giovedì 7 agosto 2014

RECENSIONE – Dimmi che ti dispiace di Dawn French

Ho trovato una Silvia stronza! Ebbene sì! La protagonista del nuovo romanzo di Dawn French, “Dimmi che ti dispiace” si chiama Silvia, ed è una stronza patentata. Ma puoi dire questo ad una donna che è distesa in un letto di ospedale, in coma, dopo che ha avuto un incidente ed è caduta dal balcone? Beh sì, si può! O almeno lo rende possibile l’autrice che fa parlare i suoi personaggi al ritmo delle visite al capezzale dell’ammalata. E la bellezza di questo libro è che l’autrice li fa essere talmente schietti nelle loro chiacchierate/monologhi da renderli veri. Parlano con Silvia, Ed. L’ex marito, che dopo essere stato abbandonato è caduto in depressione e ha tentato il suicidio, tranne poi capire che forse il suo rapporto con Silvia non era poi così importante per lui, tranne per quello che di buono ne ha tirato fuori, come i suoi due figli Cassie e James. Lui gliele canta e gliele suona, le racconta di come adesso ha ripreso a vivere finalmente, di come si gode la sua nipotina, e nonostante tutto l’affetto dei suoi figli. Le dice che se ci fosse lui in quelle condizioni, sicuramente non sarebbe solo, avrebbe almeno i suoi figli intorno. Ma lei è lì. Muta, ferma, grigia che non risponde. Le parla la sorella maggiore Jo che è una macchietta. Non ama molto Silvia, ma vorrebbe essere lei in qualche modo ad avere l’onere e l’onore di farla risvegliare, tanto da arrivare a far delle cose pazzesche, che, nella tragedia, riescono a strapparci un sorriso. Ci parla Cat. Il medico di Silvia. Più che il medico, la sua attuale compagna. Quella che l’ha allontanata definitivamente dalla sua famiglia, per la sua insicurezza e la necessità di avere Silvia tutta per sé. E’ talmente insicura da essersi poggiata completamente su di lei. Cat non è brava a mettere ordine nel suo caos mentale; non lo è mai stata. Poi la sua vita è diventata di per sé incredibilmente incasinata e ha dovuto trovare la forza di restare calma e coprire tutto. Se ce l’ha fatta è stato grazie all’aiuto di Silvia, ma adesso si sente alla deriva, senza la sua ancora, ed è come se stesse per venire risucchiata da un vortice. Ci parla Winnie, l’infermiera che si prende cura di tutti i piccoli bisogni dell’ammalata, che nel mentre l’accudisce le racconta la sua vita di tutti i giorni, quella di una persona onesta, che è fuggita da un padre manesco ed ubriacone, e da un marito altrettanto manesco ed ubriacone. Che frequenta la Chiesa, che canta divinamente e canta tutto il suo amore per Dio, che è l’unico uomo a meritarlo, oltre a suo figlio Luke. Parla con Silvia la figlia Cassie. Non ha certo belle parole per la madre, ma solo muti silenzi. E pensieri, tanti pensieri non belli sicuramente. Sua madre l’ha cacciata di casa che aveva 16 anni ed era incinta per giunta. Sua madre non c’era quando è nata sua figlia Willow, anzi non l’ha mai vista. Ma questa madre, nonostante sia stata inadeguata, le manca in ogni momento della sua vita e vorrebbe fortemente averla avuta. Le prime visite le passa al di fuori della stanza, guardando sua madre attraverso il vetro della porta. Quando trova il coraggio di entrare, si ostina a guardarla in muto silenzio che diventa quasi assordante. Poi c’è l’altra macchietta Tia. La domestica indonesiana, che le legge a suo modo, infarcendole di parolacce di cui non capisce il significato, tutte le notizie di gossip delle riviste che compra in quantitativi inusitati. Salvo poi sgridarla per non aver voluto conoscere la nipote di cui fa la baby sitter. O spiegare alla sua padrona che ogni tanto le ruba qualcosa da casa, che continua a pulire a fondo, per pagarsi lo stipendio. Ascolteremo tutte le vite dei protagonisti, tutti gli sgarbi perpetrati nei loro confronti da Silvia. Tutti, ma proprio tutti hanno delle lamentele da fare. Delle confessioni che non avrebbero mai fatto affrontando una Silvia viva e vegeta. Ma Silvia, lì, distesa su quel letto, pallida e smunta, l’ombra del donnone dai capelli rossi che era stato, non incute più nessun timore, ma nemmeno tenerezza, forse solo un po’ di pietà, ma tanta tanta rabbia. E il titolo del libro non è rivolto alle persone che la vanno stancamente a trovare, no! “Dimmi che ti dispiace” è rivolto a Silvia. E’ lei che dovrebbe svegliarsi e dire: “Mi dispiace!” Il romanzo nella sua semplicità si veste anche un po’ di giallo, non tutti sanno cosa è successo a Silvia. Lo verremo a sapere leggendo i vari monologhi dei suoi visitatori. Un libro veramente ben fatto. A volte tenero proprio come Ed, a volte duro come la figlia Cassie, a volte tremendamente comico come la sorella Jo o la domestica Tia, o onesto e aperto come l’infermiera Winnie, o tremendamente insicuro o violento con Cat. Certo alla fine un po’ di cose si capovolgeranno e Silvia risulterà essere un po’ meno stronza di quello che ci siamo immaginate, ma solo un po’. Dawn French con i suoi testi sembra parlare diritta diritta al cuore delle persone! Veramente un bel libro che consiglio caldamente! Voto: 8

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