lunedì 2 marzo 2015

RECENSIONE – Roderick Duddle di Michele Mari



Ci sono dei romanzi che ci prendono dalla prima pagina, catturando da subito la nostra attenzione. Romanzi che ci fanno dimenticare tutto quello che ci circonda. Che ci riportano indietro nel tempo, alle nostre letture adolescenziali, quando venivamo completamente assorbiti dalle storie, che ci portavano in mondi fantastici e avventurosi. E così è questo romanzo, Roderick Duddle. Già il titolo ci riporta indietro nel tempo, con la mente sicuramente a Dickens, col suo Oliver Twist … certo ho scomodato un grande … Ma Michele Mari, l’autore di questo romanzo, è questo che vuole, farci tornare, a distanza di anni, indietro nel tempo, alle nostre letture giovanili. La trama, in effetti non ha nulla di nuovo, anzi ricalca quasi alla perfezione quell’Oliver Twist a cui, in parte, si ispira. Roderick è un orfano, nato e cresciuto in un bordello, ma a sua insaputa è l’erede di una grande famiglia nobile dell’Inghilterra dell’ottocento. Perfino la storia del medaglione, che dovrebbe permettere il suo riconoscimento, è tratto dal romanzo dickensiano. Intorno a lui e alla sua eredità gravitano innumerevoli personaggi: suore, prostitute, furfanti, assassini, marinai, tutti attratti irresistibilmente dalla presunta eredità, facendo di Roderick il centro di una fitta trama di intrighi che si dipana per oltre quattrocento pagine. Pagine che scorrono via leggere. Mari si diverte a scrivere un romanzo che se ne infischia dei gusti del lettore o dei temi predominati della narrativa moderna. Ci regala così un romanzo come ho già detto dickensiano, di cui disegna con cura anche una toponomastica immaginaria, che racchiude l’intero mondo di Roderick. Altri omaggi verranno fatti nel romanzo, non solo a Dickens. Ci sono riferimenti a L’isola del tesoro di Stevenson, a Moby Dick di Melville, e a Gordon Pym di Poe. Questi quelli più macroscopici. Ma non mancano anche suggestioni legate ai personaggi. Come non collegare il personaggio di Lennie a Uomini e topi di McCarthy, o Suor Allison e la Badessa al marchese De Sade o alla Monaca di Monza di Manzoni? Anche un piccolo riferimento a Salgari, con il personaggio del marinaio Ram-Singa. Sono tanti i personaggi di questa storia, ma tre su tutti prendono il sopravvento e rimangono impressi nella memoria. Primi fa tutti il Probo. Personaggio ambiguo a cui la semantica del nome ci riporta alla virtù, alla probità, mentre egli non è altro che uno spietato e preciso sicario, affetto da una deformazione fisica, il naso a proboscide, da qui il diminutivo Probo. Il dettaglio della voce bassissima, che lo contraddistingue, giova a renderlo ancora più inquietate. L’altro personaggio è Suor Allison, che come il Probo si porta dietro il marchio della diversità. Suor Allison, da personaggio marginale, diviene strada facendo uno dei protagonisti. Vera e propria maliarda, manipolatrice di destini. Lei è la dimostrazione di come un personaggio possa iniziare a vivere di vita propria imponendosi all’autore. Completa la terna dei tre personaggi indimenticabili, quello di Jones. Lui è una sorta di cattivo ma simpatico, che pur non lesinando trame, inganni e omicidi, suscita nel lettore, uno sguardo quasi indulgente e divertito. Le sue perversioni, ce lo rendono fin troppo vicino all’essere umano. E’ Jones ad incarnare il vero doppio della storia, molto più della coppia di bambini identici Roderick-Michael. Il romanzo ricalca tutti gli schemi del romanzo d’avventura ottocentesco, un libro quindi, che non racconta niente di originale, ma che sa tenere il lettore incollato alle sue pagine, senza nessun momento di noia. La risposta è da ricercarsi nella maestria con cui Mari maneggia i materiali della tradizione letteraria e nella passione, nel trasporto con cui li ha letti e assimilati, rendendoli parte integrante della sua persona. Voto: 8

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