite sofferenze. “Non era sola per un pomeriggio o per un mese, lo era un anno dopo l’altro, costantemente, e non aveva alcun motivo di credere che le cose sarebbero mai cambiate”. Edith, nonostante la sua desolazione, incarna un senso di giustizia, di purezza, di abnegazione. Chiamata al dovere, risponde sempre di sì, non pensa mai a sé stessa. Il sottrarsi al dovere non è contemplabile per lei. Una mano tesa, in aiuto, le viene dall’esterno. Sanders Roscoe, il figlio del suo vicino John Roscoe,  quello che sarebbe stato il suo amore per sempre, se suo padre non l’avesse voluta per sé, è quello che le promette un cambiamento, una svolta, un po’ di felicità. Il ritorno di Lyman a casa porterà ai due fratelli un po’ di pace e di giorni felici. Ma sarà di breve durata. Lyman dopo un incidente d’auto diventerà un uomo diverso, un uomo a cui sua sorella dovrà fare da mamma, da sorella e da moglie. Un uomo che diventerà violento come lo era stato a suo tempo suo padre prima di lui. E la vita di Edith rimpiomberà in un circolo vizioso di violenza, solitudine e sacrifici assurdi e assoluta abnegazione, dovuta soprattutto ai vincoli di sangue. A raccontarci la storia è lo stesso figlio del vicino, Sanders Roscoe, quello che ha cercato di aiutare Edith in tutti quegli anni. Lo fa raccontando la vera storia di Edith e Lyman e non quella che un giovane cronista di Denver vorrebbe che spacciare per vera, accusando Edith dell’omicidio di Lyman. Haruf ci descrive tutto ciò che ci circonda dettagliatamente, senza perdere nulla, in una prosa lenta e descrittiva. Riesce a farci percepire, attraverso le sue parole, l’infinita desolazione, la violenza accecante, la follia di chi circonda Edith, che è giovane e bella, ma fedele a quelli che lei crede valori irrinunciabili: il padre, il fratello, la casa, la terra. Voto: 8

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