martedì 9 settembre 2014

RECENSIONE – Il cammino di immortale. La strada per Santiago di Jean-Christophe Rufin

Jean-Christophe Rufin racconta la sua personale esperienza lungo il cammino di Santiago di Compostela, un percorso che da secoli, fin dal Medioevo, compiono a piedi milioni di pellegrini. L’autore ci racconta la sua esperienza sul Cammino, e con questa tutti gli aspetti da quella mistica, a quella fisica, all’organizzazione e alle motivazioni che spingono moltissime persone a mettersi in viaggio, seppur di culture differenti. L’autore ci racconta che è il Cammino, è sempre il Cammino a scegliere, non è mai il Pellegrino. Anche la decisione da dove partire, non è mai tua. Lui partirà da Hendaye fino al santuario di Santiago di Compostela, lungo il Cammino del Nord, uno dei possibili percorsi verso la città spagnola. Mano a mano che passano i chilometri, Rufin delinea la figura del pellegrino, raccontando in modo ironico e originale gioie e dolori, di chi, zaino in spalla, percorre a piedi oltre 800 km. La solitudine e gli incontri, la cura dei piedi, il bivacco e le notti negli “albergue”, le meraviglie per gli occhi e quelle per lo spirito, i momenti di sconforto e la tenacia, caratteristica fondamentale per arrivare fino in fondo. Ci racconta che quando due pellegrini si incontrano non si domandano mai “Dove vai?” perché la risposta è evidente, nemmeno chi sei, perché se sei sul Cammino sei sicuramente un altro “Giacomeo”. La domanda che formulano è: “Da dove sei partito?” perché in effetti, anche tra i pellegrini, c’è la spocchia di chi ha scelto una partenza più dura e fa il vero cammino e i pellegrini leggeri, quelli che sono solo a caccia della “Compostela” che attesta il pellegrinaggio, e che fanno solo gli ultimi chilometri a piedi. Ci racconta il suo perché del viaggio. Della sua vita sovraffaticata, del voler tornare quasi ad essere un primitivo privato di tutti i pensieri. Il Cammino per lui ha la virtù di far dimenticare le ragioni che inducono a percorrerlo sostituendo la confusione e la moltitudine di pensieri con la semplice ovvietà del camminare. Ci racconta che mano a mano che il Cammino si inoltra e ci si avvicina alla meta, ma con ancora tanti chilometri da macinare, ci si sente liberi dell’involucro protettivo, e il pellegrino, alla soglia della terza settimana si sente nudo, pronto ad accogliere la verità del Cammino stesso. Le sue frasi non hanno lo scopo di convincere, ma soltanto di descrivere quello che è stato per lui il viaggio. Per dirlo con una sua formula che è scherzosa soltanto in apparenza: “Partendo per Santiago non cercavo niente e l’ho trovato”. “Il camminatore”, ci spiega, “è, secondo la formula di Victor Hugo, un gigante nano. Si sente all’apice dell’umiltà e al culmine della sua potenza. Nello stato di abulia in cui è stato gettato da quelle settimane di vagabondaggio, in quell’animo liberato dal desiderio e dall’attesa, in quel corpo che ha domato le sue sofferenze e limato le sue impazienze, in quello spazio aperto, saturo di bellezze, interminabile e finito a un tempo, il pellegrino è pronto a veder sorgere qualcosa di più grande di lui, di più grande di tutto, in verità”. Bisogna che il pellegrino sia infine solo e quasi nudo, che abbandoni gli orpelli della liturgia, per poter allora salire verso il cielo. Tutte le religioni si mescolano in quel faccia a faccia con il Principe essenziale. Come il sacerdote azteco sulla sua piramide, il sumero sul suo zigurrat, Mosè sul Sinai, Cristo sul Golgota, il pellegrino, in quelle alte solitudini, lasciato in balia dei venti e delle nuvole, estraniato da un mondo che vede dall’alto e da lontano, abbandonato a se stesso nelle sue sofferenze e nei suoi vani desideri, raggiunge finalmente l’Unità, l’Essenza, l’Origine. Poco importa quale nome gli dà. Poco importa in cosa quel nome s’incarna. Il pellegrinaggio è un viaggio che salda insieme tutte le tappe della credenza umana, dell’animismo più politeistico fino all’incarnazione del Verbo. Il Cammino re-incanta il mondo. Dopo, ciascuno è libero, in quella realtà satura di sacro, di racchiudere la sua spiritualità ritrovata in questa o quella religione, oppure in nessuna. Un racconto divertente e affascinante capace di suscitare nel lettore il desiderio di provare un’esperienza che, come sostiene Rufin, finisce inevitabilmente per cambiare chi la compie, spingendo a guardare il mondo con occhi diversi. Voto: 8

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