lunedì 5 febbraio 2024

RECENSIONE - L'enigma di Macallé di Luca Ongaro


 Siamo nel 1958, colonia d’Italia, Macallè in Eritrea per la precisione.

Ritorniamo nel mondo distopico costruito per noi dallo scrittore Luca Ongaro, due anni dopo la prima avventura (Un’altra storia, SEM 2022) che ci ha fatto conoscere e apprezzare il commissario della Polizia Coloniale Francesco Campani.
Lo troviamo questa volta di ritorno dalle vacanze a Massaua, sposato con Emma Giusti, che aveva conosciuto nel primo episodio della serie a lui dedicata e che lo aveva aiutato a risolvere un caso spinoso. Emma lavora all’Istituto Agricolo Coloniale a Macallè.
Questa volta Campani non ha nemmeno il tempo di rifiatare. Viene addirittura aspettato all’albergo a Wukro, dove vive con Salvatore e Kokeb, dal suo fido secondo in comando, Araya.

È morto un italiano, Angelo Fusina. Era un macellaio, ed è morto in un modo brutale, evirato e lasciato a morire dissanguato. Logicamente i suoi due superiori, Santon e Liberace, non pensano ad altro che al terrorismo etiope. Puntano tutto su quello, soprattutto per il modus operandi in cui è stato commesso l’omicidio. E anche la stampa ci sguazza. Ma Campani e Araya comprendono da subito che qualcosa non torna. Che sarebbe troppo facile e che l’indagine è molto più complessa di quello che sembra.
Tutte le piste vengono percorse, tutte le svolte prese, ma quasi quasi Campani getta la spugna, se non fosse per una sua intuizione geniale e per la Settimana Enigmistica.

Bello questo secondo capitolo della storia di Campani, che conosciamo sempre meglio. La sua abitudine di stare con i piedi sotto al tavolino entro l’una per il pranzo è qualcosa che fa sorridere, ma Campani non è solo questo.
Campani è un italiano cresciuto in colonia. Parla la lingua fluentemente, non come tanti suoi connazionali che rifiutano di farlo. È una persona schietta che non nasconde il suo schifo per chi ritiene che le persone di colore siano da sottomettere, che siano inferiori.
Campani ha amici come Salvatore e Kokeb, Manlio e Mearig, il suo braccio destro Araya, e li considera a tutti gli effetti come lui. Non concepisce la separazione che si ritenga ci sia tra di loro, eppure ci sbatte la testa sempre: anche nel ristorante di Salvatore e Kokeb, quando qualche italiano pensa bene di metterle le mani addosso.

Quindi oltre a essere un giallo ben costruito, la storia ci racconta altro. L’importanza dell’ambiente e dello scontro culturale, l’ignoranza degli italiani che si sentono superiori, il poco rispetto delle persone e delle culture degli altri, insomma, l’Italia ai nostri giorni.
Ma non tralasciamo sicuramente la parte gialla, quella dell’indagine svolta dal nostro Campani, ben costruita, ben tratteggiata, ben articolata. Piano piano il puzzle si compone di ogni suo pezzo fino al finale, che non è per niente scontato, se non per un colpo di genio del nostro eroe.

Mi piacciono molto i personaggi di contorno di questa storia. Araya è un piccolo Campani, lo segue in tutto e per tutto e per questo tende quasi a somigliargli. Emma è una forza della natura. Riuscirà Campani a capire l’ironia di sua moglie, prima o poi? Salvatore e Kokeb sono il porto sicuro di Francesco e di sua moglie, una vera famiglia allargata. E aggiungerei anche i due “aiutanti” della Scientifica, Marchetti e Boccardo che all’inizio sembrano un po’ due con la puzza sotto al naso, ma poi si riscattano alla grande. Per non parlare dei “cattivi” per eccellenza, il procuratore Santon, che ha queste fisse per gli etiopi, il leccaculo Liberace, che per tenersi il posto farebbe di tutto, e l’infido commissario Lupo, che è il classico personaggio da prendere e dargliene tante.
Lo consiglio vivamente. È vivace, è un bel giallo, ci si fa qualche risata, e dietro c’è anche una bella storia. E vi assicuro che vi innamorerete di Campani.

Silvia Marcaurelio

Nessun commento:

Posta un commento