martedì 5 agosto 2014

RECENSIONE – I Watson e Emma Watson di Jane Austen e Joan Aiken

Rileggo volentieri le poche vibranti pagine che costituiscono I Watson. Da come si presentano potevano essere l’imbastitura di un altro grande successo di Jane Austen, se completato. Avrebbe potuto dimostrare, ancora una volta, il suo genio narrativo, quello di una donna della cui vita privata si conosce ben poco, ma che da secoli si cerca di ricostruire, ravvisandone similitudini nei suoi romanzi. In questo tentativo, di dare un seguito al romanzo incompiuto, Joan Aiken, non sembra rivelarsi all’altezza del compito. La vicenda prende il via esattamente dal punto in cui la Austen si era interrotta. Il suo evolversi però si presenta un po’ forzato, con un susseguirsi di eventi insignificanti che non riescono a colpire l’attenzione del lettore. Il romanzo è lento e noioso, e la strada intrapresa dalla Aiken non sarebbe stata sicuramente quella della Austen. I personaggi, e in particolare la protagonista, Emma, subiscono una revisione totale da parte dell’autrice, che sceglie dei caratteri e dei modi di fare a dir poco inconsueti per l’epoca. Emma da giovane raffinata e cresciuta in un ambiente lontano da casa e dalla famiglia di origine, si trasforma in una persona troppo estroversa, sarcastica e disinibita per risultare credibile. Lo stesso vale per la sorella Elizabeth, la cui scelta iniziale della Austen viene portata all’estremo dalla Aiken tanto da renderla un personaggio scialbo e inconsistente. La Aiken introduce un nuovo personaggio, il capitano Freemantle, ma di questo personaggio è difficile dire qualcosa, in quanto nel corso della storia è poco evidenziato e poco visibile, quindi il rapporto con la protagonista è davvero debole e a tratti insensato. La signora Aiken non segue affatto quello che sarebbe dovuto essere l’evolversi del destino dei Watson concepito dalla stessa Austen. La scrittura della Aiken non è che una pallida imitazione di quella di Jane Austen, nonostante l’impegno profuso nel tentativo di ricrearne le atmosfere, le situazioni, gli scambi di battute, le gelosie, le meschinità. Lo stile si presenta eccessivo di descrizioni in contrasto con quello della Austen, elegante nella sua semplicità. Il ritmo narrativo, è disomogeneo: parte lentamente per finire con un’eccessiva velocità, il che non permette di apprezzare in pieno le vicende dei protagonisti. L’autrice non riesce a ricreare l’atmosfera e l’intero romanzo sembra quasi un riferimento continuo a personaggi appartenenti ad altri romanzi della Austen, da Northanger Abbet a Mansfield Park. In definitiva, questo tentativo si può ritenere interessante, ma manca la magia dei romanzi austeniani, e alla fine, nonostante le buone premesse, non ci soddisfa. Consigliato soltanto alle irriducibili fan della Austen, ma non ai puristi. Voto: 6

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