Lei è la sola e unica mamma di Harry
Potter, e di generazioni di lettori ormai cresciuti, ma sempre affezionati,
come se il tempo non fosse mai passato. Questa donna che riuscirebbe a rendere
avvincente anche un elenco del telefono; la sola che farebbe un best-seller
anche della sua lista della spesa, come se fosse ad acquistare gli ingredienti
di un accattivante mistero grande quanto il mondo.
Dopo la prova, ben riuscita de “Il
seggio vacante”, in “Il richiamo del cuculo” fonde insieme, con la sua maestria
senza uguali, la magia del racconto e l’arte dell’indagine. Torna con un
intrigante pseudonimo maschile e con un giallo con la lettera maiuscola:
struttura dalle linee che più classiche non si può, stile impeccabile,
intreccio sinuoso, personaggi credibili ed incredibili al tempo stesso. Pieno
di autentica bellezza, limpida grazia e fumoso charme anche nella tragedia,
anche nella morte.
Non c’è sangue, non ci sono sudate corse
a perdifiato o sparatorie da gangster, non ci sono figure che rinunciano
facilmente al loro aplomb – nemmeno in caso di omicidio doloso.
Lula Landry, ventitré anni, vissuti da
bellissimo angelo dalla pelle color cappuccino, finisce i suoi giorni sulla
terra perdendo la sua polvere fatata e schiantandosi al suolo, senza più le sue
ali di seta pregiata a mantenerla a una spanna dal suolo, lontana da fan
asfissianti, paparazzi inopportuni, parenti serpenti e viscidi opportunisti.
Cade dal cielo e, leggera come una
piuma, non fa rumore: un tappeto di neve attutisce il rumore, ma non l’impatto.
Muore sul colpo, con addosso il suo vestito nuovo. I flash, per l’ultima volta,
le illuminano il viso: Lula non sorride.
Con una magia l’autrice ci conduce alla
scena successiva, ricordando a tutti che, anche se nascosta sotto falso nome,
lei è ovunque. “Il richiamo del cuculo” ha, infatti, un fascino tutto
femminile; un ritmo che sembra una danza. Ci sono sfilze di particolari a cui
gli uomini non farebbero mai caso, e tutti prendono magicamente vita sotto i
nostri occhi. Una ricchezza di particolari, come i salotti lussuosi, gli
antichi palazzi, le strade buie, il gossip che uccide. L’autrice porta sul
banco degli imputati il mondo intero, oscuro per quanto sfavillante e mette
alla berlina un sistema che ispirerà insieme fascino e repulsione.
Riempie di una sottile tristezza, anche
se non ha una sua voce, il grande personaggio assente, Lula Landry, riportato
in vita dai racconti e dai rumors più disparati, e sembra condurre lei le
indagini camminando, sui suoi invisibili tacchi alti, accanto agli altri
straordinari protagonisti: per vedere le lacrime macchiate di rimmel del suo
sregolato e fragile fidanzato – un riuscito incrocio tra Kurt Cobain e Jim
Morrison; per sentire ancora l’adorazione nelle parole di un fratello adottivo
in cerca di giustizia e di un simpatico amico stilista; per cercare le sue
radici perdute.
Tutti sono colpevoli, tutti sono
innocenti. Le tante, ma impercettibili sfumature tra innocenza e colpa sono
difficili da cogliere, mai come in questo caso. Si potrebbe riassumere la
trama, che si dipana in cinquecento pagine di libro in pochissime righe, senza
neanche troppo sforzo, ma sarebbe un errore mortale ritenere questo romanzo un
giallo come tanti. Eppure, saltando le sontuose descrizioni e i dialoghi, vi
perdereste tutto il resto. Un resto frastagliato, dinamico, palpitante,
irriverente e mordace. Favoloso. L’esperienza più bella in assoluto è stata
conoscere Cormoran Strike: la sgraziata, ingombrante, incredibile e
impresentabile nemesi della Signora in giallo, di Sherlock Holmes e Poirot.
Non ha le caratteristiche dei classici
detective americani, bellocci, tutti
stirati e pettinati a puntino. Anzi… Lui è come un bozzetto di Picasso. Non ha
le pareti piene di foto con cadaveri sanguinanti, il suo piccolo studio profuma
disgustosamente di deodorante al lime. Ci sono un sacco a pelo, un bollitore,
un set di tazzine spaiate, uno zaino, che vomita vecchie cravatte, camicie
sporche e posacenere traboccanti di cicche di sigaretta. Ha la sua personalità,
è la sua casa improvvisata. Con il suo brutto nome e il suo brutto aspetto,
Strike è uno dei personaggi più belli e completi incontrati. Ogni Sherlock ha
il suo Watson, poi; e Strike ha Robin: adorabile, gentile, trasognata e piena
di risorse un po’ una Mary Poppins degli investigatori. Con un brillante all’anulare,
coraggio da vendere e un lavoro precario come segretaria, che la spaventa e la
esalta in egual misura. Questa strana coppia ci regala costantemente sorrisi,
dal momento del loro imbarazzante primo incontro fino al toccante e delicato
congedo: complici, professionali, rispettosi. Quasi amici, quasi.
“Il richiamo del cuculo” ha
scorrevolezza e leggiadria, lo svolgimento perfetto di un giallo in piena
regola, personaggi che impari a chiamare per nome come fossero tuoi amici, o
nemici, di sempre. E’ grande e funzionale in tutto, senza mezze misure. La
prova “inchiodante” è contenuta alla fine, come accade per ogni mistero che si
rispetti. Te lo suggerisce il sorriso vagamente ebete che ti è spuntato in
faccia nel frattempo e vorresti egoisticamente che questo ambiguo e imperdibile
viaggio per Londra ricominciasse da capo. Aspetto un altro caso. Aspetto un’altra
avventura di Cormoran Strike.
Consigliatissimo.
Voto: 9
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