martedì 9 settembre 2014

RECENSIONE – IL RITORNO DEL NAUFRAGO di François Grande

Libro d’esordio per questo scrittore francese, che in patria ha sfondato sul serio, riuscendo nell’impresa di vendere più di 100.000 copie. Siamo nel 1861. Questa è la storia di Narcisse Pelletier, ma anche di Octave de Vallombrun. Due uomini che il caso farà incontrare, conoscere e perdere. Narcisse uomo bianco, viene ritrovato in un isola nel sud dell’Australia, non ancora completamente esplorata, in mezzo ad una tribù di neri. Completamente nudo, coperto di strani tatuaggi e di varie scarnificazioni della pelle. Viene fatto risalire, con l’inganno, su una nave ancorata per caso nella baia dell’isola sconosciuta. Nessuno sa chi sia né come abbia fatto ad arrivare lì, ma viene lo stesso riportato a Sidney tra quelli che dovrebbero essere i suoi simili. Ma lui non parla nessuna lingua conosciuta. Blatera alcune parole, ma nessuno riesce a comprenderlo. Da qui un incontro, organizzato dal governatore di Sidney con alcuni degli studiosi presenti in Australia di diverse lingue. Tra questi Octave de Villombrun, viaggiatore e studioso, socio della Société de Geographie di Parigi. Tra tutti questi studiosi solo quando Octave parla in francese, “il selvaggio bianco” sembra avere una reazione. Quindi Octave, con la collaborazione del governatore prende Narcisse sotto la sua ala protettiva. Questa è l’occasione che aspettava da tutta una vita. Diventare un personaggio nel mondo accademico della geografia, degli esploratori del mondo. Da qui il libro si dividerà in due parti distinte. La storia di Narcisse, di quello che gli è accaduto da quando ha perso la sua nave e la sua vita, e la storia di Octave raccontata in forma epistolare al presidente della Société de Geographie. L’unico movente di Octave, anche se può sembrare diverso, sarà sempre quello della ricerca scientifica, di diventare famoso con qualche pubblicazione sul “Selvaggio Bianco”. Vorrebbe descrivere le trasformazioni di un bianco diventato selvaggio che poi ridiventa bianco. Ma purtroppo Narcisse non glielo permetterà mai. Non risponderà mai alle domande di Octave, non racconterà mai la sua storia, tranne qualche fuggevole risposta che non darà allo stesso Octave ma ad altre persone, in occasioni per lui emozionanti. Noi invece la storia di Narcisse la conosceremo. Tutte le sue pene e i suoi pensieri di diciottenne perduto in mezzo ai selvaggi. Conosceremo le sue fatue speranze, la sua disperazione, la fame, la sete, ma soprattutto la solitudine vissuta in mezzo a persone che non capisce e che addirittura non concepisce come umane, fino all’accettazione finale per poter sopravvivere. Per questo Octave, anche se alla fine tenterà con la forza ottenendo solo la scomparsa di Narcisse, non riuscirà mai a sapere nulla della storia del “Selvaggio bianco” tra i selvaggi. Narcisse ha vissuto la perdita della propria esistenza quando è rimasto con i selvaggi accettandola per non morire, e allo stesso modo rinuncia alla sua vita selvaggia, dimenticando tutto pur di non morire di nuovo, perché: “Parlare, è come morire.” Scritto benissimo, molto fluido, tanto che sono riuscita a finirlo in due giorni. Bel libro con un argomento spiazzante. Può un uomo dimenticare tutta la sua vita passata per non morire? Può un uomo, nel nome della scienza, chiedere ad un altro di ricordare ciò che gli fa più male? Il finale del libro non c’è, è lasciato in esclusiva al lettore. Ognuno può pensare ciò che vuole. Io, nel mio piccolo, ho rivisto Narcisse nudo sulla sua isola in compagnia delle persone che aveva alla fine imparato ad amare e a considerare sue. Voto: 7,5

Nessun commento:

Posta un commento