venerdì 19 dicembre 2014

RECENSIONE – La lingua del fuoco di Don Winslow


Don Winslow è sicuramente uno dei più significativi autori di thriller di questi anni. Se paragonata al “Potere del Cane” e a “L’inverno di Frankie Machine”, “La lingua del fuoco” si può considerare un’opera minore, ma possiede una forza raramente riscontrabile nei thriller che ho letto negli ultimi tempi. Winslow riesce a stupire cambiando meccanismi e spunti a ogni libro pur restando fedele a se stesso e alle sue passioni, tra cui il surf, e ad un certo disincantato romanticismo che accomuna tutti i suoi personaggi da Bobby Z a Art Keller, da Frankie Machine a Boone Daniels fino a Jack Wade. Il mondo si restringe ad una tavola da surf, una longboard, e alla ricerca della Grande Onda. E’ una mitologia che se ben sfruttata, fa già metà del romanzo. L’altra metà è la capacità di Winslow di costruire l’intreccio letterario, che pare dividersi in mille rami, ma è comunque saldamente nelle sue mani. Il gioco di fili, ti porta in una direzione e ti lascia spesso a bocca aperta, perché tutto si ricollega piano, piano mentre la storia subisce svariati capovolgimenti da una pagina all’altra. La storia inizia con un “semplice” incendio, dove una donna viene trovata morta nel suo letto. La polizia liquida la faccenda come un incidente accidentale. La donna, Pamela Vale,  si è addormentata ubriaca con la sigaretta in mano. Ma Jack Wade non la pensa allo stesso modo, secondo le prove da lui raccolte minuziosamente, la donna è stata uccisa prima che l’incendio avesse inizio, quindi è omicidio e l’incendio è solo una scusa per coprirlo. Jack Wade è un ex rappresentante  delle forze dell’ordine, allontanato perché accusato di adottare metodi poco ortodossi, anche se utili all’incriminazione dei colpevoli. Specializzato in tutto ciò che riguarda gli incendi, si è reinventato perito di una grossa compagnia di assicurazioni. Jack, tra le poche passioni che coltiva, c’è la sua ora di surf all’alba, sulla sua longboard, e l’altra è il suo lavoro, perché come gli diceva suo padre: “E’ importante fare bene il proprio lavoro”. Quando Jack si imbatte in una richiesta di risarcimento danni come quella presentata di Nick Vale, dà prova di essere una vera star del fuoco. Nick Vale, è secondo Wade , l’accusato principale. Lui è il marito della donna, che gli aveva appena chiesto il divorzio e non ha perso nemmeno un secondo a richiedere il risarcimento dei danni, nemmeno il tempo di far raffreddare letteralmente il corpo della sua povera moglie.  Ma la cosa non è così semplice. Entrano in scena gangster, traffici interraziali, frodi  assicurative, un variegato panorama di personaggi che recitano tutti la loro parte per avvincere e stupire. E Winslow non sbaglia un passaggio, non perde una sola occasione per toccare le corde del lettore. E così tutto tiene, tutto ti costringe a leggere pagina dopo pagina. Una cosa è certa: Winslow dimostra di essere non solo un bravo intrattenitore, ma anche uno di quegli scrittori “molto attesi”, di quelli che dopo aver letto un suo libro ci si chiede quanto si dovrà aspettare affinché ne esca un altro. “La lingua di fuoco” non delude, e risulta superiore alla precedente “La pattuglia dell’alba”. Gli intrecci narrativi sono molteplici e relativi a contesti disuniti che s’innestano alla perfezione nel corpo della trama primaria. Winslow denuncia un’intera economia sommersa che ruota attorno alla categoria del risarcimento danni, mantenendo alta l’attenzione del lettore con continui colpi di scena e facendo una vera e propria disamina del fuoco. Voto: 7,5/8

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