lunedì 5 febbraio 2024

RECENSIONE - Morte sotto le macerie. Oppenheimer e la banda dei fazzoletti gialli di Harald Gilbers

 

Harald Gilbers torna a deliziarci il palato con il settimo libro della saga sul commissario Richard Oppenheimer. Siamo come sempre a Berlino, parte Ovest, quella dominata da americani, inglesi e francesi, nel 1949.
La crisi e la fame sono ovunque, la gente si arrabatta come può. Di lavoro ce n’è poco e molte persone che vivevano a Berlino Est, preferiscono passare ad Ovest, perché hanno capito che i sovietici stanno passando le consegne dei posti importanti a gente venuta direttamente da Mosca, e quello che rimarrà per i tedeschi saranno solo briciole.
Oppenheimer ha sempre questa sorta di oppressione che si porta sulle spalle. D’altronde lui è ebreo ma non ha subito la stessa sorte dei suoi amici, la deportazione gli è stata salvata dall’aver sposato una donna ariana in tutto e per tutto, e anche se è innamoratissimo di sua moglie Lisa, la cosa gli pesa eccome.

“Morte sotto le macerie” inizia con un uomo che scappa, scappa da una morte sicura che lo attende sotto le spoglie di giovani uomini che lo inseguono. Sembra essere arrivato in un porto sicuro, sembra che la sua astuzia lo abbia salvato, ma non è così.
Giorni dopo, in una discarica di macerie, quelle derivate dai bombardamenti alleati, viene ritrovato il suo corpo e quelli di altri due uomini come se fossero stati sepolti in una fossa comune. Il primo, era un informatore della polizia, un certo Hupke, oltre ad essere un ricettatore e un protettore.
Le indagini portano il commissario a inseguire una voce insistente. Una nuova banda di criminali, molto giovani, sta imperversando per le strade di Berlino, spaventando i vecchi boss. Sembrano divi di Hollywood, perché si presentano ben vestiti con completi eleganti, cappelli Fedora e il tocco distintivo di un fazzoletto giallo nel taschino, un po’ come i gangster di Chicago.

Per contrastare la minaccia di questi giovani crudeli, Oppenheimer si vede costretto a riunire una commissione speciale composta dai migliori investigatori della città.
Le indagini procedono comunque a rilento, molti informatori spariscono o preferiscono non parlare e i testimoni, rari, non sopravvivono a lungo per raccontare quello che hanno visto.
Il commissario Oppenheimer ha pochi mezzi, con cui combattere i criminali. E girare nel gelo con una bicicletta non aiuta.
Il gelo. È il simbolo dell’oppressione che in quel momento viveva la Berlino di quegli anni e Gilbers è bravissimo a raccontarcela. Si sente in tutto il racconto. Nell’uso dei cappotti in casa, nella scarsità di corrente elettrica, in una città post bellica in cui si fa fatica ad andare avanti tra miseria e disperazione.

In “Morte sotto le macerie” Gilbers ci dà, ancora una volta, la visione della Berlino post bellica, della vita dei protagonisti in quel contesto storico terribile del dopoguerra, allacciandole con la narrazione del thriller, che si interseca perfettamente in quello che sembra essere “il periodo perfetto”.
Ma Gilbers è bravo anche a presentarci un personaggio come Richard Oppenheimer, che nonostante tutto non ha perso la sua umanità e la sua voglia di giustizia.
Ben caratterizzati anche i compagni di avventura e sventura del commissario, tra cui Wenzel e Kubelik suoi colleghi, la moglie Lisa, il medico Hilde, il suo figlio adottivo Theo e tanti altri.

Bella la prosa usata dall’autore, e anche le tematiche introdotte con relativa facilità nella trama del thriller tanto da farne un tutt’uno. Sembra, che nel leggerlo si senta la sorta di oppressione che in quel momento imperversava sulla popolazione tedesca, ma soprattutto su Berlino Ovest, un puntino in mezzo a un mare di occupazione sovietica, con l’unica parvenza di sopravvivenza dovuta ai ponti aerei con la Germania dell’Ovest, molto vicina eppure molto lontana.

Silvia Marcaurelio

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